
«È per la prima volta […] che i
kybuchu [bambini tra i sette e gli otto anni e, più tardi, nell’età di essere riconosciuti come adolescenti] cantano, timidamente; la loro bocca, ancora inesperta, modula la
prerä [canto riservato agli uomini] degli uomini. Laggiù in fondo i cacciatori rispondono con il loro canto, incoraggiando quello dei futuri
beta pou [nuovo iniziato]. Le loro voci echeggiano a lungo; intorno, nella notte silenziosa, brillano i fuochi. D’improvviso, come una protesta, come un gemito di rimpianto e di dolore, si odono le voci delle donne: le madri dei giovani. Esse sanno che fra poco perderanno i loro ragazzi, che presto non saranno più i loro
memby [bambino piccolo] ma uomini degni di rispetto. Il loro
chenga ruvara [canto riservato alle donne] rappresenta l’ultimo sforzo per fermare il tempo, ma è anche il primo canto di separazione che celebra una rottura. Il rifiuto in forma di canto-lamento da parte delle donne di accettare l’inevitabile appare agli uomini come una sfida: la loro
prerä si rafforza, diventa violenta, aggressiva e quasi sopraffa l’umile lamento delle madri che sentono i loro figli cantare alla maniera degli uomini. Essi sanno di rappresentare la posta della lotta ingaggiatasi tra gli uomini e le donne e ciò li incoraggia a sostenere vigorosamente il loro ruolo: questa sera, non fanno più parte del gruppo, non appartengono più al mondo delle donne, non sono più delle loro madri; ma, contemporaneamente, non sono ancora uomini, non sono in nessun luogo, e per questo occupano l’
enda ayiä [capanna di iniziazione costruita dagli stessi giovani]: luogo diverso, spazio transitorio, limite sacro tra un prima e un dopo per coloro che presto moriranno per poi rinascere. I fuochi languono, le voci tacciono, tutti si addormentano.»
Tratto da P. Clastres, Cronaca di una tribù: il mondo degli indiani guayaki, cacciatori nomadi del Paraguay, Feltrinelli, Milano, 1980, pp. 115 e 117.
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