Thursday, October 26, 2006

Padri e madri, uomini e donne: due specie diverse

Non sono un grande fan di Sigmund Freud, ma condivido gran parte delle tesi sostenute da un suo epigono, Aldo Naouri, pediatra e psicanalista, di cui ho appena finito di leggere “Padri e Madri”, pubblicato da Einaudi.
Occorre sottolineare che le conclusioni dell’autore - basate su quarant’anni di osservazioni dirette, studi e casi clinici - non sono nuove al patrimonio della psicanalisi e dell’antropologia. Anche se così, si tratta tuttavia di un’interpretazione del ruolo paterno e materno che, in quanto decisamente controcorrente e politically uncorrect, fa fatica a trovare il suo giusto risalto tra il grande pubblico e tra gli stessi specialisti.
Avevo pensato di scrivere qualcosa sul saggio. Avantieri, ho fatto un generico tentativo, che si aggiungeva ad altri post sulla stessa tematica e con argomentazioni similari. Poi, navigando nella rete, mi sono imbattuto in un paio di articoli comparsi su La Stampa nel marzo 2005, quando il libro è stato pubblicato in Italia. Il primo articolo fornisce un’idea attendibile e imparziale dei contenuti del libro; il secondo, a firma dello stesso Naouri, contiene delle precisazioni al suo pensiero. Perché allora non approfittarne e risparmiarmi la fatica?
Faccio notare che il grassetto nel primo articolo è mio. Purtroppo, non sono riuscito a stabilire se l’articolo di Naouri è stato troncato. Lo riporto quindi così come l’ho trovato in rete.
A chi avrà la pazienza di arrivare alla fine del post, spero possa anche sorgere la curiosità di leggere il libro. Ne vale senz'altro la pena!
«Uomini e donne, due specie diverse», di Raffaella Silipo (La Stampa 7 Marzo 2005)

FATE come volete, tanto non andrà mai bene». Persino lui, Sigmund Freud, non aveva poi troppa fiducia nella possibilità di diventare un buon genitore. E Aldo Naouri, pediatra e psicologo assai noto in Francia e autore di molti libri sul tema dell’infanzia, sa bene che non esiste una formula per rendere felice ogni famiglia. A dispetto del titolo, il suo I padri e le madri (Einaudi) non è affatto un manuale di puericultura: è piuttosto uno spietato ritratto della società moderna, asservita allo «strapotere della madre» e insieme un’invocazione agli uomini perchè riprendano il loro ruolo: non quello di «mammi», che troppo spesso cercano di assumere, ma quello di maschi e di padri. Nella convinzione non solo che stiamo allevando una generazione di figli gravemente disturbata, ma che questo sbilanciamento di ruoli sia alla radice di conflitti profondi tra culture, primo fra tutte tra Occidente e Islam.
Non stupisce insomma che il libro, alla sua uscita, abbia fatto assai discutere in Francia scatenando polemiche a non finire. La tesi di base - argomentata in un lungo excursus storico e antropologico - è radicale: gli uomini e le donne sono proprio due specie diverse, «profondamente estranee l’una all’altra». A dividerle alla radice sarebbe la diversa percezione del Tempo e della Morte: ineluttabile e fonte di profonda angoscia per l’uomo, combattuta con viscerale testardaggine dalla donna, grazie alla straordinaria risorsa della gravidanza, che le dà una sensazione di controllo sulla vita e sulla morte. Secondo Naouri siamo a una tappa decisiva di questo scontro «così lungo e così duro, che da tempi immemorabili oppone uomini e donne». Questa tappa attesta la vittoria del modello femminile, almeno nella società Occidentale: è la donna a esercitare il dominio sui figli, ma non solo. È il modello «materno» a vincere, inteso come modello volto alla negazione del tempo, alla soddisfazione immediata dei bisogni, alla seduttività, alla «campagna elettorale permanente» dei genitori nei confronti dei figli, dei governanti nei confronti delle popolazioni, delle imprese nei confronti dei consumatori. C’è secondo Naouri una «carenza di dimensione adulta nella nostra società» che privilegia l’istante e l’effimero (qui Naouri usa un gioco di parole impossibile da rendere in italiano. In francese la parola «éphémère» - effimero - risulta omofona alla parola «effet mère» - effetto madre), a scapito della durata e del lungo termine, della normatività del principio maschile.
La donna offre piacere, certezza, sollievo dall’angoscia di morte, l’uomo offre dubbi e regole. Ci vogliono entrambi, dice Naouri, perchè la specie umana sopravviva, ma oggi c’è solo un polo, anche perchè gli uomini cercano in tutti i modi di uniformarsi al modello femminile, che percepiscono come vincente, trasformandosi in «mammi» seduttivi verso la prole, provvisti di biberon e pannolini, moltiplicando così l’effetto materno.
«Le madri sono potentissime - spiega Naouri - eppure la malattia più grave che possa colpire un essere umano è di essere straboccante di una madre del genere». La tendenza materna infatti è controllare il figlio, farlo sentire al centro di ogni interesse, mantenerlo dipendente: «Se stai attaccato a me hai la vita, se ti stacchi c’è la morte» è il messaggio delle madri di sempre, quelle preistoriche e quelle moderne e in carriera. «Ricolmo di attenzioni e premure, il bambino cresce ignaro dello scorrere del tempo e dipendente dal piacere - spiega Naouri - sarà sempre tentato di prendere la strada più facile, di approfittare di ogni occasione, mancherà di ambizione e di dinamismo».
Non solo, continua Naouri, avventurandosi in un’analisi dello scontro tra civiltà: questo modello materno-consumistico-Occidentale, straordinariamente seducente, travalica i confini della nostra società sconvolgendo, per esempio, il mondo arabo-musulmano. «In che modo gli uomini musulmani potrebbero accettare scelte che mettono in discussione il loro stato di “abou”, di padri proprietari dei propri figli? Attaccati alla netta gerarchia da sempre vigente tanto nei rapporti tra genitori che in quelli tra sessi, vivono questa esportazione, sottilmente persuasiva, come un vero e proprio tipo di conversione... Hanno nutrito il loro rancore, coordinato le loro forze e reclutato un numero sufficiente di fanatici kamikaze per lanciarsi in una nuova crociata».

Cosa può fare di fronte a questa radicalizzazione l’uomo «disorientato, furente, smarrito? Ognuno inventa la sua soluzione, a fronte di una compagna diventata detestabile e spaventosa». Secondo Naouri è inutile combattere le donne sul loro terreno. «Non combatto lo strapotere delle madri, al contrario lo celebro. Non esiste infatti una simmetria nei rapporti di padre e madre con il bambino. Come si può mettere su uno stesso piano un’esperienza così significativa qual è quella vissuta dalla madre e dal bambino durante la gravidanza e quella che vive l’uomo, anche se il desiderio di mettere al mondo un bambino ha fatto parte integrante del suo amore per una donna?» La comunicazione tra padre e bambino, secondo lui, passa sempre necessariamente attraverso la madre. Al padre resta una sola possibilità: «Deve riprendere il suo ruolo, non quello delle sit-com e dei luoghi comuni. Deve essere, invece, un individuo che si interpone fra la madre e il bambino», che porta il figlio fuori dall’abbraccio protettivo, gli mostra la realtà, il tempo, la morte alla fine del cammino.
Il compito, va detto, è ingrato. Come convincere un bambino, ma anche un adulto, ad abbandonare il principio di piacere? Secondo Naouri, avere successo con il bambino è impensabile. L’unica possibilita è che l’uomo riesca a distogliere almeno un poco l’attenzione della donna nei confronti del figlio: che il bambino «scorga da sopra la spalla della mamma, un uomo. E che quest’uomo interessi terribilmente a sua madre». In questo modo il bambino imparerà, fin dai primi mesi di vita, la frustrazione. Sperimenterà, insieme alla sazietà e al piacere, anche il bisogno e il desiderio: «Così non avremo più gli odierni bambini-tiranno o abominevoli adolescenti che non hanno risolto fin dall'infanzia un problema, quello che si possono vivere momenti senza piacere e non per questo si muore».
Combattere l’amore con l’amore, è la ricetta di Naouri: l’amore viscerale che lega madre e figlio a quello altrettanto viscerale che lega e oppone uomo e donna: «Mi è successo di stilare più di una ricetta in cui l'indicazione era “Fate l'amore. Siate una coppia, sarete dei genitori migliori”». D’altronde ci vuole pure un incentivo, ad abbandonare (educare, ci ricorda Naouri, vuol dire letteralmente «condurre fuori da») l’utero materno, se è vero che «tutti siamo andati a ritroso nella vita, tenendo gli occhi puntati sul nostro luogo d’origine e provando paura a voltargli la schiena, come ci inciterebbe a fare nostro padre, tanto ci fa orrore quello che vedremmo al termine del cammino, se guardassimo dritto davanti a noi».


Uomini e donne, due specie diverse, di Aldo Naouri (La Stampa 7 Marzo 2005)

STAREI forse affermando che l’essere femminile è un individuo umanamente differente dall’essere maschile, con un’organizzazione psichica fino a questo punto, e così profondamente, diversa? Ma come sostenere ciò che, formulato in questi termini, può sembrare un’aberrazione, con il rischio di lasciar intendere che gli uomini e le donne appartengono a due specie diverse? A meno che si tratti solo, dopo tutto, delle conseguenze, insospettabili, e quanto spesso negate, di una diversità fra i sessi la cui misura non è mai stata presa in considerazione e che farebbe degli uomini e delle donne due specie nettamente differenziate ? Perché no?
Non stento a immaginare quali veementi reazioni possa suscitare il mio discorso, e già mi vedo accusato di negare alle donne la capacità o la possibilità di condurre un’impresa o fare carriere che gli uomini hanno sempre considerato di loro esclusiva competenza. Non soltanto respingo in anticipo una tale imputazione, ma tengo a precisare il mio pensiero aggiungendo che, anche le donne con un potenziale che niente può, né deve, limitare in nessun modo, anche queste donne, come tutte le altre, sebbene in grado di sentire, concepire e gestire il tempo, di controllarlo e di servirsene senza il minimo problema apparente, conservano e conserveranno sempre nei suoi confronti, qualunque cosa facciano o faranno, un vissuto specifico e una relazione totalmente diversa da quella degli uomini.
Il rapporto con l’angoscia di morte, a mio avviso, ne è una testimonianza. Sono convinto che le donne ne siano infinitamente meno oppresse degli uomini. Attenzione! Non sto dicendo che ne siano completamente prive. Penso solo che non ne siano sopraffatte nella stessa misura. La pressione di questa angoscia, cioè, in loro è senz’altro relativamente bassa, meno soggetta a variazioni e soprattutto infinitamente meno soggetta ad ampie variazioni. Infatti, le donne, dato che la sottospecie cui appartengono lo vive da decine di milioni di anni, sanno ciò che gli uomini non sanno e che non possono sapere del loro specifico modo di porsi in rapporto al tempo. Sanno anche, nella maniera più profondamente intima e meno comunicabile che ci sia, che la loro vita non finisce con la morte fisica, ma che continua nei figli portati nel proprio corpo, messi al mondo attraverso questo stesso corpo e a cui ne hanno dato un altro, che di loro recherà sempre una traccia incancellabile. Sanno di non essere mai state né autarchiche né sole né isolate. Sanno che la loro saggezza intrinseca le ha indotte a non investire solo su se stesse, ma a dedicare anche agli altri le proprie energie...
Questa mamma è una madre umana, una madre umana abbandonata alla gioia inesauribile che le assicurano la certezza della sua funzione e il suo statuto in una società che ha adottato, senza limiti e senza contropoteri, tutti i valori di cui sarebbe portatrice. E’ una madre umana in quanto il suo comportamento si iscrive nella sorda lotta che oppone i due sessi dai tempi più remoti, la sorda lotta, ad armi diverse e impari, che le donne combattono da sempre contro l’uomo, quell’uomo che le ha forzate con la Legge della specie, della quale esse non hanno accettato né i termini, né le disposizioni che avrebbero dovuto portarle ad ammettere l’ineluttabilità della morte, quell’uomo che continua a reprimerle tanto, e di cui esse così spesso si dolgono di non poter fare a meno per accedere a quella condizione di madre che le ha rese, da sempre, tanto potenti...

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