Sunday, January 25, 2009

Quella cosa dell'altro mondo che sono ... i cristiani

UN VENTENNE DI FRONTE ALLA MORTE E QUELLA COSA DELL’ALTRO MONDO CHE SONO…I CRISTIANI

“Le scrivo perché anche oggi entrando a scuola abbiamo respirato un’aria di morte”. Comincia così la lettera che mi ha scritto Marco, 19 anni, di Firenze. “Stanotte una ragazza che frequentava il terzo anno è morta dopo una notte di coma irreversibile. La sera prima stava andando in discoteca, era in macchina con altri ragazzi (…) la macchina si è schiantata contro un albero. La nostra scuola era già stata protagonista di grandi fatti di morte: tre anni fa, una ragazza che frequentava l’ultimo anno si è suicidata gettandosi da una finestra del terzo piano.
Può immaginare il clima che abbiamo respirato nei giorni e mesi seguenti... Oggi abbiamo rivissuto quel momento: le facce meste dei professori, i visi persi nel vuoto degli alunni, l’assenza fisica o psicologica dei suoi amici più cari e dei parenti”. Marco è uno studente che frequenta l’ultimo anno di liceo. Fin qui la sua è solo una cronaca consueta, descrive ciò che accade quando la morte visita le nostre giornate e specialmente un luogo di giovinezza come una scuola. Capita che – dopo lo choc di qualche giorno – gli adulti si affrettino a richiudere quella finestra spalancata sull’immenso, sul mistero dell’esistenza, per fingere che la vita sia solo il consueto teatrino in cui ci trasciniamo tristemente a recitare una parte assegnata. Ma i giovani non distolgono facilmente lo sguardo dal Mistero.

Infatti è il seguito di questa lettera che più mi ha colpito e commosso. Marco è un avventuriero, assetato di verità e di una felicità che non svanisce in un istante, dunque continua: “Il Signore sta parlando alla mia generazione e lo sta facendo con forza. Ci sta parlando attraverso la sofferenza più estrema, attraverso la morte. Non molto tempo fa altri ragazzi sono morti o rimasti gravemente feriti a causa di incidenti stradali e la loro storia si è dovuta intrecciare obbligatoriamente con la nostra fede di Cristiani. Sto scoprendo sempre di più che questo mondo non può darci niente. Non può darci amicizie vere perché la parola d’ordine del mondo è ‘essere’ e se non sei nessuno o non appari, rimarrai sempre solo. Non può darti la felicità perché non dura più di 30 secondi. Non può darti la consolazione perché la sera quando arrivi a dormire ti ritrovi solo; solo coi tuoi problemi insormontabili, solo perché i tuoi genitori si stanno separando, solo perché nessuno ti ama. Non pensa anche lei che per noi Cristiani sia pronta una nuova missione, cioè quella di ricominciare una nuova evangelizzazione?”.

Mi ha colpito leggere queste parole nella lettera di un diciannovenne, di un ragazzo normalissimo, ma che non si fa addomesticare dall’industria del rincoglionimento. Evidentemente Marco ha visto e sperimentato qualcosa di così bello e così grande che non si dissolve davanti al soffio di sorella morte. Questa parola, “evangelizzazione”, indica infatti un volto e un nome, Gesù, che stupisce e commuove, che sui giovani specialmente esercita un fascino più potente perfino della desolazione della morte. E parla al loro cuore assetato di vita, di felicità, di amore.

Marco continua: “Tanti Santi hanno viaggiato in tutto il mondo per annunciare Cristo Risorto, ma forse per il nostro tempo è necessario partire, non dall’Africa o dall’Asia, ma da casa nostra, dalla nostra via, dalla nostra parrocchia. E’ necessario far conoscere alla mia generazione che c’è un Dio che li ama, che è arrivato a morire per ognuno di noi, ma che è Risorto e ha distrutto la Morte. Posso assicurarle che queste persone stanno aspettando solo noi. Per grazia divina, i miei genitori sono entrati a far parte del Cammino-Neocatecumenale più di trent’anni fa e questo ha permesso che crescessimo nella fede. Personalmente questo Cammino mi ha permesso di scoprire un Dio che mi ama non per i miei meriti, ma per come sono, soprattutto per i miei peccati, e che vuole solamente curarmi, vuole mostrarmi il suo amore. Nella nostra parrocchia ci siamo ritrovati davanti a tante morti umanamente assurde, ma paradossalmente le famiglie implicate in queste morti hanno risposto con l’Amore… ”.

E a questo punto Marco inizia un resoconto sconvolgente di vita quotidiana. In un mondo disperato, dove i media hanno attenzione solo alle misure delle ospiti del Grande Fratello esistono uomini e donne con una certezza e un amore più forti della morte.

“Più di otto anni fa il mio amico Niccolò è morto per un tumore al cervelletto. Ha potuto concludere solo le scuole elementari e non ha conosciuto l’età più bella della vita. Nonostante tutte queste assurdità, ciò che mi ha sempre colpito di lui era il sorriso che portava con sé arrivando al catechismo, anche dopo aver fatto la terapia. Dalla sua morte, il nostro gruppo di catechismo ha ricevuto la grazia di restare unito fino ad oggi ed è un vero miracolo, pensando a dove possono essere adesso tanti miei amici. Il suo funerale fu una festa indescrivibile; uno dei suoi fratellini era così eccitato che, quando abbiamo accompagnato il suo corpo al cimitero si è messo a gridare ingenuamente di volerlo raggiungere per poter giocare ancora con lui. Quel funerale colpì tutti i presenti, perché non si era detto Addio a nessuno, si era salutato un fratello che avremmo rivisto. Per la fede dei suoi genitori e per la bellezza e la gioia di quel funerale molte persone si sono interrogate profondamente e forse lo fanno ancora oggi. Quello che colpisce sempre le persone è che i funerali nella mia parrocchia sembrano matrimoni: i canti sono tutti gioiosi e la bara è posta sopra il fonte battesimale, che si trova a terra, perché simboleggia il passaggio dalle acque della morte alla vita nuova. Più recentemente, un ragazzo, Jonatan, è morto cadendo di motorino; una cosa che non posso dimenticare è il volto di sua madre che ci invitava a stare allegri, perché Jonatan era andato in Paradiso. Sul sagrato, un suo amico mi disse che non era meravigliato della risposta di questa madre alla morte del figlio. Mi disse: ‘Loro sono religiosi’. Queste morti sono state per me una dura prova perché mi hanno diviso da tanti affetti, mi hanno messo davanti al fatto che non siamo eterni, che possiamo e dobbiamo morire. Ma ho scoperto che questa morte è stata vinta da Cristo. Egli ha vinto le mie morti. Io sono certo di questo, ma vorrei che questa buona notizia arrivasse a tutti i miei amici, a tutti i miei coetanei che forse non sanno dare un senso alla loro vita; io però sono uno solo e non posso raggiungerli tutti. Chiedo quindi aiuto alla Madre Chiesa, in cui confido perché ho sperimentato che è davvero madre, che mi dona il perdono e che davvero da essa passa la mia salvezza”.

Marco mi scrive il suo accorato appello alle parrocchie della sua città (come rispondono sacerdoti e vescovi?), le invita ad aprirsi ai movimenti “perché so che è difficile vivere da Cristiani senza una piccola comunità che ti aiuta, che ti ascolta, che ti corregge, in cui sperimenti il perdono, in cui c’è Cristo… Esorto tutte le parrocchie fiorentine ad aprire le porte a Cristo in queste nuove forme, perché i giovani sono per strada a drogarsi, a bere, senza genitori, senza Amore. La loro vita non ha un senso e noi che siamo il sale del mondo abbiamo il dovere di annunciare loro che Cristo li ama e che possono cominciare a sorridere, possono smettere di fingere, possono piangere senza paura di essere giudicati ‘deboli’, possono scoprire amicizie vere fondate sull’Amore di Cristo. Questi ragazzi hanno il diritto di sapere che rivedranno i loro amici in Paradiso e che non c’è morte che possa dividerci, c’è solo Cristo che ci unisce all’altro”.

Non è una cosa dell’altro mondo? Don Giussani diceva che il cristianesimo “è letteralmente una cosa dell’altro mondo in questo mondo”. In effetti il Paradiso inizia già qui, come il sorriso che si apre nelle lacrime e alla fine prende il sopravvento. Come il sole quando spalanca le nuvole e illumina le ultime gocce di pioggia portando finalmente l’azzurro.

Antonio Socci

Da “Libero” 21 gennaio 2009

Tuesday, January 13, 2009

2009, crollo del capitalismo?

Il 1989 segnò il crollo dell’Est comunista. Venti anni dopo, il 2009, vedrà il crollo dell’Occidente? Nouriel Roubini parla della “più grande bolla finanziaria e creditizia della storia”. E afferma senza indugio: “Il sistema finanziario del mondo ricco si sta dirigendo verso un crollo”. Non è solo un disastro finanziario, perché il Mercato è stato la moderna religione dell’Occidente: è anche un fallimento ideologico e morale.

La tempesta è appena cominciata e non si sa quando e come ne usciremo. Personalmente consiglio di tener presenti due bussole per non smarrirvisi del tutto. Dirò dopo i loro nomi. Ma prima facciamo un passo indietro. Prima bisogna riconoscere l’enormità del fallimento dell’Occidente. Bisogna evitare di usare lo stesso paraocchi ideologico dei comunisti, che, incuranti delle smentite della storia, continuavano a professare il “dottrina marxista” come la scienza economica e sociale definitiva e infallibile. Certi liberisti puri e duri oggi sono egualmente dogmatici.

Il muro di Ostellino
Ieri, sul Corriere della sera, Piero Ostellino, commentando i recenti dati natalizi sul ribasso dei prezzi e il relativo aumento del potere d’acquisto delle famiglie, ne traeva questa singolare conclusione: “il mercato ha messo le cose a posto da solo. Non c’è stato bisogno dell’intervento della politica. Che avrebbe fatto danni. I prezzi sono scesi a causa della crisi economica”.

Non c’è stato bisogno dell’intervento della politica? Viene da chiedersi in che pianeta viva Ostellino. Forse non gli è giunta la notizia del più gigantesco intervento degli Stati nelle economie americane ed europee degli ultimi 50 anni, intervento che (solo) per ora che ha evitato la catastrofe finanziaria del mondo (facendoci trascorrere un Natale non tragico). Intervento tuttora in corso che molto altro dovrà fare.

Certo, bastava già tener presente la crisi del ’29 e quello che ne seguì per rendersi conto che lo Stato è un attore fondamentale dell’economia moderna. Forse la novità di oggi è che pure l’intervento pubblico potrebbe non bastare più. Il “rischio Argentina”, la bancarotta, è un fantasma che agita i sonni di tanti. In ogni caso per evitarlo o per limitare il disastro o per rinascere dalle macerie, bisogna disporre di un pensiero della crisi, capire l’errore e trovare una diversa strada.

I due avversari
Il crollo del comunismo del 1989 ebbe un’interpretazione ufficiale, tanto sbandierata quanto sbagliata. Fu il testo di Francis Fukuyama, “La fine della storia e l’ultimo uomo” (1992). Vi si proclamava l’Occidente democratico e capitalistico come universale approdo della storia del mondo. Il “trionfo dell’Occidente” che pretendeva di concludere idealmente la storia fu tradotto dagli Usa di Clinton con il “pensiero unico” del mercato e dell’uomo consumatore (il primato assoluto dell’economia ebbe la sua traduzione tecnocratica anche nell’Europa della moneta unica).

Al regno universale del mercato fu annessa anche la Cina (ufficialmente nel 1994 con l’ingresso nel WTO) e nacque quella che Giulio Tremonti ha chiamato la “Chimerica”, ovvero Cina più America. Con la new economy e con il sistema statunitense che continuava a indebitarsi per finanziare i consumi privati e la Cina che produceva per l’Occidente comprando il debito degli americani. Sono le premesse del collasso odierno.

Nel 2001 ci fu la prima smentita della storia: l’11 settembre, le “Torri gemelle”, così vicine a Wall Street. Cosa significava quel fatto lo aveva spiegato in anticipo Samuel Huntington nel suo “Lo scontro di civiltà” (1996). Huntington criticava il “nuovo ordine mondiale”, in polemica con Fukuyama, spiegando che non esiste solo il mercato e che la storia è fatta di diverse civiltà, culture, religioni e identità. Le quali non si fanno spazzar via dalla religione del produrre e consumare. Huntington ammonì che quella mercatista era una “illusione di armonia destinata ben presto a rivelarsi appunto tale”.

Infatti arrivò l’11 settembre 2001. Confermando l’analisi di Huntington che vedeva la cultura islamica fra le più refrattarie all’omologazione occidentale. Paradossalmente il testo di Huntington fu poi usato (suo malgrado) in chiave “neocon” come premessa ideologica del progetto di esportazione della democrazia, ovvero delle guerre di Bush. Che è stato un altro tentativo – fallito – di omologare il mondo al modello occidentale.

Finché è esplosa definitivamente la crisi del sistema americano. Ma perché siamo arrivati a questo? Dove abbiamo sbagliato? E’ inverosimile che ad accendere una luce siano coloro che hanno provocato la notte. Ma dov’è un intellettuale, un libro, un pensiero che può accendere una luce diversa nella notte?

Buttare Smith
Consiglio un profetico saggio di Joseph Ratzinger del 1985 che annunciava (con anni di anticipo) sia il crollo del comunismo che del capitalismo liberista. E li prevedeva provocati da uno stesso errore filosofico. Da una stessa ideologia. Il saggio sarà ripubblicato su “Communio” di gennaio 2009 e probabilmente rappresenta una premessa dell’annunciata enciclica a cui si dice abbia collaborato pure Giulio Tremonti (che ha citato questo testo di Ratzinger nella sua recente prolusione alla Cattolica di Milano). In sintesi Ratzinger punta il dito sull’idea “risalente a Adam Smith” che sta alla base del pensiero liberista e della rapacità e degli errori che hanno portato gli Usa al collasso. Per questa idea “il mercato è incompatibile con l’etica, giacché i componenti volontaristicamente ‘morali’ sono contrari alle regole del mercato e non farebbero altro che tagliar fuori dal mercato gli imprenditori ‘moraleggianti’. Per questo l’etica economica è stata considerata per molto tempo come un ‘ferro di legno’, perché nell’economia si deve guardare solo all’efficienza e non alla moralità. La logica interna del mercato ci dispenserebbe dalla necessità di dover fare affidamento sulla moralità più o meno grande del singolo soggetto economico, in quanto il corretto gioco delle regole del mercato garantirebbe al massimo il progresso e pure l’equità della distribuzione”. Sebbene si definisca “liberista”, obietta Ratzinger, questa filosofia, nella sua essenza, è “deterministica” perché presuppone che “il libero gioco delle forze di mercato spinga verso una sola direzione, cioè verso l’equilibrio fra offerta e domanda, verso l’efficienza economica e il progresso”, con lo “sconcertante presupposto” che “le leggi naturali del mercato sono essenzialmente buone e conducono necessariamente al bene, senza dipendere dalla moralità della singola persona”.

La realtà dice l’opposto e non solo con la crisi attuale, ma – già prima - con le grandi contraddizioni planetarie prodotte dall’economia capitalistica: la fame e la miseria di tre quarti dell’umanità, squilibri e tensioni sociali crescenti e gravissime devastazioni ambientali. Il marxismo, spiega Ratzinger, è un “determinismo” ancora più spinto, perciò più violento e fallimentare (“promette la totale liberazione come frutto di un determinismo”). Entrambi i casi si basano sull’utopia ideologica di un meccanismo così perfetto – come diceva Eliot – da rendere inutile all’uomo essere buono. Invece, spiega Peter Koslowski, “l’economia non è retta solo dalle leggi economiche, ma è guidata dagli uomini”.

L’eliminazione del “fattore uomo” nel marxismo è stata radicale. Nel liberismo più sfumata, ma simile e alla fine il profitto come regola a se stesso ha prodotto il disastro. Occorre qualcosa che stia sopra al profitto e sopra al meccanismo della produzione. Ma qua la crisi planetaria si intreccia con la scelta individuale, con ciò che rende personalmente “buono” l’essere umano. Quindi con Dio. Tremonti nel suo libro “La paura e la speranza” ha il merito di averlo intuito. E di aderire all’appello della Chiesa – davanti a questa grande crisi di civiltà - di un radicale ripensamento delle nostre scelte individuali e collettive, di un’autocritica e di una grande conversione.

Antonio Socci da “Libero”, 4 gennaio 2009

Monday, January 05, 2009

Gesù Cristo tra redenzione e rivelazione

Non so se il ragionamento che segue sia corretto. Lo metto comunque in comune.

Se i nostri progenitori non avessero trasmesso a tutta l’umanità la macchia del peccato originale, il Verbo di Dio sarebbe venuto lo stesso ad abitare in mezzo a noi?
La Redenzione dell’umanità operata da Cristo è legata al peccato originale di Adamo ed Eva. Ora, ipotizziamo che i nostri progenitori avessero resistito alla tentazione di mettersi al posto di Dio. Se così fosse accaduto, dovremmo ammettere, per logica conseguenza, che l’umanità non avrebbe avuto bisogno di essere salvata.
Tuttavia, la venuta di Gesù non ha avuto per obiettivo solo la liberazione di ogni uomo dalla schiavitù del peccato.
Giovanni, al capitolo 1 versetto 18, dice: “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato”. Qui la mia domanda iniziale trova, forse, una risposta: pur ammettendo che avesse resistito al Male e non avesse così corrotto la sua natura, l’uomo non avrebbe potuto lo stesso “vedere” Dio. Con le sue forze, l’uomo non può “comprendere” l’Infinito, non può svelarne i misteri ... a meno che non sia Dio a permetterlo. Quindi, il Figlio di Dio si sarebbe incarnato anche in assenza del peccato originale, proprio allo scopo di offrire all'umanità la Rivelazione completa di Dio, il quale è Abbà e Unità in tre Persone, in una parola, Amore.

Sunday, January 04, 2009

Gesù Cristo



L'ho trovato in un sito evangelico. Efficacissimo.