Tuesday, October 11, 2005

Il gran salto di ‘Emily Rose’

Sabato scorso sono andato a vedere ‘L’esorcismo di Emily Rose’. Ero curioso di constatare in che modo la cinematografia riproponesse il tema della ‘possessione diabolica’, a 30 anni dall’uscita de ‘L’esorcista’.
Ricordo che ‘L’esorcista’ non mi comunicò granché. A mio avviso, il film del 1974 non voleva fare altro che impressionare e inquietare lo spettatore mostrandogli, in tutta la sua crudezza, l’abbruttimento in cui può essere trascinata una vittima della possessione. Troppe domande dello spettatore restavano però senza risposta e poco o nulla veniva concesso alla riflessione. La vittima, l’esorcista e gli altri personaggi del film venivano descritti come semplici pedine all’interno di un gioco terrificante inscenato dal diavolo. Per dirla in altri termini, tutto era asservito all’idea di mettere in risalto la potenza del diavolo, di fronte al quale Dio sembra inerte.
Con ‘L’esorcismo di Emily Rose’ la faccenda è completamente diversa, anche grazie al fatto che la trama si ispira a una storia realmente accaduta. In soldoni, il film ripercorre le tappe del processo al sacerdote-esorcista, accusato di aver ‘contribuito’ con le sue pratiche religiose alla morte della ragazza posseduta. Vorrei segnalare due soli aspetti che denotano, tra le altre cose, la serietà con cui è stato trattato l’argomento.
Innanzitutto, mi sembra un piccolo gioiello l’episodio in cui, colto da paura e confusione, l’avvocato che difende l’esorcista al processo vaga per strada e trova un pendaglio. Al sacerdote poi chiederà: “Quante probabilità c’erano di passare proprio su quel tratto di strada e proprio in quel momento per trovare un pendaglio con su incise le mie iniziali? Che significa?”. Il sacerdote le risponde: “E’ un segno. Vuol dire che di tutte le strade che puoi prendere questa che stai percorrendo è quella giusta”.
Metto inoltre in evidenza che, mostrando l’orrore della possessione, il regista fa parlare tutti i protagonisti della vicenda. Infatti, si dà voce alla vittima con il ricorso ai flash-back, nonché si dà voce, prima e durante il processo, all’esorcista, al suo agnostico avvocato difensore e agli scettici. Ma più importante di tutto, il film, e qui sta la sua grandezza, ‘dà voce’ a ... Dio, attraverso Maria, la madre di Gesù. Emily Rose pone la domanda chiave ed è lì che si fa il grande salto rispetto a ‘L’esorcista’: “Perché Dio permette tutto questo?”. Mi astengo dal riportare la risposta; non vorrei rovinare la sorpresa ad un improbabile lettore di questo post che intenda andare a vedere il film. Cito solo il commento di mia moglie all’uscita dal cinema: “I conti, questa volta, tornano”.

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