Aggiornamento. Può essere interessante leggere quest’altro intervento di Claudio Risé sul settimanale Tempi del 15/03/2007, dal titolo "Ottuso è chi non vuole sentir parlare di cure per l'omosessualità".
Forse la "sgrammaticata" legge sui Dico (come l'ha chiamata il presidente della commissione Giustizia, il diessino Cesare Salvi) e il surriscaldamento del dibattito sulle coppie omosessuali stanno servendo a qualcosa. Certamente a pugnalarsi per qualche riga di intervista in più, o per una foto. Però forse anche a far pensare qualcuno, ad aiutarlo a riflettere, a capire. A me è capitato, ad esempio, di pubblicare in questo periodo, in una collana da me diretta per San Paolo, Oltre l'omosessualità di Joseph Nicolosi. L'autore è uno psicoterapeuta che fa scandalo perché, quando un omosessuale gli chiede di essere aiutato a uscire da una condizione nella quale si sente profondamente infelice, prende sul serio la richiesta del paziente. Offrendo quell'ascolto, umile, attento e affettivo che è alla base di ogni terapia che sia tale, prima e dopo la "scoperta" della psicoanalisi. Ascoltare il dolore e, così facendo, consentirgli di scoprire il proprio significato e, quando possibile, la propria trasformazione in qualcosa d'altro, più autenticamente proprio. Naturalmente è successo il finimondo. Accuse di omofobia, gare su internet per decidere se sono più omofobo io o la senatrice Paola Binetti e via delirando, senza leggere una riga di cosa ho scritto nella prefazione al libro o in altri articoli.
Però, nel putiferio, anche la possibilità di ridire le cose, e di far pensare. «Perché considerare i gay "malati"?», mi è stato chiesto. Il lavoro terapeutico - ho potuto rispondere - non consiste nell'affibbiare etichette, ma nell'ascoltare il vissuto delle persone. Sono loro che, molto spesso, presentano il proprio orientamento sessuale come un disagio insopportabile. A quel punto o assumi una posizione "ideologica" (l'omosessuale non ha disagi perché vive una condizione gaia e felice) e lo mandi dallo psichiatra perché il suo "male" è immaginario. Oppure lo ascolti, e lo aiuti a cercare la via d'uscita (o di distanziamento) da una condizione che non sopporta.
Altra accusa è quella di bigottismo: perché, ci si chiede, solo i cattolici sostengono le terapie dell'omosessualità? La verità è che anche i lama tibetani considerano "disordinate e dannose" le sessualità al di fuori della coppia uomo-donna, possibilmente monogamica. E comunque tutti i terapeuti di formazione religiosa (gli evangelici, gli anglicani e gli altri) sui disagi "da dipendenza" sono più attivi rispetto a quelli di formazione agnostica, che puntano solo sull'adattamento. I primi, peraltro, sono anche più efficaci: gli "alcolisti anonimi" vengono dritti dalla tradizione protestante.
Ma allora quelli che dicono che parlare di cure è fuorviante, sempre? Sono ideologi e non clinici. Come gli scienziati del Terzo Reich, che mandavano gli omosessuali nelle camere a gas perché "dovevano" essere malati, sempre. Scienziato è chi pensa con la propria testa, guardando la vita e ascoltando gli affetti, non agitando un libretto dove c'è scritto cosa devi pensare. Scienziati-pappagalli dell'ideologia del momento, il secolo scorso ce ne ha forniti fin troppi.
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