Tuesday, January 08, 2008

Sofferenza ed eutanasia per credenti e non

Riporto delle considerazioni di Vittorio Messori e Michele Brambilla sull’eutanasia e sulla sofferenza, tratte da Qualche ragione per credere, Mondadori, 1997, pp. 188-190.
V.M. A proposito di ammalati: sono così poco amante della retorica e tanto amico del realismo, che non ho esitato a scrivere (e lo ribadisco ora) che l’eutanasia, o qualsiasi forma di «suicidio assistito», non è solo un diritto, probabilmente è un dovere per chi non condivida la prospettiva [della fede]. Il deserto del dolore – oggi spesso interminabile, a causa della tecnologia medica che provoca «l’accanimento terapeutico» - la terra desolata da attraversare prima di morire, vanno eliminati, se si crede inutile questa come ogni altra sofferenza. Lo esige la pietà umana, ma anche la ragione.
I soliti cattolici volenterosi quanto (forse) un po’ miopi, quelli che si agitano, protestano, progettano referendum, dimenticano che il dolore ha un valore, e altissimo, solo nella prospettiva di chi crede in quel Dolorante per eccellenza che è il Dio appeso alla croce. Fuori di quella prospettiva la sofferenza è un flagello che, non potendo essere domato altrimenti, esige la radicalità della soppressione il più possibile «dolce» del sofferente.
[…] Abbiamo paura di coloro che piangono, perché sappiamo che prima o poi toccherà a tutti: tutti, infatti, non siamo che futuri degenti di ospedale in più o meno lunga libera uscita. Dietro quel bisogno della legalizzazione dell’eutanasia c’è anche l’impossibilità per noi, provvisoriamente ancora «sani», di affrontare lo spettacolo, indecente e intollerabile, dell’agonia degli altri. In fondo, gli ospedali moderni – dove ricoverare tutti, anche quelli che potrebbero essere curati a casa – rispondono al bisogno di nascondere alla vista, di segregare in luoghi deputati lo scandalo del dolore.
[…] M.B. Occorre riconoscere che sembra essere andato al cuore del dramma il Concilio Vaticano II, con il suo «Appello agli uomini», a chiusura dei lavori: «Il Cristo non ha soppresso la sofferenza. Non ha voluto neppure svelarne interamente il mistero. L’ha presa su di sé, e questo è abbastanza perché ne comprendiamo tutto il valore».
[…] V.M. Il cristiano tribolato sa di non essere né un abbandonato né un punito ma, al contrario un privilegiato. Duro privilegio, certo, ma in conformità con quel Gesù che … anche dopo la Risurrezione – e per l’eternità – porta sul suo corpo le cicatrici della Passione.

No comments: