Friday, April 27, 2007

Mi sciroppo l'ultimo libro di J. Nicolosi

Ho letto di lui, ma mai qualcosa di suo. So che lo psicoterapeuta americano ha molti nemici per il fatto di parlare fuori del coro e che la Chiesa cattolica guarda il suo lavoro con favore. Recentemente, il professor Claudio Risé è stato oggetto di forti attacchi per averne pubblicizzato la terapia in occasione dell’uscita italiana del suo ultimo libro (vedi copertina a lato). Dato che le chiacchiere stanno a zero, sono passato in libreria e ho acquistato finalmente questa “pietra dello scandalo”. Prevedo che sarà una lettura tosta, ma a me sta bene.

Aggiornamento. Può essere interessante leggere quest’altro intervento di Claudio Risé sul settimanale Tempi del 15/03/2007, dal titolo "Ottuso è chi non vuole sentir parlare di cure per l'omosessualità".

Forse la "sgrammaticata" legge sui Dico (come l'ha chiamata il presidente della commissione Giustizia, il diessino Cesare Salvi) e il surriscaldamento del dibattito sulle coppie omosessuali stanno servendo a qualcosa. Certamente a pugnalarsi per qualche riga di intervista in più, o per una foto. Però forse anche a far pensare qualcuno, ad aiutarlo a riflettere, a capire. A me è capitato, ad esempio, di pubblicare in questo periodo, in una collana da me diretta per San Paolo, Oltre l'omosessualità di Joseph Nicolosi. L'autore è uno psicoterapeuta che fa scandalo perché, quando un omosessuale gli chiede di essere aiutato a uscire da una condizione nella quale si sente profondamente infelice, prende sul serio la richiesta del paziente. Offrendo quell'ascolto, umile, attento e affettivo che è alla base di ogni terapia che sia tale, prima e dopo la "scoperta" della psicoanalisi. Ascoltare il dolore e, così facendo, consentirgli di scoprire il proprio significato e, quando possibile, la propria trasformazione in qualcosa d'altro, più autenticamente proprio. Naturalmente è successo il finimondo. Accuse di omofobia, gare su internet per decidere se sono più omofobo io o la senatrice Paola Binetti e via delirando, senza leggere una riga di cosa ho scritto nella prefazione al libro o in altri articoli.
Però, nel putiferio, anche la possibilità di ridire le cose, e di far pensare. «Perché considerare i gay "malati"?», mi è stato chiesto. Il lavoro terapeutico - ho potuto rispondere - non consiste nell'affibbiare etichette, ma nell'ascoltare il vissuto delle persone. Sono loro che, molto spesso, presentano il proprio orientamento sessuale come un disagio insopportabile. A quel punto o assumi una posizione "ideologica" (l'omosessuale non ha disagi perché vive una condizione gaia e felice) e lo mandi dallo psichiatra perché il suo "male" è immaginario. Oppure lo ascolti, e lo aiuti a cercare la via d'uscita (o di distanziamento) da una condizione che non sopporta.
Altra accusa è quella di bigottismo: perché, ci si chiede, solo i cattolici sostengono le terapie dell'omosessualità? La verità è che anche i lama tibetani considerano "disordinate e dannose" le sessualità al di fuori della coppia uomo-donna, possibilmente monogamica. E comunque tutti i terapeuti di formazione religiosa (gli evangelici, gli anglicani e gli altri) sui disagi "da dipendenza" sono più attivi rispetto a quelli di formazione agnostica, che puntano solo sull'adattamento. I primi, peraltro, sono anche più efficaci: gli "alcolisti anonimi" vengono dritti dalla tradizione protestante.
Ma allora quelli che dicono che parlare di cure è fuorviante, sempre? Sono ideologi e non clinici. Come gli scienziati del Terzo Reich, che mandavano gli omosessuali nelle camere a gas perché "dovevano" essere malati, sempre. Scienziato è chi pensa con la propria testa, guardando la vita e ascoltando gli affetti, non agitando un libretto dove c'è scritto cosa devi pensare. Scienziati-pappagalli dell'ideologia del momento, il secolo scorso ce ne ha forniti fin troppi.
http://claudiorise.blogsome.com

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