Ciò che sta accadendo in Medio oriente, a mio avviso, si può spiegare in questi termini. Se il Libano voleva risparmiarsi la reazione "sproporzionata" di Israele, il governo di Beirut avrebbe dovuto provvedere autonomamente a neutralizzare gli Hezbollah. Non è un problema di Israele il fatto che quello libanese sia un governo fantoccio nelle mani della Siria. Il Libano rimane sempre e comunque uno stato sovrano.
Per reagire in modo proporzionato, come avrebbero voluto le anime belle della sinistra nostrana, che cosa doveva fare Israele? Sarebbe stato efficace il sequestro di qualche terrorista del ‘Partito di Dio’ (sic!) e il lancio di razzi contro le postazioni Hezbollah? Un paese la cui esistenza è continuamente messa in discussione è abituato a scegliere tra opzioni serie, e qui erano due: o lasciare che intervenisse il governo di Beirut per far cessare gli attacchi terroristici, oppure risolvere il problema alla radice, recidendola. E le vittime civili, i profughi libanesi non contano nulla? Ancora una volta, si trattava di una responsabilità del governo libanese. Esso doveva garantire la sicurezza della sua comunità territoriale; doveva prevedere le conseguenze della sua inerzia (complicità) verso gli Hezbollah. E non poteva certo credere che gli Israeliani sarebbero rimasti indifferenti di fronte a ciò che si andava combinando. Forse che Beirut pensava di avere a che fare con i coraggiosi e determinati Europei?
L’augurio che Paolo Guzzanti lanciava in un editoriale di qualche giorno fa su Il Giornale era “Buona guerra, Israele”. E completa l’opera prima che arrivino gli Europei a salvare i terroristi, val la pena di aggiungere.
Dal particolare al generale, passando per la scoperta dell’acqua calda. È chiaro ormai a tutti che Israele è destinato a vivere in una condizione di guerra perpetua con i paesi arabi vicini; questi ultimi non hanno alcuna intenzione di fare concessioni e poi di rispettare gli accordi (dobbiamo proprio ricordare la storiella della rana e dello scorpione?). Soprattutto, è di una chiarezza cristallina il fatto che ai paesi arabi non importa un fico secco dei palestinesi. Usano la questione come pretesto per alimentare l’odio delle popolazioni arabe verso l’Occidente e gli ebrei, in tal modo distogliendo l’attenzione dai problemi interni. È assurdo che, dopo tanti anni di guerra, l’opinione pubblica in Medio Oriente non lo capisca, così come è assurdo che i palestinesi non capiscano di essere solo strumentalizzati. Come ha detto giustamente Davide Giacalone su Libero ieri, gli unici veri interlocutori dei palestinesi sono gli israeliani. La buona volontà di Tel Aviv è stata dimostrata con i fatti. ‘Territori in cambio di pace’ non era una promessa da marinaio, ma un impegno che Sharon ha messo in pratica con coraggio, sacrificio e realismo. E invece di approfittare della mano tesa, che fanno i palestinesi? Chiamamola pure la politica del “muoia Sansone con tutti … i palestinesi!”.
Il grande incubo: il nucleare islamico. Saddam Hussein venne fermato dall'aviazione israeliana nel 1986. Ora emerge che è l’Iran di Ahmadinejad ad avere quasi pronta la polpetta. L’ho già ricordato in un’altra occasione, ma mi sembra sempre utile ribadire ciò che rispose Montanelli a chi gli chiedeva perché gli USA si oppongono alla pretesa dei paesi islamici di possedere l’arma atomica: “Perché minaccerebbero di usarla!”. Quale uomo sano di mente dormirebbe sonni tranquilli sapendo che Teheran o Damasco dispongono di armi nucleari? La userebbero realmente contro Israele? La passerebbero ai terroristi di Al Qaeda perché questi la facciano esplodere in una capitale occidentale? Sarebbero così pazzi da rischiare la ritorsione di Israele e degli Stati Uniti? Meglio sarebbe fermarli prima di conoscere la risposta, anche se ciò comporta l’uso della forza. Una nuova Osiraq pare difficile. Ma la necessità aguzza l’ingegno degli americani e degli israeliani, gli unici che realmente sanno e possono. Certo, la spirale di odio verso l’Occidente si allargherebbe ma, al punto in cui siamo, di peggio c’è solo … la guerra atomica.
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