Friday, December 04, 2009

Il cristianesimo è Cristo

Premesse
1. Che cos’è il cristianesimo? Questa è una domanda che, presto o tardi, con maggiore o minore consapevolezza, tutti finiscono col porsi. Il più delle volte, le risposte che si ascoltano cominciano con le parole: Secondo me.
“Secondo me” sono le parole giuste per cominciare a rispondere a chi ci chiede: Qual è la canzone più bella? Qual è la ricetta migliore per cucinare gli asparagi? Qual è la squadra di calcio più forte? Ma alla questione che cosa sia il cristianesimo cominciare a rispondere con queste parole è il segno certo che la risposta sarà sbagliata.
Una risposta “soggettiva” non conta niente e non serve a nessuno: bisogna arrivare a capire che cosa sia il cristianesimo in se stesso, come di fatto è, qual è la sua vera natura.

2. Per rispondere correttamente alla questione è necessario capire bene come il cristianesimo si è presentato al momento della sua origine, quando si è affacciato alla ribalta della storia. In altre parole: dobbiamo ricordare che cosa sono andati in giro a dire gli apostoli a tutti e in tutto il mondo, all’indomani dell’evento che si è realizzato nella Pasqua dell’anno 30. Essi hanno obbedito al preciso comando ricevuto da Gesù Risorto: «Andate ad annunciare a tutti una “bella notizia”» (Mc 16,15). “Bella e buona notizia” è l’esatta traduzione della parola greca “evangelo”.
Dare una notizia significa proclamare che è avvenuto un fatto. Qual è questo fatto? Gesù di Nazaret, un uomo morto dissanguato in croce, è ritornato alla vita e oggi è vivo, vivo per sempre in tutto il suo essere (corporeo e spirituale).
Egli ha dunque sconfitto la morte (che era la “signora”, implacabile dominatrice di tutti); perciò adesso il “Signore” è lui. Ed essendo il Signore di tutti può salvare e portare con lui nel Regno eterno tutti quelli che con la fede si aggrappano a lui. Questa è la “bella e buona notizia”; questo è il Vangelo; questa è la sostanza del cristianesimo.

3. Come si vede, gli apostoli non sono andati in giro a proporre una “religione nuova”: sono andati in giro a proporre un “avvenimento” rivoluzionario e unico. Ed è un avvenimento che si riassume e si identifica in una persona: la persona di Cristo. Il cristianesimo è dunque Cristo: «Gli annunciò Cristo», è detto di Filippo quando converte al cristianesimo l’etiope, ministro della regina Candace (At 8,35). In conclusione, il cristianesimo – e solo il cristianesimo tra le varie forme che rapportano l’uomo a Dio – primariamente e per sé non è una religione: è un fatto che si identifica con una persona: la persona di Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto, figlio di Maria e Unigenito del Padre, Redentore dell’intera famiglia umana, rinnovatore di tutto.

Gesù è il “contenuto” del cristianesimo
Il cristianesimo è un fenomeno singolare in tutta la storia religiosa dell’umanità; è un caso inedito nell’avvicendamento delle scuole di pensiero e nel susseguirsi delle dottrine. La singolarità è questa: Gesù di Nazaret non è solo il fondatore, il promotore, il teorico del cristianesimo: è anche il suo contenuto. Senza dubbio la Chiesa, già nell’epoca apostolica, possiede un suo patrimonio di princìpi, di convinzioni, di idee. Ma tale patrimonio non è percepito come adeguatamente distinto da colui che ha detto di sé: «Io solo la verità» (Gv 14,6); la frase che è tra le più stupefacenti e provocatorie che siano mai state proferite da labbra umane.
Senza dubbio la comunità dei credenti è animata dallo spirito di solidarietà e dall’amore verso i fratelli. Ma è motivata in questo dalla consapevolezza che il destinatario ultimo delle sue generose attenzioni è Cristo: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40). […]

La “pazzia” cristiana
Questa dedizione totalizzante nei confronti di un uomo sarebbe scandalosa e intollerabile (e particolarmente lo sarebbe stata per gente educata nel più rigoroso ebraismo monoteistico), se a quest’uomo non si dovessero riconoscere i segni inequivocabili della divinità.
La prima comunità – illuminata dall’effusione pentecostale – ha ripensato e accolto con docilità i molti «loghia» (i “detti”) di Gesù su questo argomento, e in special modo quelli conservati nella catechesi giovannea: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,11). «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). E così ha potuto conoscere chi sia nella sua piena verità il suo Signore.
Chi non arriva ad accogliere questo segreto della personalità di Gesù non può che ritenere assurdo il fatto cristiano e del tutto irragionevole la nostra fede. Per usare una ruvida parola di Paolo: «Noi siamo pazzi a causa di Cristo» (1 Cor 4,10). Ed è ovvio: «l’uomo naturale (cioè lasciato alle sole sue forze conoscitive) non comprende le cose dello Spirito; esse sono follia per lui» (1 Cor 2,14).
A quanti invece condividono la prospettiva apostolica, Gesù s’impone come la chiave interpretativa dell’universo: sia della creazione sia del mondo increato. Come si esprime quasi ossessivamente Pascal: «Non soltanto non conosciamo Dio se non per mezzo di Cristo, ma non conosciamo nemmeno noi stessi se non per mezzo di Cristo. Non conosciamo la vita, non conosciamo la morte, se non per mezzo di Cristo. All’infuori di Cristo, noi non sappiamo né che cos’è la nostra vita né che cos’è la nostra morte né che cos’è Dio né che cosa siamo noi stessi» (Pensieri).

Un travisamento pericoloso
Il cristianesimo dunque è Cristo: accoglierlo nella sua realtà autentica e piena – una realtà che eccede ogni nostra misura e ogni naturale intelligibilità – significa anche raggiungere finalmente il «senso» sia della nostra esistenza sia della totalità delle cose. È un’adesione elementare e culturalmente sobria, proposta a tutti gli uomini, anche ai più semplici; ma al tempo stesso un’adesione ardua, esigente, continuamente insidiata.
Un’insidia particolarmente perniciosa, diffusa non poco nella cristianità dei nostri giorni, è quella di risolvere l’annuncio dell’evento pasquale e l’assenso integro e vitale al suo Protagonista in un’offerta di convinzioni, di impulsi generosi, di «valori». Ma la donazione del Figlio di Dio crocifisso e risorto non è «traducibile» in una serie, sia pure lodevole, di buoni propositi e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità dominante. I battezzati – onerati, proprio in virtù del loro battesimo, della fatica di dare consenso e testimonianza a colui che solo è il Signore (ed è entrato come unico Salvatore nella nostra storia) – sono tentati oggi più che mai di alleviare il loro gravoso impegno scambiandolo surrettiziamente con l’impegno meno gravoso (e «politicamente corretto») di propugnare i «valori», e quindi di propagandare la pace, la solidarietà, l’apertura verso tutti, il dialogo ad ogni costo, la difesa della natura, ecc.
Ovviamente non s’intende qui colpevolizzare o ritenere inutile la giusta attenzione ai «valori». Solidarietà, pace, natura, comprensione tra i popoli ecc. possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio iniziale e informale a Cristo e al suo mistero. E nel cristiano questi stessi «valori» possono offrire preziosi stimoli a una totale e appassionata resa del mondo interiore al Signore di tutto e al Salvatore di tutti.
Ma se il battezzato – per amore di attenzione e rispetto verso gli «altri», oltre che per sollecitudine di dialogo e di buon vicinato con tutti – quasi senza avvedersene stempera sostanzialmente il fatto salvifico e la realtà dell’unico Redentore nell’esaltazione di questi traguardi nobili ma secondari e nel ricercare il loro conseguimento, allora pone a repentaglio la sua connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, e consuma a poco a poco il peccato di apostasia.

L’ammonimento profetico di Solovev
Colui che è stato provvidenzialmente inviato a metterci in guardia da questo travisamento è stato il pensatore russo Vladimir S. Solovev. Egli nel suo ultimo scritto – a pochi mesi dalla sua morte, avvenuta nel luglio 1900 – ha tratteggiato così la figura dell’Anticristo (un personaggio emblematico, antitesi perfetta del Salvatore) che secondo lui comparirà sulla scena della vicenda umana alla fine del secolo XX.
L’Anticristo – come egli lo descrive – appartiene evidentemente alla schiera dei «sapienti» e degli «intelligenti». È, dice Solovev, un esperto biblista. Di più, è un asceta e un «convinto spiritualista», e dà «altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza». In particolare, è un illuminato e attivo pacifista. Noi oggi lo diremmo anche un ecologista e un ambientalista: «Pieno di compassione, non solo amico degli uomini ma anche amico degli animali». Soprattutto l’Anticristo si dimostra un eccellente ecumenista, capace di dialogare «con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza». Ha però un’invincibile antipatia nei confronti della persona di Cristo. È addirittura dominato da una morbosa insofferenza verso il fatto che Gesù sia risorto e sia oggi vivo, tanto che va istericamente ripetendo: «Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto! È marcito, è marcito nel sepolcro…». In sintesi potremmo dire: ciò che più specificamente connota la posizione dell’Anticristo è di aver sostituito all’identificazione del cristianesimo con la persona del Salvatore glorificato (che è prospettiva fondamentale e irrinunciabile fin dai tempi apostolici) l’identificazione del cristianesimo con quei «valori» che, pur se provengono da una matrice evangelica, sono però anche facilmente esitabili sui mercati mondani.

Un improrogabile esame di coscienza
Mette conto d’interrogarci se per caso qualcosa della «ideologia dell’Anticristo» non abbia cominciato a diffondersi anche tra noi. Essa è una totale distorsione della verità, ma può essere seducente. Se lasciamo prevalere la «ideologia dell’Anticristo», il dialogo con i “lontani” – non inciampando mai in un Maestro che pretende di essere unico, né in un uomo che è ritornato alla vita e continua a essere realmente e corporalmente vivo – si fa meno irto e più spedito; e la nostra possibilità di uscire dal nostro isolamento e di essere accolti negli ambienti culturalmente emergenti, nei circoli socialmente progrediti, nelle redazioni dei giornali e dei telegiornali, diventa facile e senza problemi. Ma Gesù ci ha dichiarato (ed è una delle sue frasi che tendiamo a dimenticare): «Io non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare…» (Mt 10, 34-35). E di lui è stato detto per divina ispirazione (ed è anche questa una frase biblica oggi un po’ censurata) che è «segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2, 34-35).

Conclusione
È necessario e urgente tornare alla piena e pungente consapevolezza della centralità di Cristo, se vogliamo serbare intatta ed efficace la nostra identità. Don Divo Barsotti ha una parola tremenda, di attualità incontestabile: «Oggi nelle comunità cristiane Gesù Cristo è una scusa per parlare d’altro». Non deve essere più così: Gesù Cristo nella sua piena verità – di Crocifisso Risorto, di Figlio consustanziale del Padre, di unico Signore dell’universo, della storia e dei cuori – deve ritornare al centro di ogni nostro primario interesse e di ogni esperienza ecclesiale, e deve essere altresì l’ispiratore determinante ed efficace di ogni nostro impegno culturale, solidaristico e sociale.

[Card. Giacomo Biffi, Il Timone, n. 87, Novembre 2009, pp. 48-49]

Friday, November 20, 2009

Dio è cattolico?

Per gentile concessione della Libreria Coletti di Roma, riporto un estratto dell’ultimo libro di Rino Cammilleri, “Dio è cattolico?”, edito dalle edizioni Lindau.

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Capitolo 1

Se io fossi Dio

«Se io fossi Dio mi sarei comportato esattamente come il Dio degli ebrei e sarei apparso nel mondo al momento opportuno come Gesù Cristo.
Forse il paragone ti sembrerà irriverente, o Teofilo, ma mi conforta il fatto che il cercare di capire Dio non sia considerato peccaminoso dal cristianesimo.
Anzi. La cosiddetta mistica cristiana, a differenza di altre, tende proprio all’abbraccio con Dio. Dunque, cercare di mettersi, con rispetto, nei suoi panni, cercare di vedere le cose come deve vederle Lui, penso sia addirittura consigliato. Cristo nel Vangelo apertamente esorta a imitarLo. A un certo punto, anzi, quasi ordina di essere «come il Padre vostro, che è nei cieli», il quale «è benigno verso gli ingrati» (Lc 6,35) ecc.
Ciò che viene chiamato «mistica ebraica», tanto per un esempio, si occupa invece di scoprire il significato nascosto delle Scritture. Dell’Altissimo non può nemmeno pronunciare il nome e un tentativo come quello sopra descritto sarebbe praticamente blasfemo. Il carpentiere galileo finì consegnato ai pur detestati goyim romani per aver osato identificarsi con Dio.
A questo proposito, vorrei attirare la tua attenzione sul fatto che il cristianesimo è l’unica religione con una teologia. Si tratta di una disciplina che osa trattare Dio come soggetto di studio e speculazione. Pare che non ci sia niente di male in questo. Anzi, sembra proprio che Dio stesso sia contento che lo si studi. D’altra parte, la cosa deve essere possibile perché, se siamo fatti a Sua immagine e somiglianza, anch’Egli non deve essere troppo dissimile da noi. Altrimenti, Cristo avrebbe preso una colossale cantonata nel chiederci di imitare qualcosa talmente al di là della nostra capacità di comprensione da risultare assolutamente inimitabile. D’altra parte, non penso che Dio abbia creato gli uomini e poi giochi con essi a nascondino senza aver loro dato i talenti per trovarlo. Dal fatto stesso della creazione (che altrimenti risulterebbe incomprensibile) e dall’insistenza con cui ne parla nelle Scritture pare proprio che Egli abbia un solo desiderio: essere amato, così come i genitori vorrebbero essere ricambiati dai figli che hanno generato.
Ora, poiché non si può amare niente per forza, è ovvio che chi vuol essere amato preferisca che l’altro (o l’altra) lo ami volentieri e senza costrizione.
Sappiamo che esistono certe persone disturbate, le quali, non riuscendo a farsi amare dalla persona desiderata, la rapiscono e la minacciano di violenza.
La poveretta talvolta cede per paura, ma alla prima occasione li denuncia alla polizia. La gente normale invece propone il suo amore, ma di fronte a un preciso e reiterato rifiuto, pur restandoci malissimo, desiste. Se io fossi Dio e – come Giove di fronte a Semele – mi mostrassi in tutta la mia onnipotenza, delle due l’una: o l’oggetto del mio amore sarebbe costretto ad amarmi, o (horresco referens) mi rifiuterebbe. C’è qualcuno così pazzo da rifiutare le profferte dell’Amore, del Bello, del Vero e del Buono in persona? A quanto pare, sì. Se io fossi Dio, a quel punto, cosa dovrei fare di chi mi rifiuta? Dovrei mandarlo al diavolo, perché la sua offesa è il massimo dei massimi. Ma poiché, essendo Dio, sono buono e misericordioso, preferisco propormi con delicatezza, senza mostrare tutto il mio fulgore, operando in modo che la persona amata si accorga di me, mi prenda in considerazione, mi si rivolga e decida spontaneamente di amarmi. E se malgrado tutto ciò alla fine non mi ama lo stesso? Avrà quel che vuole (e non avrà quel che non vuole). Ma, dal momento che Dio è tutto, avrà quel che Dio non è: niente.

Già, – direte voi – ma Dio è in ogni luogo. Dove andrebbe chi lo rifiuta fino all’ultimo? Sì, fino all’ultimo, perché ci deve essere un «ultimo»: non si può pensare che costui abbia a disposizione un’eternità per decidersi. Infatti gli viene assegnato un tempo calibrato sulle sue possibilità (Dio ci ha creati, e ci conosce benissimo), tempo che a un certo punto scade. Ora, certi teologi adombrano la possibilità che Dio si ritiri da un posto, lasciandolo vuoto di Sé, per permettere a chi non Lo vuole di non averLo. Ma, giacché Dio è il Bene assoluto, dove Lui non è c’è l’assenza del Bene, cioè il Male. Assoluto.
E qui ci troviamo di fronte all’obiezione classica, quella che tiene molti lontani dalla religione: Dio non può essere così malvagio da aver creato l’inferno. Ma non può nemmeno costringere la gente ad amarLo per forza. Allora come la mettiamo? Mettiamola così: immaginate di aver fatto innamorare a vostra insaputa una persona che ha tutte le qualità. Ma, non avendo approfondito la sua conoscenza perché a prima vista vi è sembrata scialbetta, abbiate preferito scartarla per darvi ad amorazzi apparentemente più gustosi (ma che si sono via via rivelati amari, tant’è che avete finito per dover rinunciare alla qualità per la quantità, sostituendoli di volta in volta). Quella, a un certo punto, si stufa di farvi la corte e si rivolge più utilmente ad altri. Un bel giorno aprite finalmente gli occhi su quel che avete perso, ma è troppo tardi e vi tocca passare il resto del tempo a guardare lei (o lui) felicemente sposata con qualcuno più furbo di voi, mentre a voi rimane il cocente rimorso.
Moltiplicate il tutto per il massimo possibile (di qualità di lei e di rimorso per voi) e per l’eternità. Vi basta come inferno? Ebbene, l’inferno cristiano è proprio così: un luogo dove non c’è la Luce (dunque, c’è la tenebra), non c’è la Gioia (ma il dolore), né l’Amore (c’è l’odio: per sé, per essere stati così stupidi; per Dio, così come l’invidioso vorrebbe veder distrutto ciò che adesso agogna ma gli è interdetto per sempre; per gli altri, perché nella superbia non c’è spazio per la benevolenza). Un luogo di paura (abbiamo rinunciato a ogni protezione contro i demoni) e soprattutto di rimorso, perché se siamo finiti lì non possiamo prendercela con altri che con noi stessi.

Dicevamo della teologia. È uno dei tanti mezzi che offre Dio per conoscerLo e innamorarsene. Facci caso: come abbiamo accennato, solo il cristianesimo osa tanto. Sembra che soltanto il Dio cristiano si rivolga a creature così intelligenti da poter capirLo e magari conoscerLo.
Personalmente, dovessi scegliere (e devo scegliere), preferirei un Dio che mi stima, un Dio che, per questo, mi abbia dato gli strumenti per comprendere come vanno realmente le cose. Un altro Dio non lo capirei. E non mi si può chiedere di amare alla cieca quel che non capisco. Insomma, se io fossi Dio e volessi essere amato dalle mie creature, per prima cosa li avrei forniti di un’intelligenza sufficiente. E poi li avrei incoraggiati a usarla. Mi viene in mente il genitore che, un bel giorno, prende il figlioletto, lo piazza in piedi appoggiato alla parete, si allontana quanto basta, gli tende le braccia e gli dice: «Adesso vieni da papà!», aspettandosi che il piccolo sia dapprima riluttante, poi si avvii barcollando. Ma sempre pronto a intervenire perché non si faccia male davvero. Ovviamente, fallito un tentativo, si ricomincia. Eh, sì: deve imparare a camminare con le sue gambe. Deve diventare quel che il papà sogna che diventi: un uomo, e con gli attributi. Ovviamente, cela va sans dire, anche frequentando la teologia si può partire per la tangente e prendere cantonate. Ricòrdati dei Magi, caro Teofilo. Senza la stella si sarebbero persi. E senza l’avvertimento soprannaturale sarebbero cascati nella trappola di Erode. Anche i teologi hanno una stella, la Chiesa. Le cantonate le prendono quando pretendono di saperla più lunga di essa. Ecco un altro motivo che ci conduce a propendere per la «cattolicità» di Dio.
Infatti, il cattolicesimo parte dal presupposto del Peccato Originale, grande mistero senza il quale non si capisce niente (come diceva Pascal). Video meliora proboque, deteriora sequor, diceva il poeta (pur pagano) latino. So che cosa è giusto e bene ma spesso non riesco ad adeguarmi e faccio il contrario. Tutti sperimentiamo questa massima, fin da quando usciamo la mattina da casa e chiudiamo la porta a chiave (non si sa mai). Dunque, l’intelligenza umana sarebbe sufficiente a cogliere Dio ma… Ma c’è di mezzo il Peccato Originale. Dio lo sa e per questo non ha scritto libri (quelli che ci sono li ha solo ispirati) ma ha fondato una Chiesa, garantendole assistenza per sempre. Ci ha lasciato una stella, nel caso ci smarrissimo. Infatti, chi non la segue vaga, erra (nel doppio significato del termine).

Tornando a noi, pare proprio che sia possibile arrivare a Dio col ragionamento logico. Un filosofo geniale come san Tommaso d’Aquino e un genio matematico come Pascal ne fanno fede. Certo, ci sono persone convinte che esistano altri tipi di logica oltre a quella del due-e-due-fa-quattro. Ma non ti nascondo che la cosa mi puzza di fantascienza, tipo universi paralleli e viaggi nel tempo, tutta roba che collide con l’osservazione e l’esperienza. Se due più due potesse fare anche cinque, e soprattutto potesse farlo anche per Dio, beh, un Dio del genere ritornerebbe al di là della comprensibilità da parte dei più. E, detto fra noi, non m’interesserebbe più di tanto. Un Dio per pochi riguarderebbe quei pochi. Di più: anche se per avventura mi trovassi tra quei pochi, non credo che tale Dio mi risulterebbe amabile. Che senso avrebbe aver creato tutti per poi rivolgersi solo ad alcuni? No, un Dio così, chi lo vuole se lo tenga.
Mi sembra senz’altro più ragionevole pensare a un Dio come quello cristiano, padre di tutti e alla portata di tutti. La ragione classica (e non credo che ce ne siano altre) può dunque giungere a cogliere l’esistenza di un Dio, un Dio molto simile a quello cristiano. Può arrivare anche a dedurre che Dio debba essere cattolico. Ma al fatto che questo Dio sia anche Trino, beh, se non me lo dicesse Lui stesso, proprio non ci potrei arrivare. Infatti l’ha detto. Poteva risparmiarselo, perché questa rivelazione complica, per molti, il quadro.
Paradossalmente, è proprio questo a convincermi. Fosse tutto un trucco, un’invenzione umana, che bisogno ci sarebbe stato di tirare fuori questa storia della Trinità? Allora deve essere vero. L’ha detto proprio perché non ne poteva fare a meno. E mi pare un’ulteriore dimostrazione di fiducia nei confronti delle creature.»
[…]

Friday, November 06, 2009

Quei muri appesi ai Crocefissi

Gesù è stato giudicato – duemila anni fa – dalle varie magistrature del suo tempo. E sappiamo cosa decise la “giustizia” di allora.

Oggi la Corte europea di Strasburgo ha emesso una sentenza secondo cui lasciare esposta nelle scuole la raffigurazione di quell’Innocente massacrato dalla “giustizia umana” viola la libertà religiosa.

E’ stato notato che semmai il crocifisso ricorda a tutti che cosa è la giustizia umana e cosa è il potere ed è quindi un grande simbolo di laicità (sì, proprio laicità) e di libertà (viene da chiedersi se gli antichi giudici di Gesù sarebbero contenti o scontenti che una sentenza di oggi cancelli l’immagine di quel loro “errore giudiziario” o meglio di quella loro orrenda ingiustizia).

Ma discutiamo pacatamente le ragioni della sentenza di oggi: il crocifisso nelle aule, dicono i giudici, costituisce “una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni” e una violazione alla “libertà di religione degli alunni”.

Per quanto riguarda la prima ragione obietto che quel diritto dei genitori è piuttosto leso da legislazioni stataliste che non riconoscono la libertà di educazione e che magari usano la scuola pubblica per indottrinamenti ideologici.

La seconda ragione è ancor più assurda. Il crocifisso sul muro non impone niente a nessuno, ma è il simbolo della nostra storia. Una sentenza simile va bocciata anzitutto per mancanza di senso storico, cioè di consapevolezza culturale, questione dirimente visto che si parla di scuole. Pare ignara di cosa sia la storia e la cultura del nostro popolo.

Per coerenza i giudici dovrebbero far cancellare anche le feste scolastiche di Natale (due settimane) e di Pasqua (una settimana), perché violerebbero la libertà religiosa.

Stando a questa sentenza, l’esistenza stessa della nostra tradizione bimillenaria e la fede del nostro popolo (che al 90 per cento sceglie volontariamente l’ora di religione cattolica) sono di per sé un “attentato” alla libertà altrui.

I giudici di Strasburgo dovrebbero esigere la cancellazione dai programmi scolastici di gran parte della storia dell’arte e dell’architettura, di fondamenti della letteratura come Dante (su cui peraltro si basa la lingua italiana: cancellata anche questa?) o Manzoni, di gran parte del programma di storia, di interi repertori di musica classica e di tanta parte del programma di filosofia.

Infatti tutta la nostra cultura è così intrisa di cristianesimo che doverla studiare a scuola dovrebbe essere considerato – stando a quei giudici – un attentato alla libertà religiosa. In lingua ebraica le lettere della parola “italia” significano “isola della rugiada divina”: vogliamo cancellare anche il nome della nostra patria per non offendere gli atei? E l’Inno nazionale che richiama a Dio?

Perfino lo stradario delle nostre città (Piazza del Duomo, via San Giacomo, piazza San Francesco) va stravolto? Addirittura l’aspetto (che tanto amiamo) delle vigne e delle colline umbre e toscane – come spiegava Franco Rodano – è dovuto alla storia cristiana e ad un certo senso cattolico del lavoro della terra: vogliamo cancellare anche quelle?

Ma non solo. Come suggerisce Alfredo Mantovano, “se un crocifisso in un’aula di scuola è causa di turbamento e di discriminazione, ancora di più il Duomo che ‘incombe’ su Milano o la Santa Casa di Loreto, che tutti vedono dall’autostrada Bologna-Taranto: la Corte europea dei diritti dell’uomo disporrà l’abbattimento di entrambi?”

Signori giudici, si deve disporre un vasto piano di demolizioni, di cui peraltro dovrebbero far parte pure gli ospedali e le università (a cominciare da quella di Oxford) perlopiù nati proprio dal seno della Chiesa?

Infine (spazzata via la Magna Charta, san Tommaso e la grande Scuola di Salamanca) si dovrebbero demolire pure la democrazia e gli stessi diritti dell’uomo (a cominciare dalla Corte di Strasburgo) letteralmente partoriti e legittimati (con il diritto internazionale) dal pensiero teologico cattolico e dalla storia cristiana?

La stessa Costituzione italiana – fondata sulle nozioni di “persona umana” e di “corpi intermedi” (le comunità che stanno fra individui e Stato) – è intrisa di pensiero cattolico. Cancelliamo anche quella come un attentato alla libertà di chi non è cattolico?

E l’Europa? L’esistenza stessa dell’Europa si deve alla storia cristiana, se non altro perché senza il Papa e i re cristiani prima sui Pirenei, poi a Lepanto e a Vienna, l’Europa sarebbe stata spazzata via diventando un califfato islamico.

Direte che esagero a legare al crocifisso tutto questo. Ma c’è una controprova storica. Infatti sono stati i due mostri del Novecento – nazismo e comunismo – a tentare anzitutto di spazzare via i crocifissi dalle aule scolastiche e dalla storia europea.

Odiavano l’innocente Figlio di Dio massacrato sulla croce, furono sanguinari persecutori della Chiesa e del popolo ebraico (i due popoli di Gesù) che martirizzarono in ogni modo e furono nemici assoluti (e devastatori) della democrazia e dei diritti dell’uomo (oltreché della cultura cristiana dell’Europa e della civiltà).

Il nazismo appena salito al potere scatenò la cosiddetta “guerra dei crocefissi” con la quale tentò di far togliere dalle mura delle scuole germaniche l’immagine di Gesù crocifisso.

Non sopportavano quell’ebreo, il figlio di Maria, e volevano soppiantare la croce del Figlio di Dio, con quella uncinata, il simbolo esoterico dei loro dèi del sangue e della forza. Lo stesso fece il comunismo che tentò di sradicare Cristo dalla storia stessa.

Se le moderne istituzioni democratiche europee si fondano sulla sconfitta dei totalitarismi del Novecento, non spetterebbe anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo considerare che la tragedia del Novecento è stata provocata da ideologie che odiavano il crocifisso (e tentarono di sradicarlo) e che i loro milioni di vittime si ritrovano significate proprio dal Crocifisso?

Non a caso è stata una scrittrice ebrea, Natalia Ginzburg, a prendere le difese del crocifisso quando – negli anni Ottanta – vi fu un altro tentativo di cancellarlo dalle aule: “Non togliete quel crocifisso” fu il titolo del suo articolo.

Scriveva:

“il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. E’ l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino allora assente. La rivoluzione cristiana ha cambiato il mondo. Vogliamo forse negare che ha cambiato il mondo? (…) Dicono che da un crocifisso appeso al muro, in classe, possono sentirsi offesi gli scolari ebrei. Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato, e non è forse morto nel martirio, come è accaduto a milioni di ebrei nei lager? Il crocifisso è il segno del dolore umano”.

La Ginzburg proseguiva:

“Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino. Il crocifisso fa parte della storia del mondo… prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei e non ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenza dobbiamo situare la solidarietà fra gli uomini… A me sembra un bene che i ragazzi, i bambini, lo sappiano fin dai banchi della scuola”.

Con tutto il rispetto auspichiamo che pure i giudici lo apprendano. “Il crocifisso fa parte della storia del mondo”, scrive la Ginzburg.

Infine il crocifisso è il più grande esorcismo contro il Male. Infatti non è il crocifisso ad aver bisogno di stare sui nostri muri, ma il contrario. Come dice un verso di una canzone di Gianna Nannini: “Questi muri appesi ai crocifissi…”. Letteralmente crolla tutto senza di lui, tutti noi siamo in pericolo.

Per questo potranno cancellarlo dai muri e alla fine – come accade in Arabia Saudita – potranno proibirci anche di portarne il simbolo al collo, ma nessuno può impedirci di portarlo nel cuore. E questa è la scelta intima di ognuno. La più importante.

Antonio Socci

Da Libero, 4 novembre 2009

Saturday, October 31, 2009

Il solo rifugio è fra le braccia della Chiesa

Con qualche perfidia ieri La Repubblica ha titolato “la giornata da incubo di Piero Marrazzo” con queste parole: “vorrei scappare”. La moglie: “Serve un taglio netto”. Poi, anche su questo giornale, c’è la notizia del giorno: “La corsa all’eremo”.
Tutti i quotidiani hanno strologato su questa “fuga” dell’ex governatore del Lazio all’abbazia benedettina di Montecassino (e sulla ricerca, nel Pd, di un candidato alternativo per la Regione che, guarda caso, vanno a cercare fra le file cattoliche). Nessuno si sorprende che nello smarrimento e nell’angoscia si cerchi rifugio in un monastero.
Nessuno però sembra riflettere su quello che significa la Chiesa per tutti noi, anche per chi si professa laico e magari tuona contro i preti. I giornali sembrano aver paura di guardare in faccia la bellezza e la misericordia della Chiesa.
Temono forse di restarne incantati, affascinati. Questo spiega il loro immotivato anticlericalismo. Sparano a zero sulla Chiesa perché non riescono ad esserne indifferenti, mentre magari tentano di tirarla dalla propria parte. La odiano spesso perché sanno che – se si lasciassero andare – rischierebbero di amarla.
La Repubblica, sempre ieri, infatti, lanciava in prima pagina un logorroico sfogo antipapale di Hans Kung, il quale confonde papa Leone XIII con Leone XII (c’è mezzo secolo di distanza fra i due) e se la prende con papa Benedetto XVI perché perdona e accoglie nella Chiesa come il padre misericordioso del “figliol prodigo”.
Attaccano la Chiesa, ma poi tutti sanno che è il solo luogo del mondo dove loro stessi sempre saranno attesi a braccia aperte, anche nell’ultimo istante della vita, da qualunque parte vengano, chiunque siano, qualunque cosa abbiano fatto (pur continuando sempre – la Chiesa – a chiamare Bene il Bene e Male il Male, pur non rinunciando mai alla verità).
La Chiesa spalanca le sue braccia perfino ai suoi persecutori (si pensi a Napoleone). E’ davvero, letteralmente, una cosa dell’altro mondo in questo mondo. Perché agisce come Gesù ed è la presenza nella storia di Gesù stesso.
Infatti ogni uomo che sia provato dal dolore o dal bisogno, anche se cresciuto lontano dalla tradizione cristiana – penso a quegli immigrati di altre religioni che arrivano in Italia in condizioni penose – sa che qui c’è sempre un luogo dove tutti possono ricevere una minestra calda e un abbraccio fraterno, senza nulla chiedere, senza nessuna condizione: è la Chiesa.
Tutti sanno che questo è il luogo della misericordia. Perché tutte le desolazioni del mondo, tutte le afflizioni e le solitudini, tutte le miserie del mondo e tutti i miseri (specialmente i peccatori che sono i più poveri), trovano riparo sotto i rami di questa grande quercia, dentro l’abbraccio di questa tenera madre.
Compresa – come vediamo oggi – la disperazione di un uomo politico che per suoi “errori personali” (come dice lui), errori e debolezze che appartengono a tanti, che purtroppo si respirano nell’aria, si trova in una condizione di “troppa sofferenza” e desidera sparire e così trova rifugio nel silenzio di un chiostro benedettino.
Sì. C’è un luogo del mondo dove sarai sempre accolto. Come scrive il grande Péguy, parlando di Notre Dame di Chartres, quindi parlando della Madonna, figura perfetta della Chiesa:
“il solo asilo nel cavo della vostra mano/
E il giardino dove l’anima si schiude”.
Quando – dentro la tormenta della vita – si prende la via della Chiesa e si entra nella sua pace e si accetta il suo perdono, ci si sente lavati, purificati e perfino rifatti: si rinasce nuove creature. E’ il solo luogo del mondo dove si è amati così come si è. E dove si è perdonati di tutto. E difesi sempre.
Noi cristiani siamo tutti dei perdonati. Come Jean Valjean, il galeotto protagonista dei “Miserabili”, viene difeso dal vescovo di Digne, monsignor Myrel, per il furto commesso ai suoi stessi danni.
La Chiesa, come la Madonna, difende sempre i peccatori (non il peccato, ma i peccatori) e così li purifica e dona loro il tesoro più grande: il perdono di Dio, la carezza del Nazareno.
Péguy scrive ancora:
“Noi ci siamo lavati da una così grande amarezza,/
Stella del mare e degli scogli,/
Noi ci siamo lavati da una così bassa schiuma,/
Stella della barca e delle reti./
Abbiamo lavato le nostre teste infelici/
da un tal mucchio di sporcizia e di ragionamenti…/
Ce ne han dette tante, o regina degli apostoli,/
Abbiamo perso il gusto per i discorsi./
Non abbiamo più altari se non i vostri,/
Non sappiamo nient’altro che una preghiera semplice”.
Quando un uomo arriva ad aver nausea dei discorsi del mondo e a non sapere “nient’altro che una preghiera semplice”, in ginocchio davanti alla “fanciulla di Nazaret”, significa che è già in salvo.

Antonio Socci

Da “Libero”, 29 ottobre 2009

Monday, October 26, 2009

L'uomo adulto e libero tace

Una prova del fatto che si è “adulti” è rimanere in silenzio quando gli altri parlano. Diciamolo meglio, è lasciare che gli altri abbiano non solo la prima ma anche l’ultima parola.
Quando si è giovani si sente forte l’impulso di dire la propria e di dirla con fermezza, sempre. Gli altri devono ascoltare le tue ragioni. Vuoi addirittura convincerli. Tutto questo si chiama auto-affermazione e … debolezza.
Poi passa il tempo, ci si legge dentro e si comprende che se si hanno le idee chiare, se sai chi sei, se sai ascoltare la voce che ti parla nel profondo, non hai più bisogno di dimostrare niente a nessuno, e finalmente taci. È una sensazione piacevole, giacché senti e saggi la tua forza. Ed è anche un bel passo avanti verso la vera libertà!

Monday, October 19, 2009

L’idea (disastrosa) dell’ora di Islam e il rischio della scuola coranica

Riporto le sensatissime riflessioni di Vittorio Messori, pubblicate sul Corriere della Sera di oggi.
L’immagine a corredo dell’articolo, recuperata dalla rete, è stata inserita per iniziativa autonoma del curatore del blog. Il cartello nella foto recita: "L’Europa è il cancro. L’Islam è la risposta".

Ancora una volta, riecco l’invocazione scaramantica: «Ci vorrebbe l’ora di…». Stavolta, quella nuova, da istituire subito nelle scuole pubbliche, sarebbe «l’ora di Islam». C’è qualcosa di drammati­co, ma anche di grotte­sco, nella parabola, vec­chia ormai di due secoli, delle funzioni che si so­gna di affidare alla «scuo­la di Stato». C’è, qui, un mito nato — come tanti — dagli schemi ideologi­ci di giacobini e girondi­ni. Non lo scettico Voltaire ma il fervoroso Rousseau fu il maestro di quei signori: si nasce buoni, il peccato originale è una favola disastrosa, date ai fanciulli dei maestri acconci ed avrete il regno della bontà, dell’altruismo, del civismo. Sorgono difficoltà sempre nuove? Ma dov’è il problema? Basterà inserire nella scuola pubblica delle apposite «ore di…» che educhino al bene e al buono i nuovi virgulti; e tutto sarà ripianato. Da noi, il Cuore deamicisiano è l’icona caricaturale di questi nuovi templi di un’umanità plasmata dalla Ragione e strappata alla superstizione. Succede, però, che proprio nell’Occidente laicamente formato, abbiano trovato folle entusiaste le ideologie mortifere che hanno devastato i due secoli seguiti al trionfo delle utopie roussoiane. Ma poiché gli ideologi hanno per motto «se la realtà non coincide con la teoria, tanto peggio per la realtà», il mito ha continuato ad agire. Il sesso fra gli adolescenti crea gravidanze incongrue e favorisce violenze? Si istituiscano nelle scuole «corsi di educazione sessuale». Alcol e droghe devastano i giovanissimi? Ecco gli esperti per gli appositi «corsi contro le dipendenze». C’è strage su moto e automobili? Subito «corsi di educazione stradale». La convivenza sociale è sempre più turbolenta? Ecco dei bei «corsi di educazione civica». Si potrebbe continuare, ma la realtà è chiara: a ogni problema, una risposta affidata alla scuola. Con il risultato, segnalato da pedagogisti ovviamente inascoltati, o di effetti irrilevanti o addirittura di aggravamento delle situazioni: il confuso istinto di ribellione dei giovani porta a sperimentare e a praticare ciò che è condannato nelle prediche degli adulti, soprattutto se insegnanti. Trasgredire al professore dà tanto gusto come, un tempo, trasgredire al parroco. E ora, tocca all’Islam, la cui presenza tra noi, ogni giorno in crescita, è tra gli eventi che meritano l’inflazionato aggettivo di «storico». Non siamo davanti a una immigrazione, ma a una di quelle migrazioni che si verificano una o due volte in un millennio. Per quanto importa, sono tra i convinti che, sulla lunga durata, l’Occidente si rivelerà per l’islamismo una trappola mortale. I nostri valori e, più ancora, i nostri vizi, corroderanno e, alla fine, faranno implodere una fede il cui Testo fondante non è per nulla in grado di affrontare la critica cui sono state sottoposte le Scritture ebraico-cristiane. Una fede che, in 1400 anni, non è mai riuscita ad uscire durevolmente dalle zone attorno ai tropici, essendo una Legge nata per remote organizzazioni tribali. Una fede che, priva di clero e di un’organizzazione unitaria, impossibilitata a interpretare il Corano — da applicare sempre e solo alla lettera — è incapace di affrontare le sfide della modernità e deve rinserrarsi dietro le sue mura, tentando di esorcizzare la paura con l’aggressività. Ma poi: panini al prosciutto, vini e liquori, minigonne e bikini, promiscuità sessuale, pornografia, aborti liberi e gratuiti, «orgogli» omosessuali, persino la convivenza con cani e gatti, esseri impuri, e tutto ciò di cui è fatto il nostro mondo — nel bene e nel male — farà sì che chi si credeva conquistatore si ritroverà conquistato. Ma questo, dicevo, in una prospettiva storica: per arrivarci passerà molto tempo e molti saranno i travagli, magari i drammi. Per adesso, che fare? Sorprende che, proprio da destra, si proponga lo pseudorimedio che è, da sempre, quello caro alle sinistre: nelle scuole «corsi di Islam», quello buono, quello politically correct . L’idea non ha né capo né coda. Brevemente: poiché, a parte casi particolari, gli allievi islamici sono ancora pochi in ogni classe, bisognerebbe riunirli tutti assieme in una classe sola, almeno per quelle ore. Ed ecco pronta la madrassa, la scuola coranica, che esige che i credenti in Allah stiano unicamente con altri credenti. Stretti in comunità, a cura della nostra Repubblica, chi farà loro lezione? E che gli si insegnerà? Gli ingenui, o insipienti, promotori della proposta si cullano forse nel mito di un «Islam moderato», pensano che esistano schiere di intellettuali musulmani «laici, pluralisti, democratici», pronti ad affrontare concorsi per cattedre di Islam «corretto»? Ignorano che incorrerebbe in una fatwa di morte il muslìm che presentasse la sua religione come una verità tra le altre? Non sanno che relativismo e neutralità religiosa sono frutti dell’illuminismo europeo, ma bestemmie per il credente coranico? Ignorano che l’anno islamico inizia da Maometto e che il tempo e il mondo sono solo del suo Allah? Non sanno che è impensabile il concetto stesso di «storia delle religioni» per chi è convinto che c’è una sola fede e le altre sono o incomplete o menzognere? I politici pensano, allora, di affidare le «ore di Islam» a non islamici, di far spiegare il Corano — in modo «laico e neutrale» — a chi non lo crede la Parola eterna e immutabile di Dio? Fossi un assicuratore, mai stipulerei una polizza sulla vita per simili, improbabili, introvabili docenti. Se l’insegnamento nelle istituende «madrasse della Repubblica italiana» differisse anche di poco da quello delle moschee, l’esplosione di violenza sarebbe inevitabile. E, come troppo spesso è successo con i fautori delle «ore di…», le buone intenzioni produrrebbero frutti disastrosi.

© Corriere della Sera

Wednesday, October 07, 2009

Il nostro cuore batte: la preghiera di Antonio Socci per Caterina

Riporto le commoventi parole che Antonio Socci ha scritto a Maurizio Belpietro, Direttore di Libero, il giornale a cui collabora.
Caro Direttore,
la mia Caterina ha occhi bellissimi. La sua giovinezza ora è distesa su un letto di luce e di dolore. E’ come una Bella addormentata. Ma crocifissa. Mi trovo involontariamente “inviato” nelle regioni del dolore estremo e in questo panorama dolente – se un angelo tiene a guinzaglio l’angoscia – ci sono diverse cose che mi pare di cominciare a capire.
La prima notizia è che il mio cuore batte. Il nostro cuore continua a battere. So bene che normalmente la cosa non fa notizia. Neanche la si considera. Finché non capita che a tua figlia, nei suoi 24 anni raggianti di vita, alla vigilia della laurea in architettura per cui ha studiato cinque anni, d’improvviso una sera il cuore si ferma e senza alcuna ragione. Si ferma di colpo (o, come dicono, va in fibrillazione).
Lì, quando ti si spalanca davanti quell’abisso improvviso che ti fa urlare uno sconfinato “nooooo!!!”, cominci a capire: è la cosa meno scontata del mondo che in questo preciso istante il cuore dei tuoi bimbi, il mio cuore o il tuo, amico lettore, batta.
Quante volte ho sentito don Giussani stupirci con questa evidenza: che nessuno fa battere volontariamente il proprio cuore. E’ come un dono che si riceve di continuo, senza accorgersi. Istante per istante dipendiamo da Qualcun Altro che ci dà vita…
C’illudiamo di possedere mille cose e di essere chissacchì, ma così clamorosamente non possediamo noi stessi. Un Altro ci fa. In ogni attimo. Vengono le vertigini a pensarci. Allora si può solo mendicare, come poveri che non hanno nulla, neanche se stessi, un altro battito e un altro respiro ancora dal Signore della vita (“Gesù nostro respiro”, diceva una grande santo).
Certo, si ricorre a tutti i mezzi umani e a tutte le cure mediche. Che oggi sono eccezionali e personalmente devo ringraziare degli ottimi medici, competenti e umani. Ma anch’essi sanno di avere poteri limitati, non possono arrivare all’impossibile, non potrebbero nulla se non fosse concesso dall’alto e poi se non fossero “illuminati” e guidati.
Rex tremendae majestatis… E’ Lui il padrone e la fonte della vita e di ogni cosa che è. E i nostri bambini e le nostre figlie sono suoi. E’ teneramente loro Padre. Allora – con tutte le nostre pretese annichilite e l’anima straziata – ci si scopre poveri di tutto a mendicare la vita da “Colui che esaudisce le preghiere…”.
Mendico di poter riavere un sorriso da mia figlia, uno sguardo, una parola… D’improvviso ciò che sembrava la cosa più ovvia e scontata del mondo, ti appare come la più preziosa e quasi un sogno impossibile… Son pronto a dare tutto, tutto quello che ho, tutto quello che so e che sono, darei la vita stessa per quel tesoro.
Ci affanniamo sempre per mille cause, obiettivi, ambizioni che ci sembrano così importanti da farci trascurare i figli. Ma oggi come appare tutto senza alcun valore al confronto dello sguardo di una figlia, alla sua giovinezza in piena fioritura…
Un gran dono ha fatto Dio agli uomini rendendoli padri e madri: così tutti possono sperimentare che significhi amare un’altra creatura più di se stessi. E così abbiamo una pallida idea del suo amore e della sua compassione per noi…
Caterina è una Sua prediletta, come tutti coloro che soffrono. Mi tornano in mente le parole di quella canzone spagnola cantata splendidamente dalla mia principessa e dedicata alla Madonna, “Ojos de cielo”, che dice: “Occhi di Cielo, occhi di Cielo/ non abbandonarmi in pieno volo”.
Riascolto il suo canto, con il nodo alla gola, come la sua preghiera: “Se guardo il fondo dei tuoi occhi teneri/ mi si cancella il mondo con tutto il suo inferno./ Mi si cancella il mondo e scopro il cielo/ quando mi tuffo nei tuoi occhi teneri./ Occhi di cielo, occhi di cielo,/ non abbandonarmi in pieno volo./ Occhi di cielo, occhi di cielo,/ tutta la mia vita per questo sogno…/ Se io mi dimenticassi di ciò che è vero/ se io mi allontanassi da ciò che è sincero/ i tuoi occhi di cielo me lo ricorderebbero,/ se io mi allontanassi dal vero./ Occhi di cielo..”.
E infine quell’ultima strofa che oggi suona come un presagio: “Se il sole che mi illumina un giorno si spegnesse/ e una notte buia vincesse sulla mia vita,/ i tuoi occhi di cielo mi illuminerebbero,/ i tuoi occhi sinceri, che sono per me cammino e guida./ Occhi di cielo…”.
E’ con questa speranza certa che subito ho affidato il mio tesoro e la sua guarigione nelle mani della sua tenera Madre del Cielo. Per le parole, chiare e intramontabili di Gesù che ci incitano “chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”, che promettono “qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome, egli ve la darà” e che esortano a implorare senza stancarsi mai come la vedova importuna del Vangelo (che – se non altro per la sua insistenza – verrà esaudita).
Sappiamo che la Regina del Cielo è con noi: pronta ad aprirci le porte dei forzieri delle grazie. E’ lei infatti il rifugio degli afflitti e la nostra meravigliosa Avvocata che può ottenere tutto dal Figlio. Già il primo miracolo, a Cana, gli fu dolcemente “rubato” da lei che ebbe pietà di quella povera gente…
In questi giorni ho ricordato le pagine del Monfort e quelle di s. Alfonso Maria de’ Liguori, “Le glorie di Maria”. E’ stupefacente come duemila anni di santi e di sante ci invitano a essere certi del soccorso della Madonna perché “non si è mai sentito che qualcuno sia ricorso alla tua protezione, abbia implorato il tuo aiuto, abbia cercato il tuo soccorso e sia stato abbandonato” (S. Bernardo).
“Ogni bene, ogni aiuto, ogni grazia che gli uomini hanno ricevuto e riceveranno da Dio sino alla fine del mondo, tutto è venuto e verrà loro per intercessione e per mezzo di Maria” (s. Alfonso), perché così Dio ha voluto.
Infatti “nelle afflizioni tu consoli” chi in te confida, “nei pericoli tu soccorri” chi ti chiama: tu “speranza dei disperati e soccorso degli abbandonati”. Misero me se non la riconoscessi come Madre, convertendomi (questo significa: “sia fatta la tua volontà”) e lasciandomi guarire nell’anima. Per ottenere anche la guarigione del corpo.
Ma quanto è commovente accorgersi di avere una simile Madre quando si sente concretamente il suo mantello protettivo fatto dai tanti fratelli e sorelle nella fede, pronti ad aiutarti, dai giovani amici di Caterina, bei volti luminosi che condividono l’esperienza cristiana suscitata da don Giussani, dai tantissimi amici di parrocchie, comunità, dagli innumerevoli conventi di clausura e santuari – compresi radio e internet – dove in questi giorni si implora la Madonna per Caterina. Come non commuoversi?
Ho ricevuto decine di mail anche da persone lontane dalla fede che, per la commozione della vicenda di mia figlia, sono tornate a pregare, si sono riaccostate ai sacramenti dopo anni. E hanno compreso di avere una Madre buona che si può implorare e che non delude.
Ma è anzitutto della mia conversione che voglio parlare. Ci è chiesto un distacco totale da tutto ciò che non vale e non dura. Perché solo Dio non passa. Cioè resta l’amore.
Così quando ho saputo dei 4 mila bambini malati di un lebbrosario in India che, con i missionari (uomini di Dio stupendi e immensi), hanno pregato per la guarigione di Caterina, dopo l’emozione ho capito che quei bimbi da oggi fanno parte di me, della mia vita e della mia famiglia.
E così pure i poveri moribondi curati da padre Aldo Trento in Paraguay che hanno offerto le loro sofferenze per Caterina. Voglio aiutarli come posso.
Portando tutto il dolore del mondo sotto il mantello della Madre di Dio, affido a lei la guarigione di Caterina, perché torni a cantare “Ojos de cielo” per tutti i poveri della nostra Regina.
“Mia Signora, tu sola sei la consolazione che Dio mi ha donato, la guida del mio pellegrinaggio, la forza della mia debolezza, la ricchezza della mia miseria, la guarigione delle mie ferite, il sollievo dei miei dolori, la liberazione dalle mie catene, la speranza della mia salvezza: esaudisci le mie suppliche, abbi pietà dei miei sospiri, tu che se la mia regina, il rifugio, l’aiuto, la vita, la speranza e la mia forza” (S. Germano).
Antonio Socci
fonte: @ Libero, 6 ottobre 2009


Monday, October 05, 2009

Il Timone su Benedetto XVI: corso di apologetica

SCUOLA DI APOLOGETICA: 14-21-28 novembre e 12 dicembre

IL MAGISTERO DI BENEDETTO XVI

La terza enciclica di Benedetto XVI "Caritas in veritate" ha riproposto con forza la centralità del Magistero petrino nella vita della Chiesa e del mondo. In un'epoca segnata dall'assensa di "maestri" autorevoli e ascoltati, il mondo dei media, della politica e della finanza si è fermato a commentare le parole del Santo Padre, magari senza averle veramente lette.
Adesso si tratta di utilizzare questo Magistero per formare le persone.
Il presente Corso della Scuola di apologetica vuole attirare l'attenzione non soltanto sull'enciclica "Caritas in veritate" ma su alcuni punti qualificanti e centrali dell'insegnamento del Papa, affinché questi interventi possano successivamente essere ripresi in pubbliche conferenze.

Tutti i docenti sono collaboratori del Timone

PROGRAMMA

sabato 14 novembre 2009
ore: 16.00 - 18.00
LA RAGIONE CONTRO LA "DITTATURA DEL RELATIVISMO".
Il discorso di Ratisbona.
docente: Giacomo Samek Lodovici
(Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano)

sabato 21 novembre 2009
ore: 16.00 - 18.00
I "PRINCIPI NON NEGOZIABILI"
docente: Mario Palmaro
(Università Europea di Roma)

sabato 28 novembre 2009
ore: 16.00 - 18.00
ROTTURA O RIFORMA NELLA CONTINUITÀ?
La corretta interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano II
docente: Marco Invernizzi
(Università Europea di Roma)

sabato 12 dicembre 2009
ore: 16.00 - 18.00
LA SPERANZA CRISTIANA.
L'analisi dell'età moderna e del cristianesimo proposta nell'enciclica
Spe salvi di Benedetto XVI
docente: Laura Boccenti
(Liceo classico Monforte di Milano)

Costo del Corso: € 80,00 (pagamento da effettuare alla prima lezione)

Le lezioni si svolgeranno presso la Biblioteca Sant'Agostino, nella sede del Timone.
Via Benigno Crespi 30/2 - 20159 Milano

Per le prenotazioni rivolgersi entro il 30 ottobre 2009 alla segreteria del Timone:
tel: 02.668.252.06 o per e-mail: karin@iltimone.org specificando:
nome, cognome, codice fiscale, telefono, indirizzo, e-mail.

Wednesday, September 30, 2009

Il nome di Maria

“O tu che sei immerso nelle vicissitudini della vita e, più che camminare sulla solida terra, hai l’impressione di essere sballottato fra tempeste e uragani: se non vuoi finire travolto dall’infuriare dei flutti, non distogliere lo sguardo dal chiarore di questa stella!

Se insorgono i venti delle tentazioni, se t’imbatti negli scogli delle tribolazioni, guarda la stella, invoca Maria!

Se vieni assalito dalle onde della superbia, dell’ambizione, della calunnia, dell’invidia, della gelosia: guarda la stella, invoca Maria. Se l’ira, l’avarizia o le lusinghe della carne scuotono la navicella della tua anima: guarda la stella, invoca Maria.

Se turbato dall’enormità dei tuoi peccati, confuso per le brutture della tua coscienza, atterrito dal rigore del giudizio stai per venire risucchiato dal baratro della tristezza e dall’abisso della disperazione, guarda la stella, invoca Maria.

Nei pericoli, nelle difficoltà e nei momenti di incertezza, guarda la stella, invoca Maria. Abbi il suo nome sempre sulle labbra, abbila sempre nel cuore e se vuoi ottenere l’aiuto della sua preghiera, non tralasciare di imitarne gli esempi.

Seguendo lei non andrai fuori strada, pregandola non dispererai, pensando a lei non sbaglierai.

Se ella ti sostiene non cadrai, se ella ti protegge non avrai nulla da temere, se ella ti guida non ti affaticherai, se ti sarà favorevole giungerai alla mèta e così potrai sperimentare tu stesso quanto giustamente sia stato detto: ‘e il nome della vergine era Maria’”.

[Preghiera di Bernardo di Chiaravalle, riportata da Antonio Socci nel post di ieri]

Friday, September 25, 2009

Invito a pregare per Caterina, la figlia di Antonio Socci

Caterina, la figlia ventiquattrenne di Antonio Socci, è da alcuni giorni in coma a seguito di un arresto cardiaco. Riporto di seguito l’aggiornamento odierno del blog del giornalista.
Oggi, nel primo pomeriggio, Caterina avrebbe dovuto laurearsi in Architettura. Aveva passato tutta l’estate sulla tesi…. Ma non è il momento dello struggimento. Siamo in battaglia e come soldati bisogna stare all’istante presente, senza nostalgie.
Dobbiamo combattere con e per Caterina. Come lei sta facendo: ieri è stato evidente. Ha fatto altri “piccoli” passi che in realtà sono grandi scalate, come il fatto di respirare da sola…
Ieri era anche la festa di padre Pio: avevo chiesto al Padre un bel regalo per Caterina. Ne è arrivato uno inimmaginabile e grandioso: la visita della Regina del Cielo. Sì, sono certo che la Madonna è sempre lì con lei, ma ieri in modo speciale quegli “ojos de cielo” che Caterina canta con tanta passione (l’avete sentita), l’hanno teneramente abbracciata…
In breve: in mattinata mi telefona Marija Pavlovic (una dei sei veggenti di Medjugorje), nostra grande amica che già da giorni prega per Caterina, e mi dice che – per una serie di circostanze – può venire a Firenze e vorrebbe far visita a Cate proprio nell’ora della quotidiana apparizione.
E’ arrivata, abbiamo partecipato alla messa e poi è andata da mia figlia con mia moglie, mentre noi, con gli amici di Cate, recitavamo il rosario fuori. La Madonna è venuta, stava in cima al letto, dietro la testa di Caterina. L’ha benedetta e ha benedetto Alessandra e Marija che ha chiesto il miracolo della guarigione per Caterina.
La Madonna ha ascoltato e ha iniziato a pregare. Ci ha fatto capire col suo gesto che bisogna affidarsi totalmente a Lei e pregare ancora. E noi instancabilmente continuiamo…

Ce l’hanno insegnato i santi. San Francesco di Paola ha detto: “E’ cosa certa quel che vi dico: tutto ciò che chiedete nella preghiera abbiate certezza che è già vostro perché così dovrà avvenire per volere della Madonna”.
E alla mistica Maria Valtorta – che fra l’altro è sepolta proprio alla S.S. Annunziata, a Firenze – è stato detto: “Io vi dico: abbiate una fede sconfinata nel Signore. Continuate ad averla nonostante ogni insinuazione e ogni evento, e vedrete grandi cose quando il vostro cuore non avrà più motivo di sperare di vederle…”.

Penso che in questi giorni ci stia facendo capire molte cose preziose. Anzitutto che la vera malattia è quella di noi sani quando siamo lontani da Dio. Gesù ha bisogno che qualcuno lo aiuti a portare su di sé il male degli uomini. Per sanarli.
Noi cristiani che siamo parte del Suo Corpo, offrendoGli le nostre sofferenze e le nostre vite lo aiutiamo in questo. Io sono pieno di stupore e commozione per le tante persone che mi hanno scritto che offrono le sofferenze delle loro diverse prove e malattie… E’ stupore e commozione per l’abbraccio del popolo cristiano…
Una mail che ho ricevuto dice:
“Caterina senza fare nulla muove il mondo. Tutto quello che ci comunichi è un grande miracolo che accade davanti ai nostri occhi. Gesù è qui ora e possiamo vedere la Sua Gloria attraverso la fede del suo popolo. Caterina è i nostri figli e tu e Alessandra siete noi. Continuiamo a Pregare Maria perché Gesù guarisca la vostra e nostra Caterina. Un grande abbraccio. A. T. ”.
Penso anche io che attraverso la sofferenza muta di Caterina, che commuove tanti cuori, la Regina del Cielo stia guarendo tante persone e sono certo che, con l’aiuto delle nostre preghiere e dei nostri digiuni, stia facendo grandi cose. Guarirà anche Caterina, facendola svegliare dal coma e facendola tornare a cantare la bellezza di Dio.

Fra le migliaia (letteralmente) di mail che mi arrivano e a cui tento di rispondere come posso, ne trascrivo una, di una mamma, che dice tutte queste cose:
Cara famiglia che stai soffrendo in un modo tanto simile alla mia, nelle due settimane di coma profondo della mia piccola Elena, una città intera ha pregato per lei. Amici e conoscenti, miscredenti e persone lontane da Dio si sono inginocchiate nelle tante veglie notturne organizzate per la mia piccina. Hanno strappato a Dio una promessa che ora si sta compiendo.
Noi, in sala rianimazione, abbiamo sollecitato continuamente Elena pregando su di lei a voce alta, cantando i canti della messa domenicale che lei, anche se piccolissima, aveva ascoltato, facendole ascoltare tanto Mozart.
Un cervello che dorme va risvegliato! Le ho raccontato tutto quello che avevamo fatto insieme e le ho descritto tutte le cose belle che avremmo fatto ancora e tutte le meraviglie del creato che avrebbero visto i suoi occhi una volta guarita.
Si é svegliata. A dispetto delle sue condizioni definite gravissime. Il Signore ci ascolta. Anche Caterina vi sta sentendo come la mia piccolina. Anche la miocardiopatia dilatativa gravissima, di origine non virale e ancora oggi inspiegabile, si è risolta e il cuoricino di Elena batte senza bisogno di aiuto.
Coraggio, non pensate al domani, vivete giorno per giorno la vostra battaglia e il Signore vi darà forza e pace proprio come a noi.
Continuiamo a pregare per Caterina.
Alessandra.


Queste sono le bellissime testimonianze che mi state dando e che trascrivo qui perché penso possano essere di aiuto per molti. Mentre vi abbraccio tutti ringraziandovi per tutto quello che fate.
Tanti sono rimasti commossi nell’ascoltare “Ojos de cielo” cantata da Caterina con il coro Foné, degli universitari di CL. Nei prossimi giorni cercherò di mettere qui nel blog altri loro canti. Spero che sentire la sua voce e quella dei suoi amici sia un piccolo ringraziamento per le vostre preghiere e le vostre offerte di digiuni. Ma sono certo che la più grande ricompensa vi arriverà dal Cielo…

Antonio Socci

Sunday, September 20, 2009

Il “dopo Boffo” e la trasparenza mancata

Riporto l’intervento di Vittorio Messori sul Corriere della Sera del 13 settembre. Il titolo dell’articolo è quello dato in Et-et.it, il sito dello stesso Messori.
Sul Consiglio Permanente della CEI che si apre domani, graverà l’ombra pesante del “caso Boffo”. In questo Direttorio della Chiesa nazionale – una ventina di presidenti delle Conferenze Episcopali italiane - non regna l’unanimità sulle responsabilità della crisi e sulla sua gestione. Soprattutto, su quella difesa ad oltranza, “a prescindere”, su quelle invettive di “disgustoso attacco al cristianesimo di oscure forze laiciste”: e, il tutto, senza preoccuparsi di spiegare come davvero fossero andate le cose, esibendo le carte. In effetti, se i vertici della CEI ed alcuni vescovi hanno dato a Dino Boffo, come giusto, la loro solidarietà umana ma sono però andati oltre, gridando alla “vergognosa aggressione”, la maggioranza dei vescovi ha taciuto o si è limitata a qualche cenno dovuto. Particolarmente significativo, poi, è parso il silenzio – anzi, qualcosa in più, stando alla nota intervista al direttore Vian – dell’Osservatore romano.
È certo che, nella sua prolusione di domani, il cardinal Bagnasco ribadirà la difesa del direttore dimissionario, forse sfumando solo i toni indignati: ma questa è ormai la linea assunta nella concitazione del primo momento e non è consuetudine ecclesiastica ritrattare, una volta fatta, bene o male, una scelta.
Comunque, da stamane si discuterà dell’affaire a porte chiuse: non si tratta, infatti, di una vicenda secondaria e passeggera, bensì di un evento devastante per i vertici dell’episcopato che avevano concentrato in un uomo solo – per giunta a rischio di ricatto - tutto il sistema informativo della Chiesa italiana. Lo tsunami che si è scatenato da nove colonne in prima pagina in un sonnolento venerdì di fine agosto, ha spiazzato chi, nella Gerarchia, sapeva, ma pensava che la faccenda, dopo cinque anni, fosse ormai sepolta per sempre tra le carte di un tribunale di provincia.
Imprudenza o ingenuità? In ogni caso, un comportamento sconcertante per chi non deve avere né l’una né l’altra pecca. Qualcuno, va pur detto, si è rallegrato per l’esplosione del caso, sia fuori che dentro la Chiesa: l’antico “fratelli, coltelli” vale anche per gli uomini della Catholica, ai quali la consacrazione non garantisce la santità. Altri – io stesso, se è lecito un cenno personale – ne sono rimasti addolorati, sia per la violenza feroce dell’attacco a un collega professionalmente valente e umanamente stimabile, sia per l’enorme danno alla immagine della Chiesa. Ma c’è rammarico anche per l’ingiustizia delle accuse di “moralismo ipocrita” a chi si era esposto solo per il minimo indispensabile, lontano da invettive e condanne da predicatore. I clericali giustizialisti e moralisti (l’ossessione per l’etica cresce quando la fede diminuisce e, oggi, proprio la fede sembra svanire, come denuncia il Papa) rimproveravano a Boffo questa discrezione.
Sta di fatto che a tutti, nel giro, era nota l’esistenza di una sentenza del tribunale di Terni. E tutti, constatando il radicalizzarsi (qualcuno preferisce parlare di imbarbarimento...) della prassi giornalistica, tutti, tranne forse vescovi e cardinali, sapevano che ai curiosi bastava aspettare: prima o poi, una delle “manine” onnipresenti nei palazzi di giustizia avrebbe consegnato il dossier a qualche cronista. In realtà, ora abbiamo la certezza che quel dossier c’era, ma non lo abbiamo visto, poiché il “condannato” ha ottenuto che ne fosse bloccata l’accessibilità: con le carte sottochiave, siamo ancora in attesa di sapere che sia davvero successo. Sigillati gli atti processuali, morto il giovanotto, per ricostruire la verità, almeno quella giudiziale, ai reporter restava solo la ragazza la cui denuncia aveva innestato il caso. Ma, pure qui, un muro invalicabile: porte sbattute in faccia a chi facesse domande.
È proprio su questa reticenza che, pur con il rispetto dovuto dai credenti verso i Pastori, si vorrebbe richiamare l’attenzione delle Eccellenze ed Eminenze riunite a consiglio. Potremmo citare innumerevoli documenti, a loro firma, che auspicano «massima trasparenza» nella informazione. Potremmo addirittura osare la citazione evangelica, con quel «conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».
Siamo desiderosi di condividere l’indignazione di mitrati e porporati per l’aggressione subita dal direttore. Ma vorremmo farlo conoscendo – nella piena trasparenza, appunto – per quali motivi un tribunale dello Stato è giunto a una sentenza di condanna. Oltretutto, le gravi, croniche perdite del media-system cattolico sono ripianate colle offerte dei fedeli e col loro prelievo fiscale. Non innanzitutto, ma anche, per questo c’è – crediamo - un diritto dei cattolici a sapere com’è andata, almeno nella ricostruzione della magistratura della Repubblica.
L’uscita di scena di Boffo apre, tra l’altro, il problema di una sostituzione che non sarà facile. Il rimescolamento di carte degli anni Novanta, con l’implosione della Democrazia cristiana, ha provocato una diaspora cattolica in tutte le direzioni dello schieramento politico. Credenti espliciti -e relativi voti - a destra, a sinistra, al centro. Da qui, la difficoltà di confezionare ogni giorno un quotidiano che desse spazio adeguato all’informazione politica ma stesse in equilibrio tra posizioni contrastanti, senza scontentare alcuni o favorire altri. Una prodezza quasi da acrobata che a Boffo è riuscita per ben quindici anni, grazie anche alla finezza e all’esperienza di quel suo “inventore”, e grande suggeritore, che è stato il cardinal Ruini. Sarà arduo trovare chi saprà ricominciare l’impresa.
Altre scelte, come sempre non facili, attendono i vescovi: è ogni giorno più ampio, ad esempio il fronte di possibili confronti polemici su problemi che riguardano, in senso lato, il corpo umano, con la sessualità, la generazione, il fine vita. Ma a 139 anni giusto a oggi, dalle cannonate di Porta Pia, la storia ha ogni volta confermato che, alla fine, il compromesso tra esigenze dello Stato e istanze della Chiesa può essere trovato. E che una convivenza pacifica è possibile. Non saranno episodi, anche clamorosi ma alla fine archiviati, che smentiranno questa costante – piaccia o no – della storia italiana, nella quale anche l’anticlericalismo più fiero non ha mai potuto disconoscere un’impronta due volte millenaria. Raffaele Cadorna, il generale che bombardò e prese la Roma di Pio IX, non era forse - egli pure – un devoto cattolico da Messa quotidiana?
© Corriere della Sera

Sunday, September 13, 2009

V. Messori e le ragioni del monito di Benedetto VI contro il carrierismo episcopale

Riporto l’intervista di Giacomo Galeazzi a Vittorio Messori su La Stampa di oggi. Il titolo dell’intervista è mio.
Vittorio Messori, lei, oltre che lo scrittore cattolico italiano più letto nel mondo, è l’unico ad aver scritto un libro con gli ultimi due Papi. A chi è diretto il monito contro il carrierismo episcopale di Benedetto VI?
“Lo dico con un sorriso un po’ amaro: nell’Occidente secolarizzato c’è poco da esortare i vescovi a non fare i loro interessi. Ormai sono quasi dei paria. In Francia, in Spagna, in Olanda, in Belgio non contano più nulla, anzi sono visti con gran sospetto o, peggio ignorati come sopravissuti da tollerare. Sotto Zapatero si fa di tutto per non invitarli alle occasioni ufficiali, in Francia è addirittura vietato dalla legge e la situazione è la stessa altrove. Il problema del servirsi della Chiesa invece di servirla può riguardare oggi, credo, soprattutto l’Africa e l’America Latina, dove lo status del sacerdote, e soprattutto del vescovo, è un sogno per molti dei giovani poveri locali, che anche per questo affollano i seminari. Il vescovo nel Terzo Mondo, dove la religiosità è intensa e le autorità civili screditate, è spesso ancora all’apice della scala sociale. Direi quasi come nell’Europa dell’Ancien Régime”.

E in Italia?
“Il problema per i vescovi, più che in Italia (dove il presenzialismo clericale è alto, eppure il potere effettivo debole) soprattutto nel resto d’Occidente, non è fare carriera ma sopravvivere. Nell’Europa centrale e settentrionale, ma soprattutto in Francia e in Germania, stanno accorpando molte diocesi perché non sono più in grado di amministrarsi per mancanza di clero e gli antichi episcopi sono messi sul mercato. In queste condizioni, che peso sociale possono avere e di che lustrini potrebbero ammantarsi? Forse, le preoccupazioni del Papa sono altrove”.

Dove?
“Nella cultura del Terzo Mondo la persona autorevole, il capo – come lo è un vescovo - deve essere circondato da mogli e figli. Il celibato non è considerato una virtù, ma una mancanza che toglie ogni prestigio. Nel suo realismo, in molti Paesi, soprattutto africani ma anche centro e sudamericani, pare che la Chiesa tolleri situazioni che da noi sarebbero inaccettabili. È l’antica teoria del male minore: meglio un clero non impeccabile o l’abbandono del gregge, con comunità ecclesiali allo sbando, senza più guide? Forse è anche qui uno dei motivi per i quali in Africa, cristianizzata con eroici sacrifici dei missionari dell’Ottocento, in molte zone il Corano sta sostituendo il Vangelo. E uno dei motivi per i quali l’America Latina sta diventando rapidamente un Continente ex-cattolico, con l’avanzata impressionante delle sette protestanti. Imam e pastori non hanno il problema del celibato. Comunque, mi lasci fare una precisazione forse controcorrente”.

Prego.
“Chi pratica la storia della Chiesa sa che la prova sanguinosa e terribile della Rivoluzione francese non è stata inutile. I Papi che si sono susseguiti dalla caduta di Napoleone sino a noi formano una catena di uomini di Dio di grande dignità, cultura, impegno, tanto che molti sono già santi e beati e altri lo saranno in futuro. E così molti cardinali e moltissimi vescovi. Il monito di Benedetto XVI si rifà al Vangelo e alle Lettere di Paolo e, dunque, vale per ogni tempo. Ma valeva, soprattutto, per la Chiesa prerivoluzionaria, dove davvero i presuli, tutti nobili, spesso pensavano innanzitutto al prestigio loro e della loro casata. A differenza di altre istituzioni, la Gerarchia cattolica non è declinata col tempo. Anzi, è qualitativamente assai migliorata. E non ingannino le storie di omosessualità clericale, soprattutto nordamericane: il guasto, qui, è dovuto alla sottomissione di quelle Chiesa al “politicamente corretto“, alle porte di conventi e seminari spalancate a chiunque, in nome del “no alle discriminazioni“. Quei fatti, comunque, hanno visto implicati molti religiosi e preti ma solo rarissimi rappresentanti della Gerarchia”.

© La Stampa

Sunday, September 06, 2009

Le carte blindate di Boffo e il riequilibrio dei poteri

Riporto l’articolo di Vittorio Messori sul Corriere della sera di oggi.

È indubbio che è venuto da colui che è pur sempre il Primate d’Italia, oltre che vescovo di Roma, l’input, o almeno l’accettazione, per le dimissioni di Dino Boffo dalla galassia dei media cattolici. Quotidiano nazionale, televisione nazionale, 200 radio in ogni regione: una concentrazione di potere anomala in una Chiesa che non ha sol­tanto trascurata la virtù cardinale della pru­denza (auriga virtutum, la chiamava San Tommaso), lasciando questo suo uomo-immagine esposto a ogni rischio di ricatto, do­po una sentenza che si pensava fosse irrilevante e che restasse sepolta per sempre in un tribunale di provincia. Ma è anche, questa, una Chiesa che ha dimenticato un altro principio praticato dalla gerarchia cattolica di un tempo. Il principio, cioè, del divide et impera: la Catholica è l’ultima «monarchia assoluta», dove il potere illimitato del vertice si regge sull’equilibrio dialettico, sempre felpato ma non sempre idilliaco, dei poteri subordinati. Ora, invece, tutta — dicesi tutta — l’informazione della Chiesa italiana era gestita e controllata da un uomo solo, che su di sé aveva un altro uomo solo: il cardinale presidente della Cei. Un’altra imprudenza, quindi, che ha fatto sì che la crudele, inaspettata rovina professionale di un singolo abbia gettato un’ombra di sospet­to e di discredito su tutto un sistema informativo per il quale, tra l’altro, la Chiesa italiana salassa i suoi bilanci.

Ma se è indubbio che input o, almeno, accettazione per le dimissioni sono venuti dal Vertice stesso della Chiesa, è altrettanto indubbio che la possibilità di defilarsi è stata accolta con sollievo dall’interessato, ad evitare guai peggiori. Lo ha detto egli stesso nella lettera al Presidente della Cei: «la bufera mediatica è lungi dall’attenuarsi», anzi, «si stanno chiamando a raccolta uomini e mezzi in una battaglia che si vuole ad oltranza». Dunque, perché «le ostilità si plachino», è necessario che il bersaglio «compia il sacrificio» di tirarsi indietro. Più che un «sacrificio», le dimissioni hanno offerto a un uomo martoriato, cui va la nostra fraterna comprensione, la possibilità di ritrovare un po’ di sonno dopo la settimana infernale. Ma anche la possibilità di evitare ciò che non ha fatto e che, fa capire nella lettera di congedo, non intende fare: autorizzare, cioè, il tribunale di Terni a pubblicare l’intero fascicolo processuale. Il suo avvocato, in effetti, ha chiesto che quelle carte restino blindate. Come si sa, un magistrato esigeva il rispetto della legge, che stabilisce che la documentazione sia resa nota, ma un suo collega si è opposto per la reputazione del «condannato». Dunque, conosciamo solo le due pagine di conclusioni, senza sapere perché il giudice è pervenuto ad esse.

Anche per questo, dicono, Boffo non ha presentato, almeno sinora, l’annunciata querela contro il Giornale : in questo caso, l’avvocato del denunciato avrebbe diritto di accedere al fascicolo richiuso negli archivi. Ed è ovvio che tutto finirebbe subito su tutte le prime pagine. Ma cosa può esserci in quegli atti, che po­trebbero chiudere una rissa che si è svolta attorno ad elementi formali (pur rilevanti), ma senza rispondere alla domanda vera: che cosa è successo davvero? Anche a questo, in verità, è stato alluso nella lettera di dimissio­ni: «Mi si vuole a tutti costi far confessare qualcosa e allora dirò che, se uno sbaglio ho fatto (...) è il non aver dato il giusto peso a un reato 'bagatellare'». Un termine giuridico, ma, forse anche un curioso riferimento a Céline, lo scrittore «maledetto», e al suo antisemita Bagatelles pour un massacre?

Ci sono, dunque, piccole cose, leggerezze, svagate imprudenze, libertà di linguaggio, cose tollerabili in altri, ma che metterebbero a disagio un uomo al vertice del sistema infor­mativo di una Chiesa che su certe cose non transige? Sembrerebbe. In ogni caso, la riduzione da uomo-istituzione a semplice privato gli ha permesso di alleggerire la pressione dei mastini che, altrimenti, non avrebbero mollato la presa perché la pubblicazione delle carte fosse autorizzata.

Ma l’imprudenza, qui, non sembra abbia contrassegnato solo la parte aggredita. È probabile che il Giornale pensasse che la faccenda si sarebbe subito conclusa, davanti alla evidenza di una condanna, con le dimissioni del direttore, accolte da una imbarazzatissima, e ammutolita, Conferenza Episcopale. Non era stato messo in conto l’arroccamento immediato di questa, il compattamento delle redazioni, la difesa ad oltranza, «a prescindere », da parte di una fetta consistente del mondo cattolico? È probabile. Il risultato po­trebbe rivelarsi un boomerang politico. Una Cei che aveva un parterre moderato, non ostile all’attuale governo, parla ora (come Boffo nella sua lettera) di «un oscuro blocco di potere laicista» che, dall’interno della maggioranza, aggredirebbe la Chiesa. La rivelazione, così brutale, dei possibili «peccatucci» del direttore è stata presentata come un’operazione anticristiana.

E il prossimo responsabile del quotidiano sarà obbligato a una politica meno conciliante con questo governo di quella del suo sfortunato predecessore, noto per la sua moderazione, se non addirittura per un penchant per il centro-destra. Quanto ai molti discorsi, innescati dal caso Boffo, su dissidi e antagonismi tra Segretario di Stato e Presidente della Cei: al di là della diversità di temperamenti e di prospettive (peraltro assai meno accentuata di quanto spesso si affermi), il problema va ben oltre le persone.

Già molti anni fa, in Rapporto sulla fede, Joseph Ratzinger affermava che le più che 100 Conferenze Episcopali del mondo non hanno base teologica, non fanno parte della struttura divina della Chiesa. Questa, osservava, non è una Federazione di Chiese nazionali, dove si converga solo sui grandi principi del Credo. Il potere dei «piccoli vaticani» sparsi nei cinque continenti, uno per ciascuna nazione, va ridimensionato. Pietro è uno solo. E sta a Roma. Divenuto papa, l’allora cardinal prefetto del Sant’Uffizio ha cominciato a provvedere.

Sta qui il motivo del cortese ma fermo avvertimento di Bertone, il suo «primo ministro», a Bagnasco, rappresentante della «Chiesa nazionale italiana». Rispetto e fiducia, si intende, ma le grandi linee di governo vengono avocate a sé dal Vertice della Chiesa. Non è in atto un regolamento di conti tra cardinali (malgrado le attuali difficoltà dell’arcivescovo di Genova per il caso dell’uomo-media ereditato da Ruini), è in atto semmai una strategia di lungo respiro di Be­nedetto XVI per contrastare un per lui inaccettabile «federalismo clericale»

Friday, September 04, 2009

Feltri, dimettiti pure tu e chiudiamo questa brutta storia

Dico io, Feltri, volevi restituire la pariglia a chi fa la morale a Berlusconi? Va bene, restituiscila ai figuri che scrivono per Repubblica & Co., cioè, ai responsabili della campagna diffamatoria. Ma che cosa c’entrava Dino Boffo? È vero che, per le note vicende, aveva criticato il Cavaliere (peraltro, l’aveva fatto in modo misurato), ma dopo mesi di silenzio, un silenzio, guarda caso, ritenuto colpevole da parte dei figuri di cui sopra. Invece tu, Feltri, che hai fatto? Fra tutti hai scelto proprio Boffo e l’hai sbattuto in prima pagina. Hai scritto addirittura che lui è il capobanda degli ipocriti, quello che “ha guidato la campagna moralizzatrice contro Berlusconi”!!! Roba da stropicciarsi le orecchie, avrebbe detto Mortadella. Hai attaccato a testa bassa, hai spacciato per vere delle patacche, ti sei fatto strumento di chi vuol colpire Oltretevere, e tutto ciò … contro il bersaglio sbagliato!
Boffo si è dimesso, e ha fatto bene. In questo modo non trascina la Chiesa e Avvenire nel fango preparato dall’allegro e sagace direttore de il Giornale. Manca però ancora un passaggio per fare vera giustizia: Vittorinoooo, su dai, tocca a te adesso. Ripara la sciocchezza che hai combinato e presenta anche tu una bella lettera di “dimissioni irrevocabili”.

Si veda l’articolo di Antonio Socci, Il boomerang di “Repubblica” e “Giornale”, su Libero di oggi.

Wednesday, September 02, 2009

Caso Feltri-Boffo, brutta scivolata!

Condivido pienamente le osservazioni di Vittorio Messori sul Corriere della Sera di oggi: prudenza avrebbe voluto che, a tempo debito, le gerarchie ecclesiastiche allontanassero Dino Boffo dalla direzione di Avvenire, sia che lui fosse colpevole o innocente, sia che si trattasse di faccenda seria o di un grosso equivoco. La posta in gioco era ed è l’immagine e la coerenza della Chiesa. Brutta scivolata!
Di mio aggiungo che lo stesso discorso vale per Dino Boffo. Perché non si è defilato al momento opportuno? C’è sempre chi rimesta nel torbido, vero o inventato, pur di mettere in cattiva luce l’avversario. Era veramente così ingenuo da pensare che quella storia, anche se in un’ottica volutamente deformata, non gli si sarebbe ritorta contro prima o poi?
È strano che un liberale come Vittorio Feltri, che ha gli Stati Uniti come modello politico-culturale di riferimento, trascuri un aspetto della vicenda Berlusconi: ad un capo di governo è richiesto di avere un comportamento pubblico e privato al di sopra di ogni sospetto. Sempre. Difendere il Cavaliere non significa rimangiarsi il proprio codice etico (se ce l’hai). È questione di immagine e di coerenza. Altra brutta scivolata!

Thursday, August 20, 2009

Il più forte aspetta in silenzio

Questa sera guardavo ancora una volta i tre cani e notavo che, quando si avvicina il momento in cui il padrone prepara loro da mangiare, uno solo non si agita, non abbaia, non piange. Lui si limita ad accucciarsi e a scodinzolare.
Il padrone ha una sola scodella, dalla quale fa mangiare un cane alla volta. Mangiano per primi i due che fanno più cagnara.
Aspettando il suo turno, il terzo cane resta tranquillo. A prima vista, sembrerebbe che abbia fatto qualcosa di male, che l’attesa sia conseguenza di una punizione. Invece, lui è il migliore e il padrone lo sa.
Qualcosa del genere succede anche agli uomini. Alcuni sembrano come puniti. Ma non è così.

Tuesday, August 18, 2009

Michael O'Brien torna in libreria con "L'isola del mondo"

Il nuovo romanzo di Michael D. O’Brien, autore del bestseller «Il Nemico», sulle sofferenze della Croazia, da Tito ai nostri giorni

Tre anni di ricerche. Un anno per scriverlo. C’è un lungo lavoro alle spalle de L’isola del mondo, il nuovo romanzo di Michael D. O’Brien, lo scrittore e pittore canadese autore dei bestseller Il Nemico e Il Libraio. Pubblicato in questi giorni dalla San Paolo, nella traduzione di Edoardo Rialti, L’isola del mondo (pp. 848, euro 26) racconta l’avventurosa vita del poeta croato Josip Lasta. Un viaggio fisico e spirituale, dal vecchio continente al nuovo mondo.
Dall’armonia del villaggio in cui Josip nasce nel 1933, educato alla fede cattolica da genitori esemplari, al caos della seconda guerra mondiale e dell’avvento al potere di Tito. Scampato per miracolo alla violenza delle bande partigiane, che in poche ore gli strappano tutto ciò che ha di più caro, Josip inizia un lungo pellegrinaggio che lo porterà oltreoceano, per poi tornare a casa e ritrovare quello che sembrava perduto. Fino a scoprire che, anche nel male più estremo, c’è sempre la possibilità di conservare il proprio volto.

Davanti a una tazza di caffè a¬mericano, l’autore stesso ci pre¬senta il suo romanzo.

Perché ha scelto di raccontare le sofferenze del popolo croato?
«Per la loro dimensione profetica. Questo popolo cattolico ha ricevuto attacchi in ogni epoca e ha dovuto difendere la sua identità. Riuscendo a preservare la propria fede anche nelle situazioni più ostili, come il regime comunista di Tito. In questo senso rappresenta la battaglia che riguarda ogni credente contro la forza dell’ideologia in tutti i tempi».

Ricostruire le vicende dell’ultimo secolo in questa regione non deve essere stato semplice…
«Da subito, mi sono scontrato con diverse memorie in lotta tra loro: la versione comunista, quella dei nazionalisti serbi, quella degli storici cattolici croati. È stato un lavoro minuzioso e corale: un grosso aiuto m’è venuto dalle testimonianze di sopravvissuti serbi e croati emigrati in Canada, che m’hanno confermato molti fatti negati dalla versione ufficiale. Anche perché, vista l’importanza strategica dei Balcani dal punto di vista politico, economico e religioso, è ancora in corso una guerra di propaganda. Dove, a farne le spese, è la dignità delle persone e il loro diritto di scopri¬re la verità».

Come può un popolo conservare la sua identità, contro tutte le forze che cercano di cancellarla?
«È la questione urgente che ho cercato di esplorare. Andando al cuore del romanzo, potremmo tradurla così: come può una persona restare tale, preservando la sua dignità, in circostanze radicalmente disumane? Credo che l’unico modo sia approfondire la propria identità spirituale in Cristo. È Lui a dirci chi siamo davvero e quanto valiamo, e solo la Chiesa può comunicarcelo. L’ideologia, al contrario, in nome dell’umanità distrugge il singolo».

Come ricorda Benedetto XVI nell’ultima enciclica: «L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano» …
«La creazione di una società giusta può solo venire dal rispetto per la dignità e il valore di ogni vita. Anche quando questa dignità è calpestata, l’uomo deve tenere davanti agli occhi la visione che siamo creati a immagine e somiglianza di Dio. È ciò che permette di restare uomini in qualunque situazione».

È quel che emerge nei capitoli ambientati a Goli Otok, l’ «Isola Calva» della Croazia trasformata da Tito in campo di concentramento.
«Il male e le ideologie feriscono l’umanità. Il cuore di ogni ideologia è sempre antropologico, contiene una concezione dell’uomo. L’ideologia materialistica, qualunque forma assuma, nega il significato intero della persona, riducendola al componente di un meccanismo. Pur non esistendo più i regimi del Novecento, quest’ideologia è ancora viva».

In che forma?
«Pensi al nostro Occidente materialista, dove s’introducono aborto e eutanasia con il pretesto di difendere la libertà dell’uomo. Ecco la frattura: si difende l’umanità, ma al tempo stesso si condanna una parte di essa ad una morte ingiusta. E lo si fa in nome dell’umanesimo. È un nuovo totalitarismo: molto soft, senza lager, ma estremamente potente. Davanti a tutto ciò noi cristiani non possiamo scendere a compromessi: siamo chiamati ad essere, come Gesù stesso, un segno di contraddizione. Un segno di verità e carità davanti al male. È l’unica via per resistere alle forze disumanizzanti dell’ordine mondiale».

Certe pagine del suo romanzo riecheggiano Solzenicyn, quando nel discorso ad Harvard nel 1978 metteva in guardia l’Occidente da un’ideologia ancor più subdola di quella al potere in Urss…
«Non è un caso. Solzenicyn attaccava la debolezza dell’Occidente davanti all’espansionismo sovietico. Ma la sua critica scendeva più in profondità: era rivolta contro la perdita di carattere morale dell’Occidente. Ecco il problema. Per questo, davanti alle sfide della nostra epoca, dobbiamo riscoprire le nostre radici. È una rivoluzione interiore, che coinvolge l’anima e il cuore di ciascuno. Dove l’arma che abbiamo, come per Josip, è una sola: il desiderio di conoscere il vero».

Fabrizio Rossi, su "Avvenire" del 22 luglio 2009

Friday, August 14, 2009

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Tuesday, August 04, 2009

Omosessualità & normalità. Colloquio con Joseph Nicolosi

Ho ricevuto duri commenti da parte di un lettore per il post sullo psicologo Gerard van den Aardweg. Questo lettore non aveva esitato ad esprimere tutto il suo disprezzo verso noi “ipocriti cattolici”, già in occasione della pubblicazione di un altro post sulla terapia riparativa di Joseph Nicolosi.
Riassumo di seguito il senso dei commenti, che poi sono tipici di ogni buon promotore dell’ideologia omosessualista.

Dato che l’omosessualità è un orientamento che ha origini genetiche ampiamente dimostrate dalla scienza [non è un’esagerazione, dice proprio così, ndr], la terapia di quegli studiosi che considerano l’omosessualità come innaturale non è scientifica, bensì ideologicamente motivata. Ora - continua il commentatore -, sempre perché omosessuali si nasce, non è nemmeno verosimile che qualcuno possa soffrire per avere tendenze omosessuali. Infatti, di fronte al caso di chi vive con forte disagio la propria omosessualità, il problema ce l’ha … l’esperto che non aiuta quella persona ad accettarsi così com’è!!! Specialista serio e competente è, invece, quello che si adopera nel persuadere che la sofferenza deriva dai condizionamenti sociali e culturali!!! Rispettando un collaudato cliché, il commentatore non risparmia bacchettate alla Chiesa, che non solo si ostina a considerare l’omosessualità come un disordine morale, ma guarda anche con favore al lavoro di “pseudo-studiosi” [sono ancora parole sue, ndr] impegnati a spiegare le cause psicologiche e familiari della stessa. In sintesi, la visione dell’omosessualità come orientamento innaturale ma reversibile è viziata da “superstizione religiosa” e incompetenza scientifica.

Le argute osservazioni del lettore si commentano da sole. Qualche risposta si può trovare in un post che scrissi più di due anni fa, nonché in quest’altro.
Mi limito qui a far notare una caratteristica che accomuna chi abbraccia l’ideologia omosessualista: il disprezzo e l’intolleranza verso studiosi e dati scientifici che vanno in direzione del tutto contraria, ancor più se questi dati scientifici si traducono in una terapia che favorisce il superamento dell’omosessualità. Detto in altri termini, i fautori dell’ideologia omosessualista vogliono mettere a tacere chi non si adegua, meglio, non si assoggetta alla loro “verità”.
Incoraggiato da tanta apertura mentale e sensibilità democratica, riporto un’intervista a Joseph Nicolosi, pubblicata, ancora una volta, su di una rivista cattolica. Il mio obiettivo, come sempre, è quello di offrire qualche stimolo di riflessione. A beneficio di chi? Bé, certamente non di chi si è convinto che l’orientamento omosessuale è faccenda biologica ampiamente dimostrata dalla scienza. Come si dice, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

Omosessualità & normalità. Colloquio con Joseph Nicolosi
(a cura di Roberto Marchesini, su “Studi Cattolici” n. 525, novembre 2004, pp. 830 – 832)

Il dott. Joseph Nicolosi si occupa da diversi anni di terapia riparativa dell’omosessualità; è cofondatore e direttore dell’Associazione Nazionale per la Ricerca e la Terapia dell’Omosessualità (NARTH), membro dell’Associazione Psicologica Americana, autore di numerosi libri e articoli scientifici. In italiano sono disponibili i seguenti volumi: JOSEPH NICOLOSI, Omosessualità maschile, un nuovo approccio, Milano, Sugarco Edizioni, 2002; JOSEPH NICOLOSI, LINDA AMES NICOLOSI, Omosessualità: una guida per i genitori, Milano, Sugarco Edizioni, 2003. Il sito del NARTH, sul quale è disponibile materiale in italiano, ha il seguente URL: http://www.narth.com/. Roberto Marchesini ha intervistato Joseph Nicolosi per i nostri lettori.

Dottor Nicolosi, cos’è l’omosessualità?
L’omosessualità è un sintomo di un problema emotivo e rappresenta bisogni emotivi insoddisfatti dall’infanzia, specialmente nella relazione con il genitore dello stesso sesso. In altre parole: per il ragazzo che non ha avuto una connessione emotiva con il padre, e per la ragazza che non ha avuto attenzione emotiva da parte della madre, questo può indurli a sviluppare un sintomo di attrazione verso il proprio sesso, o omosessualità.

L’omosessualità è “normale”? E cosa è “normale”?
Io non penso che l’omosessualità sia normale. La popolazione omosessuale è circa il 2 %, 1.5–2 %. Perciò statisticamente non è “normale” nel senso che è molto diffusa. Oltre a questo, non è nemmeno normale in termini di natural design (1). Quando parliamo di legge naturale, e della funzione del corpo umano… quando guardiamo alla funzione del corpo umano, l’omosessualità non è normale. E’ un sintomo di qualche disordine. La normalità è ciò che adempie ad una funzione in conformità al proprio design; questo è il concetto di legge naturale – e in questo senso l’omosessualità non può essere normale, perché l’anatomia di due uomini, i corpi di due uomini, o due donne, non sono compatibili.

Quali sono le cause dell’omosessualità? Ed esiste una causa genetica?
Come ho detto, le cause dell’omosessualità risalgono all’auto-percezione del bambino o della bambina nella prima infanzia. Il ragazzo ha bisogno di un legame con suo padre per sviluppare la sua sostanziale identità maschile, la ragazza ha bisogno di un attaccamento emotivo o legame con sua madre per sviluppare la sua femminilità. E’ il senso di genere che determina l’orientamento sessuale; in altre parole, quando un ragazzo si sente sicuro della sua mascolinità, è naturalmente attratto dalle femmine. E la stessa cosa è vera anche per le femmine: quando una giovane ragazza si sente sicura della sua identità femminile, sarà naturalmente attratta dai ragazzi. L’omosessuale è la persona che è carente o mancante nel senso di genere, e perciò cerca di rimediare, o cerca un rimedio attraverso altre persone. Questa spinta diventa sessualizzata, ecco perché essi manifestano il sintomo dell’omosessualità.
Si fa un gran parlare circa le cause genetiche [dell’omosessualità] e più o meno vent’anni fa negli Stati Uniti si parlava in continuazione di “gene gay”, o di “cervello gay”… ma nessuno studio ha dimostrato questa cosa. Infatti gli attivisti gay negli Stati Uniti non parlano più così tanto di basi biologiche o genetiche, perché nessuno studio lo ha dimostrato e ha offerto un simile riscontro. Sono molto più evidenti le cause familiari e ambientali, specialmente quella che noi chiamiamo la “classica relazione triadica” (2) costituita per il ragazzo da un padre distante, distaccato e critico, da una madre ipercoinvolta, intrusiva e talvolta dominante e da un ragazzo costituzionalmente sensibile, introspettivo e raffinato che è esposto ad un rischio maggiore di sentirsi carente nell’identità sessuale. Noi vediamo questo schema continuamente.
Noi riconosciamo che in molte persone c’è una predisposizione costituzionale all’omosessualità, ma è cosa diversa da una pre-determinazione, o da una “causa” diretta. Cioè, il ragazzo può essere costituzionalmente incline all’omosessualità, nei termini della sua costituzione passiva o delicata, e nella sua difficoltà nel creare un legame con il padre e nel sentirsi fiducioso nei confronti del mondo maschile, ma è necessaria la “classica relazione triadica” ambientale per creare un problema omosessuale a un ragazzo con questa costituzione.

Qual è la differenza tra “gay” e “omosessuale”?
E’ essenziale fare questa importante distinzione tra gay e omosessuali. Gli attivisti gay vorrebbero che noi credessimo che tutti gli omosessuali sono gay. Infatti, persino la gerarchia della Chiesa Cattolica crede che le persone omosessuali siano “gay”. Noi non crediamo che essi siano gay. La parola “gay” indica una identità socio-politica.
Omosessuale, invece, è semplicemente una descrizione di un problema psicologico, di un orientamento sessuale.
Le persone che vengono nella nostra clinica, che cercano un aiuto, hanno un problema omosessuale, ma rifiutano l’etichetta di gay. Non vogliono essere chiamati “gay” perché non si riconoscono in quella identità socio-politica e con lo stile di vita gay.

Il movimento gay è un movimento per i diritti umani?
Da un certo punto di vista lo è, è un movimento per i diritti umani, o per i diritti civili, perché tutte le persone, non importa quale sia il loro orientamento sessuale, devono godere dei loro diritti civili – comunque questo non significa che la società debba ridefinire il matrimonio; questo è un altro argomento e va oltre lo scopo di questa conversazione.
Noi crediamo che molti attivisti gay hanno usato la questione dei diritti civili o delle libertà civili come un modo per opprimere persone che stanno cercando di cambiare, persone che stanno cercando di uscire dall’omosessualità. C’è una intera popolazione di individui che sono uscite o che stanno uscendo dall’omosessualità, e questo fatto è una minaccia per gli attivisti gay, e gli attivisti gay stanno tentando di sopprimere e far passare sotto silenzio questo punto di vista, questa popolazione.

I ricercatori dicono che gli omosessuali soffrono molto. La causa di questa sofferenza è l’omosessualità o l’omofobia sociale?
Noi crediamo che ci sia della sofferenza per le persone omosessualmente orientate nella società, perché la cultura gay è minoritaria in questa società e perché gli obiettivi sociali del movimento gay costituiscono una minaccia per il corpo sociale perché i gay vogliono ridefinire il matrimonio, la natura della genitorialità, e la norma sociale fondamentale circa il sesso e il genere, perciò la società ha resistito alla normalizzazione dell’omosessualità e alla visibilità dei gay. E riconosciamo che questo sia difficile per le persone che si identificano come gay.
Comunque, ciò di cui non si parla è il disordine intrinseco nella condizione omosessuale.
Noi crediamo che l’omosessualità sia intrinsecamente disordinata (3), e contraria alla vera identità dell’individuo; e molti dei sintomi dei quali soffrono le persone gay e lesbiche non sono causate dall’omofobia sociale ma perché la condizione stessa è contraria alla loro vera natura.
Moltissimi studi mostrano che gli omosessuali sono più infelici, depressi, predisposti a tentativi di suicidio, hanno relazioni povere, sono incapaci di sostenere relazioni a lungo termine, hanno comportamenti autolesionistici e disadattati. Ma non si può semplicemente dire che tutto ciò sia causato dall’omofobia della società. In parte lo è; ma io credo che la maggior parte della sofferenza sia dovuta alla natura disordinata della stessa omosessualità – perché contrasta la nostra natura umana.

Il cambiamento è possibile?
Il cambiamento è davvero possibile. Noi vediamo sempre più individui che vogliono farsi avanti pubblicamente e dare la loro testimonianza. Cinque anni fa sarebbe stato molto difficile trovare un ex omosessuale che volesse esporsi, ma fortunatamente oggi uomini e donne che erano dichiaratamente gay e lesbiche, che vivevano lo stile di vita gay, ora vogliono discutere apertamente del loro processo di cambiamento. Molti di loro sono sposati con bambini, e gli era stato detto che non avevano altra scelta che essere gay, e che avevano un gene dell’omosessualità, e che dovevano imparare ad accettarlo, ma queste persone sono state capaci di andare a fondo nelle cause della loro attrazione verso il proprio sesso. E allora hanno scoperto che molte delle loro sofferenze erano dovute a cause emotive. E quando questi bisogni emotivi sono stati riconosciuti onestamente e soddisfatti in maniera sana, il loro desiderio omosessuale è diminuito.

Cos’è la terapia riparativa?
La terapia riparativa è un particolare tipo di psicoterapia che è applicata agli individui che vogliono superare la loro attrazione omosessuale. E’ una terapia particolare che guarda alle origini e alle cause di questa condizione, che aiuta il cliente a comprendersi, insegnandogli a capire cosa è successo nella sua infanzia, a capire gli eventi particolari che gli sono accaduti, specialmente nei termini delle relazioni con sua madre e suo padre, e ad andare oltre a tutto ciò… a sostenere il cliente nel creare quelle nuove relazioni che sono sane, che sono benefiche, e che compensano il vuoto emotivo che si è creato nel suo sviluppo.
La terapia riparativa studia davvero a fondo le tecniche che sono più efficaci nel diminuire l’omosessualità di una persona e a sviluppare il suo potenziale eterosessuale.

Quali sono le basi teoriche della terapia riparativa?
Fondamentalmente la terapia riparativa inizia, teoricamente, con la terapia psicodinamica, ossia quella che studia le forze inconsce che governano il comportamento delle persone. Dal punto di vista teorico noi crediamo che i bisogni emozionali non soddisfatti vengano espressi indirettamente sottoforma di sintomi, e nel caso dell’omosessualità come attrazione omosessuale; ma che l’omosessualità non riguardi davvero il sesso, quanto piuttosto il tentativo di acquistare soddisfazione emotiva e identificazione, completamento, attraverso il comportamento sessuale; tentativo che però non funziona, ed è questo il motivo per cui le persone vengono da noi.
Molti degli sviluppi teorici sono basati sulla teoria psicodinamica classica: noi usiamo molti concetti freudiani – come è noto, Freud (4) pensava che l’omosessualità fosse un disordine dello sviluppo, e che fosse una condizione che potesse essere soggetta a trattamento.
Anche se lo stesso Freud fu un difensore dei diritti dei gay, credeva che il trattamento dovesse essere disponibile per quelli che volevano cambiare, e noi seguiamo la stessa linea di tradizione.
Noi usiamo anche molto della “teoria dell’attaccamento” di John Bowlby (5), di quella delle relazioni oggettuali (6) e della self-psychology (7), molto popolare negli Stati Uniti. Noi lavoriamo anche con la famiglia d’origine, aiutando il paziente a comprendere le sue relazioni con la sua famiglia, il suo ruolo nella famiglia, e come il posto da lui occupato nella struttura familiare lo ha condotto al fallimento nella acquisizione del proprio genere.

Note.
(1) Il termine design, difficilmente traducibile, può essere reso con scopo, progetto, modello. Si tratta del concetto tomista di “natura”: è l’essenza in relazione alla funzione o attività della cosa.
(2) Cfr. IRVING BIEBER e coll, Omosessualità, Roma, “Il Pensiero Scientifico” Editore, 1977.
(3) Cfr. “Occorre invece precisare che la particolare inclinazione della persona omosessuale, benché non sia in sé peccato, costituisce tuttavia una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale. Per questo motivo l’inclinazione stessa deve essere considerata come oggettivamente disordinata”, Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, § 3, 01/10/1986.
(4) Sigmund Freud (1856–1939), fondatore della psicoanalisi.
(5) John Bowlby (1907–1990), psicoanalista e psichiatra infantile, sviluppò la “teoria dell’attaccamento” sul legame affettivo tra la madre e il bambino.
(6) La “teoria delle relazioni oggettuali” riguarda lo studio delle relazioni tra il soggetto e persone esterne reali, immagini e residui di relazioni con esse e del significato di esse per il funzionamento psichico. Tra i principali interpreti di questo approccio si ricordano Melanie Klein (1882 - 1960), William Ronald Dodds Fairnbairn (1889-1964) e Donald Woods Winnicott (1896-1971).
(7) Elaborata, a partire dalla psicoanalisi freudiana, da Heinz Kohut (1913–1981), la self-psychology (o psicologia del sé) individua in una inadeguata relazione bambino – adulto lo sviluppo di un sé narcisistico.