Recentemente, un amico mi consigliava di seguire la catechesi per i giovani del sacerdote bergamasco, ricominciata da poche settimane. Ho seguito il consiglio. Da quanto ho capito, quest’anno la catechesi si incentra sul suo ultimo libro, Non prævalebunt. Manuale di resistenza cristiana, edito dalla Sugarco. Mi sembra di fare cosa utile riportando qualche concetto emerso nella puntata radiofonica di venerdì.
Padre Livio ha menzionato l’episodio narrato in Mt 16, 13-19, quello in cui Gesù domanda ai discepoli: Voi chi dite che io sia? È nota la risposta di Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Di fronte a questa professione di fede, Gesù proclama: “Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”.
Il sacerdote ha posto una domanda di importanza cruciale per chi si professa cattolico: perché le porte degli inferi non prevarranno contro la Chiesa? perché, cioè, la Chiesa è invincibile, indistruttibile, nonostante i potenti attacchi che satana scatena furiosamente fino al giorno del giudizio?
La risposta di padre Livio, basata sulle parole di Gesù, è stata molto semplice: “La Chiesa è invincibile perché si poggia su una roccia, che è la fede di Pietro e di tutti i suoi successori”.
Da parte mia, pensavo che, nella sua lotta contro il maligno, la Chiesa sarà vincitrice perché Gesù Cristo ha promesso di essere al suo fianco fino alla fine dei tempi. È certamente così, ma mi sfuggiva un piccolo particolare di tutta la questione. Come dice padre Livio, “è vero che la fede è un dono di Dio, ma è anche vero che ad esso occorre corrispondere”. Pietro ha il primato nella Chiesa e detiene le chiavi del Cielo perché ha corrisposto con fermezza, unico tra i discepoli, nel professare la verità cardine sulla persona di Gesù Cristo.
Padre Livio ha proseguito facendo una constatazione di non poco conto. Ha osservato che, “in duemila anni di storia della Chiesa, mai è accaduto che un Pontefice dicesse qualcosa in contrasto col Credo”. Le eresie sono nate da chi, all’interno della Chiesa, era tenuto a professarne e custodirne la dottrina. “Talvolta, cardinali o vescovi sono venuti meno nella fede, ma non il Papa. Mai!”.
La fede di Pietro è il porto sicuro del cattolicesimo nelle tempeste della storia. Va ribadito ancora una volta: “Uno solo non perderà mai la fede: il Papa”. Egli è “il dolce Cristo in terra”; quando si pronuncia su argomenti di fede, è come se parlasse Cristo medesimo. Questo è il dogma dell’infallibilità papale, stabilito dal Concilio Vaticano I nel 1870.
A sostegno e integrazione di quanto riportato fin qui, cito dei brani tratti da La Sfida della fede, di Vittorio Messori.
[…] Secondo la prospettiva cattolica, la Chiesa è santa non perché i suoi uomini siano tutti santi, ma perché possiede e insegna con fedeltà la Verità rivelata. Il vescovo è pastore non innanzitutto perché vive secondo il vangelo, ma perché quel vangelo annuncia senza errori.Ritorniamo alla catechesi di padre Livio. Il sacerdote ha sottolineato che “i veri mariani” – cioè, coloro che si consacrano alla Madre di Dio – “non perderanno mai la fede «di Maria» nel Figlio e guarderanno sempre al Papa con gli occhi di Maria”. Il posto centrale che il Papa occupa nel progetto divino ci viene confermato, innanzitutto, nei messaggi che Maria diffonde durante le sue apparizioni e, poi, dai santi, come ad esempio, S. Caterina da Siena, la quale racconta di aver avuto la visione di Nostro Signore vestito … da Papa.
“In principio era il Verbo”: nella Chiesa il prius è dato alla Parola, dunque alla fede, dalla quale deve discendere poi – ma come derivato, come frutto necessario – la prassi, l’azione della carità.
[…] la catastrofe non è un papa peccatore, ma lo sarebbe un papa eretico. Un papa, cioè, che (secondo il mandato a Pietro nell’ultimo capitolo di Giovanni) più non “pascesse le pecorelle” del Cristo con il pane della Sua Parola. E un pane genuino, non inquinato dall’errore.
[…] Prendiamo, ad esempio, il simbolo stesso della decadenza papale, quel catalano Rodrigo Borgia pontefice dal 1492 al 1503 con il nome di Alessandro VI. Cattolico fedelissimo e insieme storico rigoroso, scrisse il grande storico dei papi, Ludwig von Pastor: «La vita di questo gaudente dalla sensualità indomita fu in tutto opposta a Colui che doveva rappresentare sulla terra. Eppure, il modo in cui Alessandro VI amministrò gli interessi autenticamente religiosi non ha dato appiglio ad alcun biasimo. Con disinvoltura quel papa si abbandonò a una vita viziosa, ma la purezza della dottrina della Chiesa rimase intatta: in lui, la Provvidenza volle confermare che i Pastori possono danneggiare la Chiesa, non distruggerla». […]
Con una soprendente inversione, molti sembrano considerare un catechismo (cioè il Credo svolto nelle sue conseguenze e attualizzato) come un peso imposto dalla Gerarchia; mentre esso è un diritto inalienabile dei credenti, il proporlo è il dovere primo dei Pastori. […]
Nella dinamica cristiana, non si può “agire bene” se prima non si “pensa bene”, in fedeltà cioè a una Parola che la Tradizione ha fissato in verità definite di fede.
Ben si comprende allora il motivo per cui satana odî il Papa, lo perseguiti e abbia ingaggiato una lotta senza quartiere contro di lui. Ciò che conforta il cattolico è che, qualunque cosa faccia il maligno, le porte degli inferi non prævalebunt.
Padre Livio ha concluso la parte di catechesi che ho qui riproposto con questa frase: “Noi cattolici guardiamo al Papa e siamo felici di obbedirgli”. Sì, è vero, noi cattolici siamo obbedienti e devoti a colui cui Gesù disse: “Simone, Simone, ecco, satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”. (Lc, 23, 31)
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