Wednesday, February 18, 2009

Per la Chiesa la vita terrena non è un bene assoluto

Adriano Sofri mi ha fatto riflettere. Sabato sulla Repubblica e sul Foglio ha messo in discussione, con argomenti seri, la mozione del Pdl approvata in Parlamento sul “fine vita” (a proposito della legge in discussione sul cosiddetto “testamento biologico”). Può uno Stato disporre “la nutrizione dei suoi sudditi umani”? O ancora: “riuscite a immaginare che qualcuno, a voi maggiorenni e capaci di intendere, venga a intimare di mangiare e bere?”. Questa domanda già posta da Gad Lerner, da Emma Bonino e da Pier Luigi Bersani, secondo Sofri, non ha avuto risposta. In effetti anche a me è sembrato di non sentire risposte totalmente esaurienti. E’ sensato allora, in vista della legge (contro cui già si annuncia un referendum), continuare a difendere un principio simile che sembra ledere la libertà personale e, a prima vista, pure il buon senso?

Pare di no. Sennonché lo stesso Sofri indica intanto un’eccezione: l’ “alimentazione forzata” si può disporre solo “in casi di accertata necessità psichiatrica… come sa chi fa i conti con la tragedia dell’anoressia nervosa”. E’ vero. Ma perché allora non potrebbe valere lo stesso, poniamo, per una persona malata di Alzheimer? Ci sono casi in cui questi malati rifiutano anche le medicine: ebbene, i familiari che premurosamente inseriscono le rifiutate pasticche nel cibo per curare i propri cari commettono reato? Si badi bene, è sacrosanto il diritto di rifiuto delle cure, ma in casi come questo? O per i minori? La vita concreta è più problematica dell’astrazione giuridica.

Torniamo al cibo. Nella concretezza quanti sono coloro che rifiutano alimentazione e idratazione? Casomai una persona gravemente ammalata e molto sofferente che vuole farla finita potrà arrivare a chiedere l’eutanasia, ma non credo che chieda la cessazione di alimentazione e idratazione perché ciò da solo non rappresenterebbe certo la fine delle sofferenze. Anzi.

Allora sembra una questione solo ideologica che non ha riscontri nella pratica e che si solleva solo perché non si osa proporre l’eutanasia. Peraltro anche le richieste di eutanasia (cioè l’idea di una morte veloce e indolore che metta fine alle sofferenze) sono pochissime fra i malati terminali, contrariamente a quanto si pensa, perché le cure palliative che cancellano il dolore (insieme al soccorso dell’amore umano) spesso danno ai pazienti molta forza per affrontare il decorso della malattia.

Mi accosto in punta di piedi a questi drammi ben conoscendo la mia personale fragilità di fronte alla malattia e al dolore fisico, davanti al quale – senza l’aiuto del Cielo – mi smarrirei completamente. Quindi propongo queste considerazioni con umiltà, assoluto rispetto e comprensione verso chi pensa diversamente. Rispetto reciproco che talora nella vicenda recente non si è avuto (per inciso, io trovo ammirevole la dignità con cui il signor Englaro ha difeso la figlia dalla spettacolarizzazione del dolore anche rifiutando la proposta di un fotografo di ritrarre il suo volto sofferente).

Torniamo alla legge. Secondo Sofri se uno non può più fare della propria vita ciò che vuole, si configura all’orizzonte il profilo mostruoso dello “Stato etico” che ci obbliga pure a mangiare. C’è di che riflettere. E’ un timore serio. Tuttavia constato che i veri “stati etici” del Novecento (i totalitarismi), hanno sempre legiferato contro la vita umana. E noto che il principio per cui il bene della vita è indisponibile anche a se stessi è da sempre uno dei principi della nostra laica legislazione democratica (non è affatto un’idea clericale che oggi verrebbe “imposta” dalla Chiesa).

E’ per questo che lo Stato democratico e repubblicano mi obbliga, per esempio, a mettere le cinture di sicurezza quando salgo in macchina o a indossare il casco se vado in moto o nel caso in cui lavori come muratore in un cantiere. Cioè non mi dà la libertà di farmi del male. Chi pensa che ognuno deve poter disporre della sua vita a piacimento, doveva insorgere anche per queste norme che invece ha condiviso.

Si dirà che lo Stato impone tali norme di sicurezza per risparmiare sull’eventuale costo di cure mediche e assistenza. Ma la risposta non convince e appare francamente meschina. Anzitutto perché il principio di libertà, se è affermato come assoluto, prevale sull’obiettivo di limitazione della spesa (altrimenti, per la stessa ragione economica, si potrebbero abolire le elezioni e pure il Parlamento), in secondo luogo perché spesso con incidenti di auto o sul lavoro si provoca la propria morte (quindi non c’è problema di assistenza), in terzo luogo perché in tante regioni ben poche sono le spese di assistenza che si accolla l’ente pubblico, in quarto luogo se quella economica fosse stata la ragione di tali norme, si sarebbe potuto, più fondatamente, riconoscere il diritto alle cure pagate dal sistema pubblico solo laddove si sono osservate le regole di sicurezza.

Ma invece la legge qua impone “sic et simpliciter” l’obbligo della cintura e del casco, cioè ci impone di proteggere la nostra vita. Se ne deduce che per la nostra laica legislazione la vita umana è indisponibile anche a se stessi, tanto è vero che un cittadino che riesce a scongiurare un suicidio, che io sappia, non viene incriminato per violenza privata. Ma anzi è ritenuto un benemerito.

Non solo. Lo Stato impone varie altre cose – come l’istruzione obbligatoria dei nostri figli – che di per sé rappresentano un costo per la comunità. Così si tutela il nostro bene anche contro la nostra volontà. Sarà discutibile quanto volete, ma questa è la filosofia del nostro sistema costituzionale e repubblicano.

Al punto che l’Italia – su idea dei Radicali - si è fatta promotrice della moratoria internazionale per la pena di morte, in base al principio dell’intangibilità assoluta della vita umana (anche la vita dei criminali), e non mi risulta sia stata prevista l’eccezione in cui un condannato – per desiderio di espiazione – chieda lui stesso di subire la condanna a morte. Vi parrà una fattispecie astratta, inesistente nella pratica (se non nei romanzi di Dostoevskij), ma, fino a prova contraria, si può ritenere astratto pure il rifiuto lucido e consapevole di alimentazione e idratazione.

Tutto questo fa pensare che il principio dell’indisponibilità assoluta della vita umana sia un principio laico, della nostra legislazione, non della Chiesa. Chè, anzi, nella dottrina cattolica la vita biologica non è affatto un bene assoluto. La salute dell’anima è più importante della salute fisica, tanto quanto la vita eterna vale più della vita terrena. Infatti la Bibbia proclama: “La Tua Grazia vale più della vita” (Salmo 62).

Non a caso padre Kolbe ha donato la sua stessa vita per amore di Dio e del prossimo e così è stato fatto santo e ha conquistato la vita eterna. Non a caso Gesù ci mette in guardia dall’assolutizzare i beni terreni con queste parole: “chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8,35-36).

La Chiesa in questi anni ha accentuato il richiamo al rispetto della vita umana, come bene sacro e inviolabile, per le tragedie storiche che nel Novecento hanno portato a una tremenda sua svalorizzazione. La Chiesa così si oppone alle ideologie. Ma il cardine dell’annuncio cristiano – che forse a volte viene dimenticato – è anzitutto (e deve essere sempre) la salvezza dell’anima e la vita eterna. Il male assoluto, per la Chiesa, è il rifiuto di Cristo (il peccato), non la morte fisica. E il bene supremo non è la vita terrena, ma la salvezza dell’anima e la conseguente risurrezione del corpo che finalmente non sarà più sottoposto alla malattia, al dolore e alla morte. Allora “la carezza del Nazareno” – come dice l’Apocalisse – “tergerà ogni lacrima dai nostri occhi” e avremo l’eterna giovinezza e una felicità inimmaginabile, che non passa.

Antonio Socci

Da “Libero”15 febbraio 2009

Tuesday, February 17, 2009

Caso Englaro: conflitto culturale e conflitto politico

Nel blog di un amico ho lasciato recentemente il commento che segue.
Credo che il protagonista di questa storia, così come di tutte quelle similari, cambi a seconda della prospettiva.
Dal punto di vista di chi non scommette su Dio, sul Dio di Gesù Cristo intendo, il protagonista è il dolore e il suo senso. Dal punto di vista di chi scommette su Cristo, il protagonista è l’amore, anzi l’Amore di Dio per ciascuno di noi, nonostante il dolore.
Se io non sono cristiano, non voglio altro che farla finita con la sofferenza (fisica, psicologica o morale) e coloro che vorrebbero “salvarmi”, convincermi che sto sbagliando, convincermi che il dolore non esaurisce il mistero dell'esistenza, parlano turco.
Se sono cristiano e ho capito qualcosa del significato della croce, non posso che affidarmi a Lui, e per quanto la situazione sia dura, non mi resta che pregarLo ogni giorno di “farmi amare” la croce. La sofferenza finirà prima o poi e farà posto alla resurrezione: lo ha promesso Lui e quindi mi fido della sua parola.
Il fatto è che la fede non è solo un dono di Dio per tutti, ma è anche un atto di volontà da compiere ogni giorno. Se è dura per i credenti aver fede, non dobbiamo scandalizzarci se qualcuno “vuol” essere ateo. A chi non “vuol” credere, io cristiano non posso imporre la salvezza promessa da Cristo. Da cristiani, si può solo affidare alla misericordia di Dio colui che, per mancanza di fede, decide di farla finita a motivo di un grande dolore.
Non conosco le convinzioni religiose del padre di Eluana [supponevo fosse ateo, ma non ne ero del tutto certo al momento in cui scrivevo. NdA], ma capisco quando dice che non ce la fa più a sopportare il dolore di una figlia in quelle condizioni.
Solo una cosa mi lascia perplesso del suo atteggiamento: se le suore sono disposte a continuare a prendersi cura di sua figlia, perché lui non si tira indietro? perché non lascia che siano altri ad amare sua figlia nel silenzio, così come nel silenzio sua figlia è da anni?
Poco fa, brucando nella newsletter di Alleanza cattolica, mi sono imbattuto in un articolo di Marco Invernizzi, che ripropongo subito sotto. È una risposta alla domanda finale che ponevo nel commento citato.
Il caso Eluana Englaro
Roma, 16 febbraio 2009. Una nota di Marco Invernizzi.

Quale può essere il motivo che ha spinto Beppino Englaro a portare al centro dell'attenzione del Paese il caso drammatico di sua figlia? Che cosa lo ha sostenuto, dal gennaio del 1992, nella costante e credo logorante battaglia per ottenere che sua figlia potesse essere uccisa, ma con l'autorizzazione e attraverso le strutture dello Stato?

Il caso Eluana e il conflitto culturale
Sull'onda emotiva che ha coinvolto tutti nelle ultime settimane si può essere tentati di dare una risposta immediata, tagliente, senza alcuna sfumatura. L'assenza dei genitori di Eluana al funerale religioso ha ulteriormente sconcertato. Tuttavia la prudenza ci invita a giudicare i fatti, soprattutto quelli epocali, e a fermarsi di fronte alle intenzioni, che solo Dio conosce.
Un fatto certo e ribadito dai protagonisti è che il padre di Eluana ha avuto in questi anni alcuni consiglieri che non hanno nascosto lo scopo dell'azione che li ha spinti ad arrivare al punto in cui si è giunti con il trasferimento nella struttura di Udine, dove le è stata tolta l'alimentazione e l'idratazione per portarla alla morte, sopraggiunta lunedì 9 febbraio. Uno di questi consiglieri, Maurizio Mori, docente di bioetica a Torino e presidente di un'associazione che raduna i membri del gruppo che ha affiancato Beppino Englaro in questi anni, lo ha scritto in maniera esplicita: "[…] il caso di Eluana è importante per il suo significato simbolico. Da questo punto di vista è l'analogo del caso creatosi con la breccia di Porta Pia attraverso cui il 20 settembre 1870 i bersaglieri entrarono nella Roma papalina. Come Porta Pia è importante non tanto come azione militare quanto come atto simbolico che ha posto fine al potere temporale dei papi e alla concezione sacrale del potere politico, così il caso Eluana apre una breccia che pone fine al potere (medico e religioso) sui corpi delle persone e (soprattutto) alla concezione sacrale della vita umana. Sospendere l'alimentazione e l'idratazione artificiali implica abbattere una concezione dell'umanità e cambiare l'idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria che affonda le radici nell'ippocratismo e anche prima nella visione dell'homo religiosus, per affermarne una nuova da costruire" (Il caso Eluana Englaro. La "Porta Pia" del vitalismo ippocratico ovvero perché è moralmente giusto sospendere ogni intervento, Pendragon, Bologna 2009, pp. 11-12).
Se chi consiglia di tacere di fronte al dolore, reale o presunto, suscitato dalla morte drammatica di Eluana avesse la pazienza di leggere e riflettere su queste parole, smetterebbe di dare consigli buonisti e sciocchi. La battaglia che si è combattuta sul corpo della povera donna di Lecco aveva fin dall'inizio lo scopo di portare alla legalizzazione dell'eutanasia e, di più, al radicale cambiamento culturale sopra descritto dalle parole di Mori, un cambiamento inerente all'etica medica e al senso comune, nella prospettiva dell'ideologia relativista. E il padre di Eluana è stato il primo a volere che questo accadesse, come dimostra il libro di Mori e quello dello stesso Beppino (con Elena Nave, Eluana la libertà e la vita, Rizzoli, Milano 2008).
Quindi bisogna prendere atto che siamo di fronte a una svolta importante nella vita pubblica del nostro Paese: Eluana è stata uccisa da un decreto della magistratura italiana e in Parlamento è in discussione una legge sul fine vita che non porterà immediatamente alla legalizzazione dell'eutanasia, ma che potrebbe essere o una ferma opposizione alla "dolce morte" oppure una iniziale deriva verso di essa attraverso l'approvazione di quella cosa ambigua che è il testamento biologico.
Quindi bisogna parlare, ossia bisogna prepararsi, capire che cosa stanno facendo i nemici della vita, contrastare le loro argomentazioni, non sottovalutandone l'astuzia. E abituare le persone ad accogliere il principio di realtà, la vita cioè e le sue modalità, anche quando questa vita prevede la sofferenza e il dolore.
D'altra parte non è difficile comprendere la portata e le conseguenze di quanto è accaduto. Attorno al caso Eluana è emersa una importante domanda e sono scoppiati significativi conflitti culturali e politici.
Quale è il rapporto fra la legge naturale e quella positiva, fra la realtà di una donna accudita e amata da suore meravigliose e il sogno ideologico di un gruppo che ritiene la vita disponibile quando la sua qualità viene ritenuta inadeguata?

Il conflitto politico
Io credo che il governo italiano abbia dimostrato un coraggio grande nel fare di tutto per salvare Eluana anche a costo di andare allo scontro istituzionale con il Presidente della Repubblica. Peraltro era difficile non vedere l'urgenza nella richiesta del governo nel caso specifico, quando a Eluana avevano già cominciato a togliere acqua e cibo; eppure anche questo atteggiamento del Quirinale è passato sulla stampa quasi senza critiche, come se fosse normale.
Scoppiato il conflitto istituzionale, esso ha raggiunto la Costituzione e così abbiamo assistito al paradosso di un omicidio decretato da un organo del potere giudiziario, mentre il capo del governo veniva linciato sui media perché aveva osato dire che la Costituzione non è intoccabile. Quando scriveranno la storia, se saranno onesti, dovranno pur dire che nelle stesse ore, in Italia, all'inizio del 2009, una disabile veniva condotta alla morte "legale" mentre il presidente del Consiglio che aveva cercato di salvarla veniva condotto a un "macello mediatico" senza precedenti.
Quello che è successo non è un piccolo episodio di routine. Teniamolo vivo, raccontandolo. Soprattutto stiamo attenti a quello che sta accadendo in Parlamento, convinti che è in corso una tappa importante della guerra per "cambiare l'idea di vita e di morte ricevuta dalla tradizione millenaria". Una tradizione che ha impiegato secoli per entrare nella coscienza degli uomini e che può essere estirpata nel giro di pochi anni.

Thursday, February 05, 2009

Amare questa Chiesa infangata ...

Che spettacolo. Ogni giorno valanghe di fango, da quei cannoni che sono i mass media e i potenti di questo mondo, contro la Chiesa. Ogni giorno oltraggi, calunnie, dileggi. E lei, bella, dolce, inerme, indifesa che subisce cercando – come una madre premurosa – di proteggere i suoi figli più piccoli dallo scandalo continuo. Come si fa a non amare questa Chiesa, così vulnerabile, indifesa, così umanamente povera da rendere evidentissimo che è sorretta dalla presenza formidabile di un Altro. Altrimenti mai avrebbe potuto arrivare al XX secolo e abbracciare il mondo intero e continuare a far innamorare tanti cuori di quel volto. Del Salvatore.

Lei, la Chiesa di Cristo, la Santa Chiesa, che ha subito fin dalla sua nascita le più feroci persecuzioni e che nel XX secolo ha dovuto sopportare il più oceanico macello della sua storia (45 milioni di credenti che hanno perduto la vita, in modo diretto o indiretto a causa della loro fede: dati provenienti da Oxford non dal Vaticano), lei che è stata perseguitata a tutte le latitudini, sotto tutti i regimi (da quello della Cina dei Boxers di inizio secolo, a quello massonico messicano, da quelli comunisti a quelli nazisti e fascisti fino a quelli pagani e a quelli islamici), lei che ha subìto il primo genocidio del Novecento, quello degli armeni. Ma non interessano a nessuno i morti cristiani, le suore rapite, i missionari uccisi i cristiani cacciati da tanti Paesi. E’ forse interessato a qualcuno il lungo genocidio consumatosi a Timor Est o quello ventennale del Sudan ad opera del regime jihadista contro i cristiani del Sud, con due milioni di morti, quattro milioni di profughi e centinaia di migliaia di donne e bambini catturati e venduti come schiavi al Nord? A nessuno. Se ne accorse il New York Times nel 1998.

Ma Gesù lo aveva detto: “Vi mando come agnelli in mezzo ai lupi”, “hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”, “diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”, vi trascineranno davanti ai loro tribunali, vi tortureranno, vi metteranno a morte. Infatti non ci si è accontentati di macellare i cristiani: li si vuole anche infangati, disonorati. Anche quando loro – vittime di tutte le ideologie totalitarie – si sono presi cura, pressoché da soli, di altre vittime come i loro fratelli ebrei, anche quando il Papa Pio XII con migliaia di preti e suore, a rischio della loro stessa vita (vedi padre Kolbe), minacciati loro stessi di morte, hanno salvato centinaia di migliaia di poveri ebrei braccati da quell’ideologia pagana che già faceva strage di cattolici polacchi, anche dopo questa immensa e commovente impresa – che dopo la guerra fece sgorgare i più sinceri ringraziamenti dei maggiori esponenti del mondo ebraico e dei tanti salvati (anche esponenti politici avversi alla Chiesa) – anche dopo un evento del genere in cui la Chiesa pressoché da sola (come scrisse Albert Einstein) si oppose al Satana pagano hitleriano, anche dopo ciò alla Chiesa tocca l’onta dell’accusa di razzismo, ideologia biologista che è l’esatto opposto del cattolicesimo e che è nata proprio in odio al cristianesimo…

Ma questa sembra essere la sua sorte: la stessa di Gesù. L’odio del mondo. La mano assassina non è arrivata a colpire perfino il Papa stesso in piazza San Pietro? E già sul suo predecessore, Pio XII, non gravava un progetto di deportazione da parte dei nazisti? E un altro predecessore non era stato già deportato, 150 anni prima, da Napoleone?
Del resto perfino nella democrazie – se proprio non vogliamo ricordare il bagno di sangue cristiano che fu la Rivoluzione francese o le feroci persecuzioni della conquista piemontese (più di 60 vescovi italiani arrestati o esiliati, migliaia di frati e suore cacciati dai loro conventi e la Chiesa espropriata di tutto) – perfino nelle democrazie, dicevo, la Chiesa è odiata, perseguitata.

C’è qualcuno che ricordi come nella Inghilterra madre della democrazia (quella che proprio dalla Chiesa aveva imparato da democrazia con la Magna Charta) oggi, a 500 anni dalla svolta anglicana (imposta da un re tiranno) è ancora proibito a un cattolico diventare cancelliere? Blair ha dovuto aspettare, a dare la notizia della sua conversione, di aver perduto la carica. Pensate se vigesse un’analoga proibizione – che so – per gli atei o gli ebrei, o gli islamici…

E perfino negli Usa si è dovuto aspettare duecento anni perché un cattolico, nel 1960, diventasse presidente americano. E quante rassicurazioni dovette dare Kennedy, attaccato proprio in quanto cattolico che – come tale – non doveva andare alla Casa Bianca (in ogni caso fece subito una brutta fine e nessun cattolico più ci è tornato).

Ma, si sa, è proibito guardare la storia per quello che è. Sempre e solo sul banco degli accusati devono stare i cattolici. Ciononostante la Chiesa non fa mai vittimismo, non polemizza, non si perde in discussioni e controversie. Addirittura per volere di quel grandissimo Papa che è stato Giovanni Paolo II, che pure aveva provato sulla sua pelle sia la persecuzione nazista, che quella comunista e infine le pallottole di Ali Agca, arrivò quel gesto inaudito, stupendo che fu il grande “mea culpa” dell’Anno Santo: dalla Chiesa di Roma, che avrebbe avuto tutti i titoli, alla fine del Novecento, per puntare il dito su tutti i poteri e le ideologie del mondo che l’avevano straziata, venne questo struggente atto di umiltà, perché il mondo sapesse, capisse, che ai cristiani non interessa rivendicare meriti, né interessa aver ragione, ma – riconoscendosi peccatori, ultimi fra gli uomini e veramente indegni del dono che hanno avuto da Dio – a loro interessa solo indicare quel volto bellissimo che ci salva, in cui Dio si è fatto carne ed è venuto a salvarci.

Con il cui amore (cantato attraverso duemila anni di bellezza dagli artisti cristiani) hanno insegnato all’umanità a prendersi cura dei sofferenti, dei derelitti, coprendo il mondo di opere di carità e di ospedali. E ancora oggi, come sempre, la Chiesa quasi da sola, sentendo tutti gli uomini come suoi figli (anche coloro che la odiano), premurosamente fa sentire la sua voce contro l’immane massacro delle vite più indifese e innocenti (un miliardo in 40 anni), contro le risorgenti ideologie della morte, contro l’orrore della fame, dell’industria della guerra, contro l’odio che dilania i cuori e il mondo, contro tutte le violenze.

Ma ancora una volta la Chiesa è per questo vilipesa, oltraggiata, infangata, derisa (ora accusata falsamente di tacere, ora accusata dagli stessi di parlare: sempre in ogni caso odiata). Che spettacolo! Come si fa a non accorgersi che è veramente una cosa dell’altro mondo in questo mondo. E’ divina. Così la considerò uno dei suoi persecutori, arrivato alla fine della vita, nell’esilio di Sant’Elena, Napoleone Bonaparte: “Tra il cristianesimo e qualsiasi altra religione c’è la distanza dell’infinito. Conosco gli uomini e vi dico che Gesù non è (solo) un uomo…”.

I pensieri del Bonaparte, riportati in “Conversazioni religiose” (Editori riuniti), sono di questo tenore: “Tutto di Gesù mi sorprende. Il suo spirito mi supera e la sua volontà mi confonde. Tra lui e qualsiasi altra persona al mondo non c’è possibilità di paragone. E’ veramente un essere a parte... E’ un mistero insondabile… Cerco invano nella storia qualcuno simile a Gesù Cristo o qualcuno che comunque si avvicini al Vangelo… Nel suo caso tutto è straordinario…. Anche gli empi non hanno mai osato negare la sublimità del Vangelo che ispira loro una specie di venerazione obbligata! Che gioia procura questo libro!”. “Dal primo giorno fino all’ultimo, egli è lo stesso, sempre lo stesso, maestoso e semplice, infinitamente severo e infinitamente dolce… Che parli o che agisca, Gesù è luminoso, immutabile, impassibile…”. “Gesù è il solo che abbia osato tanto. E’ il solo che abbia detto chiaramente e affermato senza esitazione egli stesso di sé: io sono Dio…”.

Napoleone constata il suo potere divino nei fatti storici: “Voi parlate di Cesare e di Alessandro, delle loro conquiste e dell’entusiasmo che seppero suscitare nel cuore dei soldati” osservava Napoleone “ma quanti anni è durato l’impero di Cesare? Per quanto tempo si è mantenuto l’entusiasmo dei soldati di Alessandro?”.

Invece per Cristo “è stata una guerra, un lungo combattimento durato trecento anni, cominciato dagli apostoli e proseguito dai loro successori e dall’onda delle generazioni cristiane. Dopo san Pietro i trentadue vescovi di Roma che gli sono succeduti sulla cattedra hanno, come lui, subito il martirio. Durante i tre secoli successivi, la cattedra romana fu un patibolo che procurava sicuramente la morte a chi vi veniva chiamato… In questa guerra tutti i re e tutte le forze della terra si trovano da una parte, mentre dall’altra non vedo nessun esercito, ma una misteriosa energia, alcuni uomini sparpagliati qua e là nelle varie parti del globo e che non avevano altro segno di fratellanza che una fede comune nel mistero della Croce… Potete concepire un morto che fa delle conquiste con un esercito fedele e del tutto devoto alla sua memoria? Potete concepire un fantasma che ha soldati senza paga, senza speranza per questo mondo e che ispira loro la perseveranza e la sopportazione di ogni genere di privazione?... Questa è la storia dell’invasione e della conquista del mondo da parte del cristianesimo… I popoli passano, i troni crollano e la chiesa rimane! Quale è, dunque, la forza che mantiene in piedi questa chiesa, assalita dall’oceano furioso della collera e dell’odio del mondo? Qual è il braccio, dopo diciotto secoli, che l’ha difesa dalle tante tempeste che hanno minacciato di inghiottirla?”

Antonio Socci

(Libero, 3 febbraio 2009)