Segnalo l’intervista concessa a Libero da Vittorio Messori e pubblicata venerdì 21 luglio. Ritenendola particolarmente interessante, ne propongo di seguito una sintesi. La versione integrale può essere letta qui e qui.
Messori sostiene che ciò che accade in Medio Oriente non va valutato secondo le categorie della politica e dell’economia (e, aggiungerei, secondo la mentalità di un occidentale intriso di ‘illuminismo’). Gli approcci di moltissimi analisti e osservatori sono fuorvianti proprio per questi vizi di origine.
Nella questione arabo-israeliana è presente invece un fattore - una forza profonda, per dirla alla Renouvin - che ha la preminenza su qualunque altro. Si tratta della religione.
Per gli israeliani, ‘terra e sangue’ sono un tutt’uno. In nessun altro luogo al mondo, se non nella Terra promessa, gli ebrei avrebbero potuto edificare un loro Stato. Questo spiega il motivo per cui i padri del sionismo respinsero le offerte avanzate dai negoziatori internazionali di far nascere il nuovo Stato in territori quali l’Uganda, l’Australia o altri ancora, ben più ricchi di materie prime della Palestina. Gli ebrei volevano tornare e vogliono rimanere solo nella Terra di Abramo, la terra dei padri. Mai gli ebrei avrebbero accettato qualcosa di diverso e mai rinunceranno ad abbandonarla.
Da parte loro, gli arabi concepiscono i territori entrati a far parte dell’Islam come acquisiti definitivamente e da recuperare qualora perduti. La maggioranza degli abitanti della Palestina divenne musulmana nel 750 d.C. Bene, quella terra non può che ritornare ad essere musulmana. Non ci sono alternative, e a rendere ancor più irrinunciabile il recupero della Palestina si aggiunge il fatto che Gerusalemme è una delle città sante dell’Islam.
La guerra arabo-israeliana si sostanzia quindi in un conflitto all’ultimo sangue tra due ‘fondamentalismi’ religiosi, secondo cui, rispettivamente, o lo Stato di Israele rimane nelle terre dove è ora, checché ne pensino i musulmani, oppure tutta la Palestina deve tornare ai musulmani e lo Stato di Israele si estingue per come lo conosciamo. Se si tiene conto della religione si può comprendere come le posizioni degli ebrei israeliani e degli arabi musulmani siano assolutamente inconciliabili e come le categorie interpretative dei conflitti che si basano sull’economia (secondo gli schemi marxisti) siano in questo caso inadeguati. In particolare, Messori afferma che nel caso arabo-israeliano si è di fronte ad un fenomeno che non è storico, ma ‘metastorico’.
Partendo da queste premesse, lo scrittore cattolico arriva alla conclusione che sarà la demografia a cambiare il corso del conflitto (e dell’umanità). Fra qualche decennio, Israele, popolato da 5 milioni di ebrei, sarà circondato da 5 miliardi di musulmani ostili. La pressione contro il piccolo Stato diverrà allora insostenibile e per sopravvivere, Israele non avrà altra scelta che utilizzare l’arma atomica contro i suoi nemici.
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