Dico un’emerita banalità, soprattutto per un cattolico, ma credo di aver afferrato col cuore ciò che prima avevo capito solo con la mente.
Domenica scorsa.
Il giovane sacerdote sollevava l’ostia all’altezza dei suoi occhi, la fissava intensamente per un istante, e poi la distribuiva a ciascun fedele. Lo stesso movimento per tutti coloro che si comunicavano. L’Eucarestia sempre protagonista! Un ministro da una parte, una fila di credenti dall’altra e Lui, al centro, penetrato da quello sguardo. Sembrava che il sacerdote dicesse: “A te, fratello/sorella, che lo chiedi, il cibo di vita eterna”.
Arrivato il suo turno, un giovane si è prima inginocchiato e poi si è avvicinato al sacerdote per prendere l’Eucaristia. Il cerchio si è chiuso in quel momento.
Un ministro di Dio, un sacerdote ha una funzione precipua. Tutto quello che egli fa si racchiude in questo: donare la salvezza eterna agli uomini, distribuendo i sacramenti. Punto.
Un sacerdote potrebbe anche non compiere altro gesto che celebrare la Messa, dare la Comunione, confessare, impartire l’estrema unzione, pregare una vita intera per la salvezza delle anime, e la sua missione sarebbe pienamente compiuta. Addirittura, potrebbe non compiere alcun atto comunemente inteso di amore verso il prossimo. E ciò perché il massimo atto di amore verso il prossimo che un sacerdote può compiere, la carità di cui parla San Paolo, sta proprio nel donare Gesù ai fratelli attraverso il potere che la Chiesa gli conferisce. Gesù salva attraverso i suoi ministri.
Si pensa che il sacerdote sia un assistente sociale e la Chiesa un’agenzia filantropica. Non è così. La Chiesa ha per missione quella di farsi da tramite per avvicinare gli uomini, tutti gli uomini, a Cristo in vista della loro salvezza eterna. Punto.
Se è vero, come è vero, che le chiavi del Paradiso sono in mano alla Chiesa, l’amministrazione dei Sacramenti è tutto per un sacerdote e per la Chiesa. Il resto è buono e giusto, ma è un di più. Il resto, tutto il resto, appartiene sempre e comunque a Dio.
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