Sono sempre stato contro l’aborto. In un tempo lontano, accettai la scusa della libertà di scelta. Frasi tipo: “Anche se io non lo farò mai, devo lasciare a chi vuole la possibilità di farlo” accompagnarono gli anni della mia giovinezza e per un po’ impedirono la radicalizzazione del mio rifiuto. Tolto finalmente il velo dell’ipocrisia, mi accorsi che esisteva un muro: poteva schierarsi apertamente contro l’aborto solo chi si fosse dichiarato in anticipo bigotto, integralista e papalino (e di conseguenza cretino, come sostiene Odifreddi…). Il tabù oggi è stato spezzato e, come accade in questi casi, l’emozione provata è stata profondamente liberatoria.
Nel dibattito che si sta sviluppando in questi giorni, però, tra tutte le prese di posizione a favore di un presunto “diritto d’aborto”, quella che mi addolora di più è la trasformazione della proposta di moratoria in un offensiva maschile, in una battaglia fra sessi in cui la posta in palio non è la salvaguardia della vita nascente, ma il controllo sul corpo della donna. E’ chiaro a chiunque abbia un po’ di buon senso che le cose non stanno così. Tuttavia, ho l’impressione che, attraverso questa argomentazione, un manipolo di donne arrabbiate stia tenendo in scacco tutte le altre, schierate in maggioranza a favore della vita, ma paralizzate all’idea di potere in qualche modo favorire un ritorno ad un patriarcato ottuso e violento. Sento la mancanza della voce pubblica di queste donne, che conosco, che stimo e che con la forza delle loro argomentazioni farebbero riflettere anche le più ostiche tra le loro sorelle.
Forse c’è anche qualcos’altro, però, ed è un cammino che molte donne non riescono a intraprendere. Se come uomo, infatti, sono pronto a condannare la violenza maschile, l’irrazionale istinto a dominare e a considerare i membri della propria famiglia come oggetti che si posseggono, allo stesso modo, le donne dovrebbero iniziare un processo che le porti a considerare come violenta, sbagliata e irrazionale l’idea che i figli siano una parte del loro corpo, durante, ma spesso anche dopo la gravidanza. Parte a cui si può rinunciare nel caso non risultasse conforme ai propri desideri, perché tanto poi può riformarsi. Parte che si può usare per vendicarsi del partner. Parte che non si vuol cedere ad altri perché viva di vita autonoma, ma che si preferisce eliminare se non ci si sente in grado di gestirla. Quante coppie infatti sarebbero state disposte ad accogliere il bimbo abortito a Napoli, anche se malato, e ad amarlo come figlio proprio. Ma l’unica che abbia il diritto di amare un figlio è la madre naturale, e se lei non può o non vuole è meglio l’eliminazione piuttosto che sopportare il pensiero di aver concesso ad altri ciò che si ritiene erroneamente qualcosa di proprio.
Quello che mi chiedo è se qualche gruppo di donne avrà il coraggio di gridare in favore della vita. Le sto aspettando e nel frattempo banalmente non riesco a non pensare a quel famoso adagio di Gibran:"I vostri figli non sono vostri figli..."
Monday, February 18, 2008
Aborto, il silenzio delle donne
Dall’ottimo Piergiobbe, riporto il post Sento una mancanza: la vera voce delle donne.
Subscribe to:
Post Comments (Atom)
No comments:
Post a Comment