Che i bambini affetti da trisomia 21, cioè da sindrome di Down, vengano ormai sistematicamente eliminati prima di nascere, l'abbiamo denunciato più d'una volta su queste pagine. E più d'una volta abbiamo lamentato come la legge 194 sull'interruzione di gravidanza sia ormai diventata un colabrodo, un testo che in alcune sue parti non è mai stato attuato, in altre è male applicato, e in altre ancora è tranquillamente violato.
L'intervento di aborto selettivo con cui, all'ospedale San Paolo di Milano, è stata uccisa per errore la gemella sana anziché quella malata, non è che la spia di pratiche che si diffondono fino a modificare la nostra sensibilità, la percezione che abbiamo degli avvenimenti. Chi si ricorda del piccolo Tommaso, nato nel marzo scorso dopo un aborto alla 22° settimana praticato al Careggi di Firenze? Il caso divenne pubblico solo perché il bimbo, a cui era stata diagnosticata una malformazione che non c'era, era rimasto vivo per alcuni giorni: pochi, ma abbastanza per suscitare commozione e scandalo. Se Tommaso non fosse sopravvissuto, non se ne sarebbe parlato affatto; e altrettanto sarebbe accaduto se la bimba eliminata al San Paolo fosse stata effettivamente la piccola Down.
Ogni volta che un episodio del genere viene alla luce, si riapre la polemica tra chi è a favore di una legge sull'aborto e chi no, e il dibattito etico si arroventa. Dopo alcuni giorni, però, tutto torna come prima, e una pesante coltre di silenzio e indifferenza copre la terribile marcia che stiamo compiendo verso la selezione genetica, travestita da libera scelta dei genitori. In questo modo stiamo approdando a risultati di pulizia etnica che nemmeno la peggiore violenza razzista dei governi totalitari è mai riuscita ad ottenere. Si scrivono articoli politicamente corretti sull'accoglienza nei confronti dei Down, si girano film emozionanti con protagonisti diversamente abili, ma poi si chiudono gli occhi di fronte alla realtà di una pratica di selezione genetica diventata ormai ordinaria routine.
Sembra che non si possa fare niente, che si tratti di una deriva inarrestabile, consentita dalla legge. Non è così. La 194 non considera lecita la selezione genetica, così come - se fosse stata applicata - non avrebbe permesso che Tommaso venisse abortito.
Su Avvenire del 23 maggio scorso noi l'abbiamo fatta, la nostra "modesta proposta per prevenire", chiedendo al ministro Turco una risposta, un segnale. La 194 ha ormai trent'anni, e li dimostra; forse le servirebbe un tagliando. Le nuove tecniche mediche, e le scelte che implicano, tendono a svuotarla di senso, approfittando delle incertezze interpretative. Il Ministero potrebbe fornire indirizzi e regole, stilando delle linee guida, senza toccare la legge. Quella parte della 194 che riguarda la prevenzione non è mai stata messa in pratica, e in tutti questi anni le donne che avevano bisogno di aiuto per diventare madri si sono trovate vicine solo i volontari dei Centri di aiuto alla vita.
La diffusione e lo sviluppo delle diagnosi prenatali hanno scardinato gli articoli 6 e 7 della legge, fatti in origine per circoscrivere il ricorso all'aborto terapeutico, ed escluderlo quando il bambino ha possibilità di sopravvivenza autonoma (quindi a partire dalla 22° settimana).
Per mettere qualche paletto basta dunque un atto amministrativo, senza modificare la legge, e probabilmente il ministro potrebbe contare su un'ampia area trasversale di consenso. C'è stato un tavolo dei volonterosi sui temi economici. Perché non provare a farne uno sui temi della vita umana?
Eugenia Roccella, su Avvenire del 29 agosto 2007
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