Tuesday, July 03, 2007

Sergio Romano su Israele, passando per (Messori e) Cammilleri

Ho sempre guardato con grande simpatia e ammirazione il popolo ebraico e ho sempre considerato con grande diffidenza le critiche rivolte a Israele, da qualunque parte venissero. Da un po’, leggendo autori come Vittorio Messori e Rino Cammilleri, guardo le questioni riguardanti i nostri fratelli ebrei (e non solo queste) in modo meno fazioso. Preciso che non c’è alcuna ostilità verso gli ebrei da parte dei due scrittori cattolici, anzi. Si tratta semplicemente di dare a ciascuno il suo. Non si fa mai un buon servizio a qualunque causa se si esita a riconoscere anche ciò che non piace. Qualche giorno fa, il Giornale ha riportato degli estratti di un articolo su Israele scritto da Sergio Romano per la rivista Aspenia. A sua volta, Rino Cammilleri ha ripreso nel suo sito i passaggi salienti di quell’articolo. In altri tempi, da perfetto ignorante, avrei semplicemente storto il naso, bofonchiato qualcosa e tirato diritto di fronte alle opinioni di Romano e Cammilleri. Oggi, non più.
Sul numero del luglio 2007 della rivista «Aspenia», dedicato alla situazione di Israele, l’ex ambasciatore Sergio Romano riserva, nel suo articolo, alcuni passaggi alla diaspora, cioè agli ebrei residenti fuori da Israele.

Nota Romano che essa, di fronte agli attuali problemi di Israele, ha adottato un singolare atteggiamento: «Ha delegato la propria rappresentanza a una nomenklatura che considera antisemita ogni critica indirizzata alla politica israeliana e pretende la redazione di una nuova storia europea del Novecento, scritta alla luce di un solo criterio: l’atteggiamento verso gli ebrei dei governi, degli uomini politici, degli intellettuali. Soggetti a queste pressioni, i governi europei hanno proclamato “giorni della memoria” dedicati alla commemorazione del genocidio ebraico, hanno costruito memoriali, hanno aperto musei della Shoah e hanno approvato leggi che puniscono con il carcere il diniego del genocidio».

Ancora: «Il maggior bersaglio di questa nomenklatura, da qualche anno, è la Chiesa di Pio XII».
Non che non ce ne fossimo accorti, certo. Ma ci rende pensosi l’indubbia efficacia di «queste pressioni». E ci chiediamo perché ce l’abbiano tanto con Pio XII.

Di più non diciamo, perché ha ragione Romano: «Chi ha sollevato il problema dell’influenza esercitata da questa nomenklatura è stato spesso bersaglio di critiche acrimoniose».
Nella migliore delle ipotesi.

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