Ci fu un tempo in cui il cristianesimo fu come l’Islam, che non a caso ha settecento anni in meno. Un tempo, cioè , in cui la fede era un bene, alla pari di quelli mobili ed immobili, da trasmettere come per testamento. Si “credeva“, senza problemi, come avevano fatto genitori, nonni, bisnonni. Da tempo non è più così; ed è, probabilmente, un bene. La fede, in effetti, prima che una dottrina, un modo di vivere, un complesso di riti, è un incontro con Gesù stesso, è una “scommessa“ sul mistero di quell’Uomo, è una decisione di viverne l’amicizia. Cose, tutte, che esigono una dimensione personale e un clima libero. Dunque, ogni generazione che si affaccia alla vita deve ricominciare da capo, convincersi che anche per essa c’è qualcosa di importante (e di ragionevole) in quei quattro libricini chiamati “buona notizia“, vangelo.
Da qui, compiti e ruoli difficili per i genitori cattolici ai quali, un tempo, non occorrevano complesse spiegazioni, bastava dare ai figli il buon esempio concreto. L’adeguamento cioè – nella vita quotidiana – ai precetti evangelici così come erano proposti dalla Chiesa. Ma questa pure suscita nelle nuove generazioni una folla di domande perplesse se non diffidenti, alla pari del Fondatore cui dice di ispirarsi. C’è bisogno, anche qui, di una convinzione personale, peraltro sempre più difficile, essendo diventati i cristiani una minoranza, almeno culturale, e battendo il mondo vie ben diverse, che sembrano più credibili e affascinanti. Le attuali liste di best seller editoriali impressionano, per i primi posti occupati da libri che attaccano frontalmente la fede, almeno così com’è proposta dalla Chiesa.
Ma non per questo il cattolico superstite si arrende: ciò che conforta chi conosca la storia della Chiesa, è la capacità di reazione dei suoi figli, quando sia necessario un colpo di reni. Se preti, frati, suore, consacrati in genere, latitano o sono inadeguati, ecco farsi sotto i laici. In questo caso, i genitori credenti che si ingegnano a trovare risposte convincenti per i loro figli e a far parte ad altre famiglie della loro esperienza. Sono spesso giornalisti, dunque specialisti nel cercare di capire e di divulgare. Così, tempo fa, Michele Brambilla, ora vicedirettore de il Giornale, ha pubblicato per la Piemme – con un successo significativo – un Gesù spiegato a mio figlio. Ecco ora, presso la stessa editrice, La fede spiegata a mio figlio di Davide Perillo (pp. 173, € 11,50), firma nota ai lettori del Corriere della Sera, che amplia il campo arato da Brambilla: dal Cristo a tutta la dimensione di fede. Sono cinquanta domande che non si sottraggono ad alcun problema (dalla Madonna all’inferno, dalla Trinità al papa, dall’Islam ai miracoli), dando risposte oneste e non divaganti agli interrogativi radicali di bambini ed adolescenti. Un “catechismo familiare“, insomma, dichiaratamente senza pretese ma, in realtà, sorprendente per la conoscenza dei temi e per la capacità di presentarli in modo semplice e ragionevole. L’esortazione di papa Ratzinger a unire fede e ragione è presa sul serio in queste pagine, dove il Credo è proposto in modi affettuosi e sorridenti, ma al contempo fondati e convincenti. Stretto e continuo, poi, il collegamento non solo con la Tradizione ma anche con la Scrittura, ampiamente citata in appositi inserti.
É uno strumento, questo che, prima che ai figli, farà un gran bene ai genitori che se ne serviranno come traccia. Dubitiamo, infatti, che il “praticante medio“ abbia sulla fede della sua Chiesa l’informazione chiara, precisa, concreta di questo “papà Davide” che non parla per sentito dire ma, pur ancor giovane, sperimenta già su tre figli queste sue ragioni per prendere sul serio il Nazareno.
di Vittorio Messori
Corriere della Sera Magazine, 7 giugno 2007
Friday, July 06, 2007
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