Ieri, sulle pagine del Corriere della Sera, è comparso un lungo articolo a firma di Benny Morris, storico israeliano, intitolato “L’incubo del giorno del secondo Olocausto”. Morris tratteggia uno scenario che vede protagonisti il delirante estremismo religioso di Mahmoud Ahmadinejad e dei suoi accoliti, il debole governo di Israele, nonché la comunità internazionale, incapace di fermare la corsa nucleare iraniana.
Lo storico immagina che un giorno non troppo lontano, i leader di Teheran si riuniranno nella città sacra di Qom. Stabilito che l’eliminazione definitiva di Israele dalle carte geografiche preluda alla Seconda Venuta del dodicesimo profeta (il Mahdi, salvatore del mondo), Teheran decide l’attacco nucleare contro il ‘piccolo Satana’.
Allo scenario non manca nulla. Morris considera:
• i danni collaterali (i palestinesi, che Teheran vede con disprezzo, moriranno a milioni e costituiranno un tributo necessario alla causa contro il male sionista);
• i rischi per l’Iran (scetticismo nei confronti della volontà di reazione dell’Occidente, ma accettazione dell’eventuale annientamento della patria iraniana come martirio supremo per la vittoria finale dell’Islam nel mondo);
• le reazioni della comunità internazionale (fondamentalmente inesistenti, per timore delle devastanti conseguenze nei rapporti politico-economici con l’intero mondo islamico);
• le opzioni israeliane (1. impossibilità pratica di un attacco convenzionale preventivo che distrugga tutti gli impianti nucleari iraniani dislocati sottoterra; 2. improponibilità di un attacco nucleare preventivo, ché renderebbe Israele un paria della comunità internazionale; 3. inutilità di un contrattacco nucleare ad aggressione iraniana oramai avvenuta).
In definitiva, la catastrofe degli ebrei immaginata da Morris è ineluttabile. Soprattutto, egli tiene a sottolineare che questo secondo Olocausto sarà diverso rispetto a quello nazista, perché privo di qualsiasi contatto diretto tra carnefice e vittima. Infatti, «non vi saranno scene come quella che sto per raccontarvi, riportata da Daniel Mendelsohn nel suo recente libro The Lost, A Secret for Six of Six Million, in cui viene descritta la seconda Aktion dei nazisti a Bolechow, piccolo paesino della Polonia, nel settembre 1942.»
Ecco di che si tratta:
La signora Grynberg fu vittima di un episodio terribile. Gli ucraini e i tedeschi, facendo irruzione nella sua casa, la trovarono che stava partorendo. A nulla valsero le lacrime e le suppliche degli astanti: la portarono via, ancora in vestaglia dalla sua casa, e la trascinarono fino alla piazza davanti al municipio. E lì… fu spinta a forza sopra un cassonetto per l’immondizia nel cortile del municipio, e tra gli scherni e i dileggi della folla di ucraini presenti, insensibili al suo dolore, partorì. Il bambino le fu immediatamente strappato dalle braccia con tutto il cordone ombelicale. Fu scaraventato verso la folla, che prese a schiacciarlo coi piedi. Lei fu lasciata sola, con le ferite e i brandelli di carne sanguinanti, e così rimase per qualche ora, appoggiata a un muro, fino a che non fu portata alla stazione ferroviaria e, assieme agli altri, fatta salire su un vagone verso il campo di sterminio di Belzec.
Con questo brano si conclude l'articolo di Morris, ed è proprio da qui che vorrei fare una breve, forse superflua, osservazione.
Se lo storico israeliano avesse delineato il suo scenario a partire dalla vicenda della signora Grynberg, molto probabilmente non avrebbe ipotizzato l’inerzia suicida di Israele e degli ebrei americani di fronte al pericolo di un attacco nucleare dell’Iran. Ne sono convinto perché la ragione storica, l’essenza di Israele si fonda sulla memoria. Il ritorno in Palestina e l’edificazione del nuovo Stato furono motivati dal ferreo proposito secondo cui la tragedia delle tante signore Grynberg non avrebbe mai più dovuto verificarsi. Sin dalla sua nascita, Israele combatte per veder riconosciuto il diritto degli ebrei di vivere al riparo da ogni persecuzione. A fronte di qualsivoglia minaccia, rimane estraneo al vissuto e alla concezione religiosa degli ebrei l'idea di abbandonare quella lingua di terra, la terra dei padri. Non so quanti di coloro che sono scampati all’Olocausto nazista siano ancora viventi. Sono però convinto che, in un modo o nell’altro, essi abbiano tenuto vivo, nelle menti delle nuove generazioni, il ricordo dei propri cari e dei milioni di correligionari uccisi dalla follia hitleriana.
Qualora un attacco nucleare iraniano fosse alle viste, non credo che Israele rimarrebbe con le mani in mano “sperando che, in qualche modo, le cose si aggiustino da sé”; non credo che Israele si tormenterebbe nel dubbio di utilizzare, in via preventiva, il proprio arsenale nucleare contro l’Iran. Cosa importa l’estromissione dal consesso internazionale quando l’alternativa è l’annientamento definitivo? A che sarebbero valsi i tanti morti patiti in oltre cinquant’anni di vita dello Stato di Israele se poi, di fronte alla minaccia più temuta, ci si abbandona all’inerzia e alla disfatta morale?
Dio voglia che tanto Morris che il sottoscritto abbiano perso solo tempo e fantasia!
Si veda anche Vittorio Messori: sarà l’arma atomica a fermare la guerra arabo-israeliana.
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