Tuesday, November 29, 2005

Adesso fanno ridere anche gli angeli. Grazie ancora

L'incitamento ai cattolici di Leo Moulin (che ho rubato ad un Tocqueviller)

Nel blog di Alex ho trovato questo incitamento di Leo Moulin, medievista francese (ho scoperto chi fosse con una rapida ricerca sul web).

«Date retta a me, vecchio incredulo che se ne intende: il capolavoro della propaganda anti-cristiana è l'essere riusciti a creare nei cristiani, nei cattolici soprattutto, una cattiva coscienza; a instillarli l'imbarazzo, quando non la vergogna, per la loro storia. A furia di insistere, dalla riforma sino ad oggi, ce l'hanno fatta a convincervi di essere i responsabili di tutti o quasi i mali del mondo. Vi hanno paralizzato nell'autocritica masochista, per neutralizzare la critica di ciò che ha preso il vostro posto. Da tutti vi siete lasciati presentare il conto, spesso truccato, senza quasi discutere. Non c'è problema o errore o sofferenza nella storia che non vi siano stati addebitati. E voi, così spesso ignoranti del vostro passato, avete finito per crederci, magari per dar loro man forte. Invece io (agnostico, ma storico che cerca di essere oggettivo) vi dico che dovete reagire, in nome della verità. Spesso, infatti, non è vero. E se qualcosa di vero c'è, è anche vero che, in un bilancio di venti secoli di cristianesimo, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre. Ma poi: perchè non chiedere a vostra volta il conto a chi lo presenta a voi? Sono forse stati migliori i risultati di ciò che è venuto dopo? Da quali pulpiti ascoltate, contriti, certe prediche?»

Thursday, November 24, 2005

Gli intellettuali e la latitante cultura del mercato in Italia

Su Libero, Marco Bassani, dell’Università di Milano, firma oggi un articolo sul problema della mancanza di una cultura liberale e liberista in Italia prendendo spunto dal caso Luciano Canfora. Quest’ultimo, professore comunista di storia greca, è autore del saggio ‘La democrazia. Storia di un’ideologia”, pubblicato in Italia dall’editore Laterza nel 2004. L’editore tedesco Beck, invece, ha ritirato l’impegno a pubblicare il saggio - come da contratto - in Germania, poiché lo ha giudicato troppo sbilanciato a sinistra.
Dicevamo che Marco Bassani muove dall’inciampo editoriale del libro di Canfora per sostenere chiare e semplici idee sulla ‘crisi di identità’ del liberismo in Europa, ma soprattutto nel nostro Paese.

«Gli intellettuali [italiani] sono convinti che l’economia di mercato sia un cancro e che il comunismo si sarà pur rivelato la cura Di Bella, ma era comunque un tentativo di terapia. L’imputazione cambia, i rimedi si rivelano illusori, ma il mercato, l’Occidente e in primo luogo l’America sono sempre sul banco degli imputati. Gran parte degli intellettuali, allora, non riconosce i crimini comunisti perché li ritiene null’altro che un eccesso di legittima difesa dal male in terra, vale a dire dal capitalismo.
Il problema è quello dei due pesi e delle due misure. A chi fu fascista si spalancarono (giustamente) due sole alternative: ammettere i propri errori, o essere ghettizzati nel dibattito intellettuale. Di contro, chi è stato comunista ha ora davanti due strade parimenti rispettabili: rivendicare tutto, oppure chiedere e ottenere l’oblio e l’assoluzione tacita sulle passate farneticazioni. Insomma, perché i fascisti han dovuto fare i conti col fascismo e i comunisti più che i conti si sono fatti gli sconti?
Le ragioni sono molteplici e assai dibattute, giacché il problema si ripresenta in forme diverse in tutto l’Occidente. In Italia si parla sempre di “egemonia culturale”, tattiche gramsciane, corteggiamento degli intellettuali da parte del PCI. Tutto vero, ma non basta. Il fatto è che il prodotto culturale “marxismo” era ed è un manufatto altamente sofisticato, imparagonabilmente più sottile dei rozzi regimi e degli uomini che lo hanno messo in pratica. Per smontarlo e liberare le prossime generazioni dai suoi cascami ideologici ci vuole ben più che il crollo di un muro e qualche vaga parola d’ordine. Ci vorrebbe un movimento sia politico che culturale disposto a puntare tutto sulla battaglia delle idee. Occorrerebbe estrarre dal cilindro la merce più scarsa del mondo: intellettuali preparati a diffondere l’idea della legittimità morale, prima ancora che politica, del mercato. Proprio quello che manca in Italia.»

Uniformandomi al principio banfiano [l'attore pugliese] in base al quale “una parola è poco e due sono troppe”, mi limito a dire: come mai, leggendo queste parole, il pensiero corre a Berlusconi, nella sua veste di presidente del Consiglio, prima e di affermato imprenditore, poi? come mai il pensiero corre al molto altro che Berlusconi potrebbe fare per la rigenerazione politico-culturale del nostro Paese? Suvvia, Cavaliere, lo dicono anche gli amici americani: “There is always room for improvement”.

Wednesday, November 23, 2005

Trackback in, comments out: I apologise

Mi diverte fare esperimenti con il mio blog. Questa mattina ho inserito la funzione di trackback di Haloscan (deciderò se conservarla o meno nei prossimi giorni). L'operazione è riuscita, ma Haloscan ha cancellato tutti i commenti giunti fino ad oggi ai post. Mi scuso con i miei pochi lettori per l'inconveniente.

Il coraggio di Bush e i dubbi di Hoka Hey sulla Cina

Nella sua visita a Pechino, il presidente George W. Bush ha invitato i cinesi ad aprirsi alla democrazia e alla libertà. Signori, questo significa essere statisti dotati di grande coraggio. Purtroppo, è materia di cui fanno difetto i politici italiani ed europei (fatta eccezione per Blair che, in quanto inglese, non è comunque europeo).
Ho solo un dubbio sulla causa perorata dal presidente americano: è veramente opportuna la libertà per un paese abitato da più di un miliardo di anime? e se la popolazione cinese decidesse di diversificare la dieta abituale? e se cominciasse a pretendere un benessere giustamente diffuso a tutti? e se utilizzassero veramente la loro libertà di opinione e di parola? Mamma mia, che impressione!

Monday, November 21, 2005

I lager cinesi raccontati da un fuggitivo

In occasione della visita di George W. Bush in Cina, Il Giornale ha pubblicato un lungo articolo basato su di un’intervista a Harry Wu, presidente della Laogai Research Foundation. Si tratta di una tremenda testimonianza su quanto accade, in materia di diritti umani, in questo sciagurato paese. Trascrivo per intero l’articolo, intitolato "Vi racconto gli orrori dei laogai, i lager cinesi", di Filippo Facci.

Mani curate, cravatta rossa e una certezza: l’economia cinese è basata sullo schiavismo. D’accordo, ne parleremo, ma anzitutto chiediamo a Harry Wu se vuole parlarci dei suoi diciannove anni rinchiuso in un laogai. Ci guarda mestamente: «Devi prima capire che cos’è davvero un laogai». E noi credevamo di saperlo: sono dei campi di rieducazione voluti da Mao Zedong che hanno accolto non meno di cinquanta milioni di persone dalla loro costituzione, praticamente l’Italia intera; si è calcolato che non esista un cinese che non conosca almeno una persona che vi è stata soggiogata.
È una detenzione che non prevede processo, non prevede imputazione, tantomeno esame o riesame giudiziario o possibilità di confrontarsi con un’autorità. La decisione di rinchiuderti è a totale discrezione del Partito. «Ma loro» dice «per definirti usano la parola prodotto, e il primo prodotto sei tu, quello che devi diventare: un nuovo socialista. Il secondo è un prodotto vero e proprio, tipo scarpe, vestiti, spezie, tessuti, qualsiasi cosa. Ogni laogai ha due nomi: quello del centro di detenzione e quello della fabbrica.
Tu devi affrontare una quota di lavoro quotidiano, sino a 18 ore, sennò non ti danno da mangiare. Spesso devi lavorare in condizioni pericolose, come nelle miniere, con prodotti chimici tossici». Una pausa, scuote la testa: «Ma neppure questo, in realtà, è il laogai». È come se Harry Wu, cinese fuggito negli Usa, non volesse parlare di sé. Eppure è presidente della Laogai Research Foundation, è una prova vivente, fu arrestato a ventidue anni dopo che all’università, leggendo un giornale assieme ad altri studenti, aveva semplicemente criticato l’appoggio cinese all'invasione sovietica di Budapest. Delazione. Manette. Nessun tribunale, nessuna prova o indizio, nessuna accusa precisa se non quella d’essere un cattolico e un rivoluzionario di destra. «Il primo giorno, a Chejang, mi dissero che per potermi rieducare sarebbe occorso molto tempo. Poi mi spiegarono che non avrei neppure potuto pregare né sostenere di essere una persona: perché mi avrebbero punito o ucciso. Mi obbligarono a confessare delle presunte colpe dopo aver costretto alla confessione anche mio padre, mio fratello, la mia fidanzata. Solo mia madre rifiutò di farlo. Sono stato molto orgoglioso di lei». Un'altra pausa. L'impercettibile imbarazzo di Toni Brandi, il coordinatore della Fondazione che ci sta facendo da interprete: «Non ha confessato perché si è suicidata». E tutto, attorno, comincia a farsi stretto, troppo in distonia col racconto, e troppo rossa quella cravatta rossa, troppo pulita la moquette di quell’hotel nel centro di Milano. «I primi due o tre anni», racconta Harry Wu, «pensi alla tua ragazza, alla tua famiglia, alla libertà, alla dignità: poi non pensi più a niente. Perdi ogni dimensione, entri in un tunnel scuro. Preghi di nascosto. In un laogai non ci sono eroi che possano sopravvivere: a meno di suicidarti o farti torturare a morte. Scariche elettriche. Pestaggi manuali o con i manganelli. L'utilizzo doloroso di manette ai polsi e alle caviglie. La sospensione per le braccia. La privazione del cibo e del sonno. Questo ho visto, e così è stato per preti, vescovi cattolici, monaci tibetani».
Ci mostra la foto di un vescovo di 33 anni, e ancora altre foto in sequenza che nessun quotidiano o rotocalco potrà mai riportare: uomini e ragazzi inginocchiati, una ragazzina immobilizzata da due soldati mentre un terzo le punta il fucile alla nuca, una foto successiva in cui è spalmata a terra con il cranio orribilmente esploso. Poi un filmato. È un dvd curato dall'associazione, e dovrebbero vietarlo ai minori e agli occidentali in affari con la Cina: esecuzioni seriali, di massa, i condannati inginocchiati, prima la fucilata e poi lo stivale premuto forte sullo stomaco per controllare che morte sia stata, un ufficiale di partito che per sincerarsene usa una sbarra d'acciaio, e anche di questo qualcosa sapevamo, ma come dire: il video, un video. Sapevamo pure delle fucilazioni e delle camere mobili di esecuzione: furgoni modificati che raggiungono direttamente il luogo dell'esecuzione con il condannato legato con cinghie a un lettino di metallo, il tutto controllato da un monitor accanto al posto di guida.
Poi via, si riparte verso altre esecuzioni da effettuarsi pochi minuti dopo l’emissione della condanna a morte. Noi sapevamo che la maggior parte delle condanne è pronunciata in stadi e piazze davanti a folle gigantesche, e che le cose, in Cina, sono tornate a peggiorare dal 2003, laddove ogni anno vengono giustiziati più individui che in tutti i Paesi del mondo messi insieme. «Nel 1984, dopo un articolo di Newsweek, smisero di portare i morti in giro per le strade come pubblico esempio», ci dice, «ma dal 1989 hanno ricominciato, e i familiari devono pagare le spese per le pallottole e per la cremazione». E la faccenda degli organi? «Le autorità prelevano gli organi dei condannati a morte in quanto appartengono ufficialmente allo Stato. I trapianti sono effettuati sotto supervisione governativa: il costo è inferiore del 30 per cento rispetto alla media, e ne beneficiano cinesi privilegiati e cittadini occidentali e israeliani». E la faccenda dei cosmetici fatti con la pelle dei morti? «Dai giustiziati prendono il collagene e altre sostanze che servono per la produzione di prodotti di bellezza, tutti destinati al mercato europeo». Nel settembre scorso, della pelle di condannati o di feti, parlò anche un'inchiesta del Guardian: citò la testimonianza, in particolare, di un ex medico militare cinese che sosteneva d’aver aiutato un chirurgo a espiantare gli organi di oltre cento giustiziati, cornee comprese: senza ovviamente aver prima chiesto il consenso a chicchessia. Il chirurgo parcheggiava il suo furgoncino vicino al luogo delle esecuzioni e, stando alla testimonianza, nel 1995 tolsero la pelle anche a un uomo poi rivelatosi vivo. «Devi prima capire», ripete, «che cos'è un laogai». Forse sì, forse dobbiamo capire: dobbiamo poterci raccontare, un giorno, tra vent’anni, che sapevamo. «I laogai sono parte integrante dell'economia cinese. Le autorità li considerano delle fonti inesauribili di mano d'opera gratuita: milioni di persone, rinchiuse, che costituiscono la popolazione di lavoratori forzati più vasta del mondo. È un modo supplementare, ma basilare, che ha fatto volare l'economia: un’economia di schiavitù». Il numero dei laogai è imprecisato: è segreto di Stato.
Secondo l'Associazione, dovrebbero essere circa un migliaio. I prigionieri, se la rieducazione fosse giudicata non completata, possono essere trattenuti anche dopo la fine della pena: «Io avrei dovuto rimanerci per trentaquattro anni, se non fossi fuggito. Perché avevo delle opinioni. Perché ero cattolico. Perché ero un uomo. Il 20 novembre compio vent’anni da uomo libero».
Ieri. «E continuerò a lavorare perché la parola laogai entri in tutti i dizionari, in tutte le lingue. Appena giunto negli Usa non ne volli parlare per cinque anni, non ci riuscivo, poi cominciai a vedere che in America la gente parlava dell'Olocausto, parlava dei gulag, e però a proposito della Cina parlava solo della Muraglia e del cibo e naturalmente dell'economia. Ma i laogai, in Cina, esistono da cinquantacinque anni». Ben più, quindi, dei ventisette anni che ci separano dalla nascita della cosiddetta politica del figlio unico instaurata nel 1979 da Deng Xiaoping, prassi che ha spinto milioni di contadini a sbarazzarsi della progenie femminile: almeno 550mila bambine l’anno secondo l'organizzazione Human Rights Watch. Più dei due anni che ci separano dal giro di vite giudiziario introdotto nel 2003 nel timore che l’arricchimento potesse portare troppa libertà: laddove le madri e i familiari delle vittime di Tienanmen sono ancor oggi perseguitate, e i sindacati proibiti, i minori deceduti sul lavoro impressionanti per numero, per non dire dei cosiddetti morti accidentali: prigionieri che precipitano dai piani alti degli edifici detentivi e che solo il racconto di pochi scampati ha potuto testimoniare. A Reporter senza frontiere e ad Amnesty International è invece toccato il compito di raccontare della rinnovata abitudine di rinchiudere i dissidenti negli ospedali psichiatrici, spesso imbottiti di psicofarmaci senza che le ragioni degli internamenti fossero state neppure ufficialmente stabilite: accade nel Paese che per un anno e mezzo riuscì e celare l’epidemia Sars, giacché i dirigenti cinesi temevano che potesse scoraggiare gli investimenti occidentali. Cose delicate. La Cina cresce sino al 10 per cento annuo e si metterà in vetrina ai giochi olimpici del 2008: e ci sono da quattro a sei milioni di persone, rinchiusi nei laogai cinesi, che stanno lavorando per noi. Harry Wu domenica mattina è ripartito per Washington. Doveva incontrare Bush e festeggiare i suoi vent’anni da uomo libero. O forse bastava da uomo.

Thursday, November 17, 2005

Rudyard Kipling e l'insegnamento di un padre

Sarei già contento se riuscissi ad insegnare ai miei figli un grammo di quanto dice Kipling nella sua poesia.

Se

Se riesci a conservare il controllo quando tutti
Intorno a te lo perdono e te ne fanno una colpa;
Se riesci ad aver fiducia in te quando tutti
Ne dubitano, ma anche a tener conto del dubbio;
Se riesci ad aspettare e non stancarti di aspettare,
O se mentono a tuo riguardo, a non ricambiare in menzogne,
O se ti odiano, a non lasciarti prendere dall'odio,
E tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio;
Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
Se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
Se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
E trattare allo stesso modo quei due impostori;
Se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
Distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi
O a contemplare le cose cui hai dedicato la vita, infrante,
E piegarti a ricostruirle con strumenti logori;
Se riesci a fare un mucchio di tutte le tue vincite
E rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
E perdere e ricominciare di nuovo dal principio
E non dire una parola sulla perdita;
Se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tener duro quando in te non resta altro
Tranne la Volontà che dice loro: "Tieni duro!".
Se riesci a parlare con la folla e a conservare la tua virtù,
E a camminare con i Re senza perdere il contatto con la gente,
Se non riesce a ferirti il nemico né l'amico più caro,
Se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
Se riesci a occupare il minuto inesorabile
Dando valore a ogni minuto che passa,
Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
E - quel che è di più - sei un Uomo, figlio mio!

Pillole 4

Il pericolo che corriamo è che la nostra memoria del male sia più forte della memoria del bene. (Benedetto XVI)

Tuesday, November 15, 2005

Sempre più donne oggi picchiano e violentano gli uomini

Ricordate il recente caso della direttrice del popolare tabloid inglese “The Sun”, condannata dai giudici per percosse al marito? Relegato tra le curiosità, tipo “Un uomo morde un cane”, l’episodio ha destato l’attenzione dei giornali italiani soprattutto per la posizione ricoperta dalla protagonista. La verità è che la violenza sui maschi non è un evento sporadico, come dimostra l'articolo dal titolo “Canada, metà delle donne violenta il partner”, pubblicato oggi su Libero.
La notizia costituisce un’ennesima conferma di quanto sostengo in altri miei post: in senso lato, il maschio occidentale non è oggetto di un continuo lavoro di demolizione, ... è già bello e finito. Ciò che non è entrato nel patrimonio condiviso degli esperti è che il gioco al massacro inizia sin dall’infanzia, all’interno delle famiglie di origine, per poi continuare nella società.

E adesso, lascio lo spazio all’articolo di Libero.

«In Italia di ciò si sa poco o nulla. Mentre il resto del mondo già da tempo cerca di far fronte al problema.
Il riferimento è a un dato che lascia sconcertati: quello cioè relativo al fatto che sempre più spesso nelle liti familiari a prenderle, o addirittura a finire stuprati, sono gli uomini. E’ ciò che si evince da uno dei pochi siti internet attivati per offrire aiuto all’uomo che subisce abusi di ogni genere: http://www.aest.org.uk/survivors/male.
Secondo i coordinatori del sito le violenze sull’uomo negli ultimi anni sono drasticamente aumentate. L’FBI dice che in America un uomo su cinque prima dei 18 anni viene sessualmente molestato da una donna.
Mentre si stima che, sempre in Usa, il 20% delle vittime di violenza carnale negli adulti riguardi esponenti del sesso forte: in America del Nord in un anno vengono in particolare malmenati dalle compagne più o meno 835 mila individui di sesso maschile.
Gli studiosi sostengono che le violenze sessuali a danno degli uomini avvengono soprattutto nelle famiglie, e quindi non solo in quei contesti tipicamente legati a simili fatti di cronaca come carceri, esercito e istituti per minori.
Mancano ancora dati relativi all’Italia. In compenso ci sono quelli che si riferiscono al resto del Vecchio continente. La situazione in Francia è tutt’altro che rosea, come testimoniano i dati raccolti dalla sociologa Sophie Torrent, autrice del libro (recentemente pubblicato) “L’homme battu: un tabou au cour du tabou”, e della psichiatra Marie-France Hirigoyen autrice del libro “Femmes sous”.
Le due ricercatrici francesi sostengono che il fenomeno è sottostimato perché «una donna picchiata trova ascolto nella società e nei centri di accoglienza. Invece l’uomo si sente ridicolo». Un dato che emerge su tutti è quello relativo al fatto che su 100 casi complessivi di violenza coniugale, 15 sono a danno degli uomini.
Sono circa il 10% le telefonate ricevute da Sos Violenze familiari, ente d’oltralpe che si occupa di risolvere i conflitti coniugali, riguardanti episodi di violenza nei confronti del sesso forte.
Il fenomeno è identico in Gran Bretagna. Anche in questo caso sempre più spesso gli uomini sono la parte debole: relativamente alla popolazione adulta che subisce abusi di natura fisica e psicologica, la percentuale di maschi è ufficialmente dell’8%, ma si stima che il dato sia in difetto e che il 20% sia più realistico.
Il Paese dove il fenomeno infine sembra essere più drammatico è il Canada. In questo caso risulta che il 54% della violenza domestica sia subita dagli uomini».

Sunday, November 13, 2005

Oriana e il grido di dolore nella terra senza padri

Copio e incollo l'immagine dal blog Il Giulivo. Leggendo la citazione di Oriana Fallaci viene da pensare a 'Nemo propheta in patria'. Ma mi è venuto da pensare anche all'etimologia della parola Patria, ovvero, terra dei padri. Cara signora Fallaci, lei si arrabbia e prova (giustamente) pena per questa Europa che non ha schiena diritta, che non vuole affrontare a viso aperto i suoi nemici, che non ha rispetto di sé. Ma dove può l'Europa trovare la forza interiore, se oggi essa è la terra della madre - mater, materia. Può la materia dare il coraggio, la direzione, l'amore per le proprie radici, il culto degli antenati, in ultimo, la fede?

Pensieri vagabondi sul silenzio

Delle commedie di Eduardo De Filippo, mi è rimasta scolpita nella mente quella in cui l’attore impersona un vecchio che, ad un certo punto della sua vita, decide di non parlare più. “Ha capito che le parole sono inutili”, dice uno dei comprimari, spiegando ad un altro il motivo di quel comportamento. Poi ricordo il detto: “Se avesse voluto che parlassimo di più e ascoltassimo di meno, Dio ci avrebbe creati con due bocche ed un orecchio”.

Friday, November 11, 2005

Una 'semplice' riflessione sulla verità

“La verità rende liberi”, ha detto Gesù. Un proverbio arabo recita: “Quando decidi di dire la verità, ricordati di sellare prima un cavallo. Subito dopo dovrai andar via”. In queste due frasi è riassunta la grande sfida che la vita pone ad ogni essere umano: essere nella verità e servirla con intelligenza. La verità ferisce, ma, cosa ben più importante, libera l’anima di chi la riceve. Il fatto è che la verità è un dono che non tutti vogliono. Ecco il senso del proverbio arabo e dell'ammonimento di Gesù: “Non date le perle ai porci”.
Allo stesso modo di chi non vuol sentire la verità, vi sono coloro, e sono tantissimi, che non vogliono dirla. E la motivazione che più spesso si adduce per tacerla è: a che serve far soffrire l’altro? Non si comprende - e io non l’ho capito per tanto tempo - che quella sofferenza è necessaria all'anima dell'altro, così come alla propria.
Sappiamo tutto, ma, porca miseria, occorre tempo per comprendere anche ciò che è così chiaro e semplice.

Thursday, November 10, 2005

Giustizia e legalità: opinione retta e diretta di un cattolico

Riporto il post, intitolato ‘Giustizia e legalità’, di Piergiobbe. Eventuali commenti possono essere inseriti direttamente nel post dell'autore.

«(...) la Giustizia ha poco a che fare con la legalità. Però, noi cattolici, tutti i cristiani, tutti coloro che hanno una fede religiosa (...) sappiamo da dove provenga l'unica vera Giustizia. Gli altri come fanno a distinguere le due cose?
Se il punto di partenza è mutevole, incerto, in balia del caso e del tempo, come diavolo si può distinguere il giusto dal legale? Cofferati perciò è coerente: da ateo sostiene che l'unico bene è rappresentato dalla e nella legge. Se la legge non risolve i problemi, si cambi la legge, ma, per cortesia, non si osi parlare di Giustizia! (...)
Io comunque non riesco ancora a capire da dove partano (gli atei)... Va bene la legge naturale, ma se valesse per tutti, come sarebbe possibile l'aborto, il controllo delle nascite, la pena di morte, ecc. ecc.?
Tutti, naturalmente, hanno, diciamo così, una personale idea di cosa sia giusto o ingiusto (spesso acquisita in oratorio...), ma per i laici questi concetti non sono assoluti e immutabili. Infatti possono variare a seconda dell'epoca storica, delle circostanze, dell'utilità. Se sono quindi concetti individuali e variabili, in pratica non valgono niente. Di qui il famoso relativismo che a questo punto è molto più onesto dell'invocare una fantomatica giustizia, basata sul nulla...
Visto che anche il più idiota degli uomini capisce che, relativizzando tutto, non solo è impossibile la convivenza civile, ma si è destinati ad un inevitabile rovina della società, si è affidato alla sola legge il compito di guidare l'umanità.
Purtroppo però, nascondendosi dietro la pericolosa illusione di essere "uguale per tutti", la legge, da strumento per regolare i rapporti umani, è stata trasformata in un idolo in grado di salvaguardare i diritti di ogni persona.
E di quanto ciò sia dannoso ne è prova, ad esempio, la pretesa di usare la legge per far punire anche il più piccolo torto, o presunto torto ricevuto, preferendo spendere in avvocati che tentare pacifiche conciliazioni con parenti o vicini di casa (mi dicono che il mestiere di "avvocato dei condomini" è quotatissimo!). Ne è prova anche l'ostinazione legalista del sindaco che paradossalmente fa passare il concetto che "per cambiare la legge bisogna applicarla!".
Sì perché a differenza della vera Giustizia, la legge naturalmente è mutabile, per cui è relativa. E quindi in sostanza non contiene nessun valore. Ma questo non si può dire perché chi ha fatto della legge un dio minore sostiene che per fare le leggi ci si debba comportare con un etica (derivante da dove, nessuno lo sa, visto che un'etica laica è di fatto relativa e perciò non si basa su verità assolute...). Così dopo aver fatto uscire i valori dalla porta, cercando di rendere neutra la legge, li si fa rientrare dalla finestra. E improvvisamente si ricomincia a parlare di giustizia: perciò è legale, ma ingiusto che Berlusconi faccia leggi ad personam, è legale, ma ingiusto che Cofferati usi le ruspe, è legale ma ingiusto che si vendano le armi, ecc. Salvo poi inorridire quando si prova a dire che sono legali, ma ingiusti il divorzio, l'aborto, la fecondazione assistita, considerati "sacre" conquiste della moderna società.
Ma cosa ce ne facciamo di questa giustizia, ancora una volta relativa, mutabile, individuale, basata sul nulla, uguale alla legge di cui dovrebbe essere il contraltare? Davvero nulla, io credo.»

Sottoscrivo.

Friday, November 04, 2005

Nude a Reggio Emilia per protesta contro i nostri soldati in Irak

Lo diceva pure Catalano di Quelli della Notte: è meglio con le chiappe al vento a Reggio Emilia che a Bagdad. Ci provassero lì, fra i musulmani, a protestare nude contro la guerra. Sai le risate! Anzi, risate e frustate, risate e frustate, ...

La Spagna di Zapatero promuove i piaceri di Saffo nelle scuole

Libero oggi in edicola pubblica un articolo intitolato ‘Sesso omo e autoerotismo. La scuola di Zapatero’. Si fa menzione ad una guida per ragazze dagli 11 ai 18 anni, distribuita nelle scuole dal governo regionale Castilla-La Mancha in 14mila esemplari, poi ritirata per le proteste dei genitori.
Questa ‘Guìa para chicas’, in 4 volumetti, è stata redatta dalla professoressa Maria José Urruzola Zabalza che, precisa l’articolista, è stata “pluripremiata al ‘Concorso per il materiale didattico non sessista Emilio Pardo Bazàn’, organizzato dal Ministero dell’Educazione”.
L’articolo riporta i seguenti brani tratti dal primo volumetto del manuale.
«L’inizio dell’autostima è avere una relazione positiva con il proprio corpo. Per questo ti può aiutare guardarti nuda nello specchio, accarezzarti con tenerezza, masturbarti, abituarti a percepire le tue sensazioni. (...) Se farai così sarai più a tuo agio con te stessa, ti sentirai meglio, sarai più soddisfatta e sicura di te, ti aiuterà a non avere complessi».
Fin qui, almeno a mio avviso, le parole della professoressa fanno giusto inarcare un sopracciglio. Il pezzo forte, però, viene subito dopo, quando si passa ad un altro genere di suggerimenti. «Cercati un’amica per massaggiarti, rilassarti, lasciarti andare, ... sicuramente ti sentirai come trasportata su un’altra galassia». Proseguiamo (il grassetto è mio). «E se ti piace una ragazza? Certamente ti sarai sentita dire che ti dovrebbero piacere i ragazzi, ma se ti informi bene e ci pensi un po’ su scoprirai che la normalità è scambiare amore e relazioni sessuali con qualunque persona, dell’altro sesso e del proprio». Il tutto, informa l’articolista, è supportato nel manuale da disegni che ritraggono due ragazze nude che si accarezzano.
L’articolo continua facendo notare che: “Di fatto però il libro sconsiglia le faticose e impegnative relazioni etero; nel secondo opuscolo della serie, col pretesto di insegnare come si evitano le aggressioni, si rappresentano gli uomini come esseri sbavanti e molesti, potenzialmente pericolosi”. L’ultima precisazione dell’articolo (sempre mio il grassetto) è: “Dietro a tutto questo c’è un progetto culturale ben preciso. L’Istituto della donna e la Giunta dei Comuni di Castiglia-La Mancha vuole (sono parole della direttrice) «modificare il pensiero, fino a creare un nuovo modello di donna».” Ecco fatto, il cerchio è chiuso.
Per quanto mi riguarda, penso solo questo: siamo appena all’inizio.

Thursday, November 03, 2005

Montanelli, Washington e il nucleare ai paesi islamici

Ad un lettore che candidamente gli chiedeva perché gli Stati Uniti si oppongono al possesso di armi nucleari da parte dei Paesi arabi, ma lo accettano nel caso di Israele, Montanelli rispose: «Per il semplice motivo che i paesi arabi minaccerebbero di usarle».
La linea di Washington e le parole di Montanelli trovano conferma nelle recenti dichiarazioni di Ahmadinejad contro Israele e nella ripresa della corsa al nucleare da parte dell’Iran - paese islamico non arabo, ma, inevitabilmente, anti-occidentale.

La marcia per Israele e la frase di mio padre

La marcia pro-Israele organizzata oggi davanti all’ambasciata iraniana mi fa venire in mente una frase di mio padre: «Tutto è iniziato con Israele, tutto finirà con Israele».

Tuesday, November 01, 2005

Una breve pausa

Temo che i prossimi giorni saranno di fuoco per me, per cui un arrivederci a presto ai pochi lettori di questo blog.