Thursday, November 24, 2005

Gli intellettuali e la latitante cultura del mercato in Italia

Su Libero, Marco Bassani, dell’Università di Milano, firma oggi un articolo sul problema della mancanza di una cultura liberale e liberista in Italia prendendo spunto dal caso Luciano Canfora. Quest’ultimo, professore comunista di storia greca, è autore del saggio ‘La democrazia. Storia di un’ideologia”, pubblicato in Italia dall’editore Laterza nel 2004. L’editore tedesco Beck, invece, ha ritirato l’impegno a pubblicare il saggio - come da contratto - in Germania, poiché lo ha giudicato troppo sbilanciato a sinistra.
Dicevamo che Marco Bassani muove dall’inciampo editoriale del libro di Canfora per sostenere chiare e semplici idee sulla ‘crisi di identità’ del liberismo in Europa, ma soprattutto nel nostro Paese.

«Gli intellettuali [italiani] sono convinti che l’economia di mercato sia un cancro e che il comunismo si sarà pur rivelato la cura Di Bella, ma era comunque un tentativo di terapia. L’imputazione cambia, i rimedi si rivelano illusori, ma il mercato, l’Occidente e in primo luogo l’America sono sempre sul banco degli imputati. Gran parte degli intellettuali, allora, non riconosce i crimini comunisti perché li ritiene null’altro che un eccesso di legittima difesa dal male in terra, vale a dire dal capitalismo.
Il problema è quello dei due pesi e delle due misure. A chi fu fascista si spalancarono (giustamente) due sole alternative: ammettere i propri errori, o essere ghettizzati nel dibattito intellettuale. Di contro, chi è stato comunista ha ora davanti due strade parimenti rispettabili: rivendicare tutto, oppure chiedere e ottenere l’oblio e l’assoluzione tacita sulle passate farneticazioni. Insomma, perché i fascisti han dovuto fare i conti col fascismo e i comunisti più che i conti si sono fatti gli sconti?
Le ragioni sono molteplici e assai dibattute, giacché il problema si ripresenta in forme diverse in tutto l’Occidente. In Italia si parla sempre di “egemonia culturale”, tattiche gramsciane, corteggiamento degli intellettuali da parte del PCI. Tutto vero, ma non basta. Il fatto è che il prodotto culturale “marxismo” era ed è un manufatto altamente sofisticato, imparagonabilmente più sottile dei rozzi regimi e degli uomini che lo hanno messo in pratica. Per smontarlo e liberare le prossime generazioni dai suoi cascami ideologici ci vuole ben più che il crollo di un muro e qualche vaga parola d’ordine. Ci vorrebbe un movimento sia politico che culturale disposto a puntare tutto sulla battaglia delle idee. Occorrerebbe estrarre dal cilindro la merce più scarsa del mondo: intellettuali preparati a diffondere l’idea della legittimità morale, prima ancora che politica, del mercato. Proprio quello che manca in Italia.»

Uniformandomi al principio banfiano [l'attore pugliese] in base al quale “una parola è poco e due sono troppe”, mi limito a dire: come mai, leggendo queste parole, il pensiero corre a Berlusconi, nella sua veste di presidente del Consiglio, prima e di affermato imprenditore, poi? come mai il pensiero corre al molto altro che Berlusconi potrebbe fare per la rigenerazione politico-culturale del nostro Paese? Suvvia, Cavaliere, lo dicono anche gli amici americani: “There is always room for improvement”.

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