Pur nella dovuta considerazione del dramma vissuto da padre Bossi, c’è da chiedersi: se pregare non riesce naturale di fronte ad un dolore, un pericolo, quando allora?
Mi sono ricordato di ciò che viene detto dei missionari cristiani in Mendicanti di luce, di Masterbee: “Sono persone eccezionali, di grande cuore. Tuttavia, tutti quelli che ho conosciuto pregavano molto poco”. Se questo è vero, le frasi sorprendenti di padre Bossi si possono spiegare con la disabitudine alla preghiera, ‘tipica’ dei missionari, o, alternativamente, con le parole che Gesù rivolge a Marta e Maria!
Da poco, beata ignoranza, ho conosciuto la “preghiera di Gesù”, gioiello della spiritualità cristiano ortodossa. Jean Lafrance afferma che questa preghiera – Signore Gesù Cristo Figlio di Dio abbi pietà di me peccatore, o, ancora più semplicemente, Kyrie Jesu Christe Eleison - è l’equivalente per l’Oriente cristiano del nostro Rosario. Per saperne di più, ho fatto un salto alla libreria delle Paoline alla ricerca dei Racconti di un pellegrino russo. Ho trovato, fra le altre, un’edizione del libro curata da Carlo Carretto, pubblicato da Cittadella Editrice. La presentazione scritta da quel grande apostolo contemporaneo è splendida. L’ho trovata in rete. Eccola qui.
Ho sempre fortemente desiderato far conoscere questi “Racconti di un pellegrino russo” ai miei fratelli italiani. Da quando questo libro mi capitò fra le mani, molti anni fa in edizione francese, sulle piste del Sahara, posso dire di averlo sempre portato con me. Fu uno dei libri-chiave che stanno bene nella sacca di un nomade quale ero io, sempre preoccupato di fare in fretta e di portare con me il minimo indispensabile.
Quante volte mi sono riletto queste pagine semplici come l’acqua e trasparenti come l’aria nei miei ritiri nel deserto. Soprattutto tornavo ad esse volentieri quando ero stanco di parole e povero di idee, cioè quando la mia vita diventava silenziosa e la mia anima assetata di quiete.
“Come un bambino in braccio a sua madre è in me l'anima mia” dice il salmo 130, ed è ciò che capita quando si cerca la contemplazione e si avverte per esperienza che tale attività dell’anima è frutto di amore e di semplicità più che di ragionamento e di forza. “Divenire bimbi in braccio alla madre”: ecco la più alta spiritualità dell’uomo sulla terra. Ma diventare bambini non è cosa facile per uomini minati di orgoglio come noi! Difatti Gesù, che se ne intendeva, ci ha chiaramente avvertiti in proposito: “Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli”. Direi che è una minaccia la sua: “Non entrerete...non entrerete...non entrerete!”.
So che non sarò creduto, ma non dubito di affermare che un inizio serio di vita spirituale incomincia quando l’uomo fa un autentico atto di umiltà, e sovente la propedeutica alla fede per la maggior parte degli uomini, o la maturazione di essa per altri, è bloccata, avvelenata, torturata, prolungata all’infinito dall’incapacità di divenire bambini e di buttarsi nelle braccia del mistero di Dio come un’anima di fanciullo.
Si vuol fare i furbi con Dio, e nessuna categoria di uomini è così detestata dal Vangelo. Si vuol porre delle condizioni all'Eterno all'Infinito, e l’Infinito e l’Eterno lasciano che il tempo ti distrugga.
Ecco perché ho amato e amo questo giovane pellegrino russo: perché ha il cuore di un fanciullo e non pone condizioni al suo Dio. E Dio gli ha insegnato a pregare. Dio l’ha accolto nella sua pace, nella sua gioia, nonostante una povertà spaventosa e una sofferenza senza limiti. E certo - e lui non lo sa - è giunto al termine del cammino della preghiera: è diventato una preghiera vivente. Vive la preghiera allo stato puro, in unione così totale con Dio da ricordare l’esperienza straordinaria del beato Labre, pellegrino per le strade che dalla Francia conducono ai santuari di Roma.
Purificato dalla prova, immerso nel bagno liberatore della povertà evangelica, distaccato dal sensibile, il giovane è divenuto un vuoto contenente lo Spirito di Dio, uno strumento musicale pronto e disponibile a una mano ultraterrena, capace di armonie celesti. Ed è giunto a tali altezze servendosi dei mezzi più poveri che si possano immaginare. Una sola frase ripetuta come nota continua e profonda, un’accettazione della realtà di ogni giorno come mistero della Provvidenza, una bibbia nella sacca con un po’ di pane duro.
Noi occidentali, che ci crediamo sperimentati nella teologia, sorridiamo di compatimento dinanzi ad una tecnica della preghiera così infantile, così meccanica, così poco intelligente! Forse non abbiamo sorriso davanti al rosario delle nostre nonne? Ma la realtà è che questo giovane ha transitato il muro dell’Invisibile, i nostri vecchi senza saperlo erano dei contemplativi, mentre noi, ricchi del nostro pensiero e della nostra sicurezza, minacciamo di morire di freddo siderale lontani dal sole dell’anima, Gesù. Perché fu proprio lui, Gesù, a dire in un momento di esaltazione spirituale: “Ti ringrazio, Padre, che hai nascosto queste cose ai saggi e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli” (Matteo 11, 25).
Ed è questa la prima cosa che dobbiamo ritenere nel metterci alla scuola della preghiera. Il Padre si rivela ai piccoli, il Padre si nasconde ai sapienti. Non è uno scherzo! Se vogliamo diventare conoscitori di Dio, intimi dell’Altissimo, dobbiamo farci bambini. Se ci teniamo alla rivelazione del suo volto, dobbiamo abituarci alla contemplazione estatica fatta con gli occhi della povertà e della semplicità del cuore.
Un’ultima cosa vorrei dire ai lettori dei ‘Racconti di un pellegrino russo’. Non impressionatevi della tecnica infantile, un po’ ...meccanica insegnata dallo starets al giovane pellegrino. E' più importante di quanto non possa sembrare a prima vista. Se praticate nella sua trasparenza di amore, può diventare, con una forza direi... “fisiologica”, il modo più rapido di abbandonarsi all'intimità con Dio e al ritmo del Cuore divino. Confesso di essermene servito largamente, specie per avviarmi alla preghiera di quiete. Me ne sono servito più largamente ancora quando le difficoltà di entrare nella preghiera erano dovute al lavoro pesante, ai troppi impegni, ai turbamenti del cuore e dello spirito. Mi sono sentito come cullato dal ritmo di questa preghiera litanica, e quindi aiutato come un bimbo ad addormentarsi nelle braccia di Dio. Non è poco per chi, come noi, nasce e vive con la convinzione di essere tutto, di fare tutto, di pensare tutto. Che è l’esatta convinzione di chi, pur dicendo di credere in Dio, non lascia alcuno spazio vitale al suo intervento in noi e nella storia.
Lasciare spazio a Dio, ridurre il nostro: ecco il segreto di tutto. Ma come è lungo il cammino per giungervi! Questi racconti possono aiutarci.
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