Il mese scorso, su Facebook, uno dei social network più frequentati nel mondo, un gruppo che pare abbia superato il migliaio di iscritti ha condiviso una pagina che molti hanno definito – inorriditi – «scioccante». La pagina aveva un titolo: “Tiro a segno con i bimbi Down”. In primo piano veniva mostrato il volto di un neonato, manifestamente affetto da quella sindrome, sulla cui fronte, in bella vista, appariva la scritta “scemo”.
Nei commenti degli iscritti, i piccoli colpiti da quella patologia venivano qualificati come «un peso inutile per la nostra società», «parassiti», «esseri stupidi e buoni a nulla», «creature ignobili» con le quali sarebbe, ovviamente, impossibile convivere.
Come risolvere il problema? Un utente particolarmente “sveglio” annunciava d’aver trovato la via d’uscita: utilizzare i piccoli come bersagli – «mobili o fissi», specificava – nei poligoni di tiro al bersaglio. Una soluzione da alcuni ritenuta «utile e divertente», da altri malamente “edulcorata” con una patina di buone (si fa per dire) intenzioni: «così non soffrono». Questo il livello (meglio: l’abisso) raggiunto da quel gruppo.
Sdegno, ribrezzo, orrore, indignazione, inviti minacciosi di farsi riconoscere rivolti a quegli utenti con il proposito di fargliela pagare cara: queste alcune delle furibonde reazioni suscitate da quella pagina. Pagina che è stata prontamente – e giustamente – rimossa, ma che non è passata inosservata alle autorità di polizia postale, postesi subito a caccia degli autori di una così spregevole vicenda.
Capisco e condivido le reazioni. Tuttavia, bisognerà pure avere il coraggio di dire che quanto è apparso su Facebook non dovrebbe sorprendere più di tanto, perché corrisponde esattamente, né più né meno, a ciò che pensa, promuove e realizza la cultura che oggi va per la maggiore. Per la quale ben pochi s’indignano e che si distingue dagli utenti di quel gruppo solo perché si guarda bene dall’imitarne la rozzezza.
Infatti, non è forse vero che quando si reclama il diritto alla selezione degli embrioni per scartare quelli “malformati”, quando si giustifica l’interruzione volontaria di una gravidanza perché la creatura portata in grembo non è sana, quando si rivendica il diritto al figlio “perfetto” perché se tale non fosse il piccolo «soffrirebbe troppo», non è forse vero – dicevo – che la logica è la stessa? E che identico è l’esito della risoluzione del “problema”?
Quella auspicata dagli utenti di Facebook chiede di eliminare i piccoli Down prendendoli a fucilate; quella di chi li seleziona nel grembo della madre (è accaduto realmente!) li elimina a colpi di bisturi, protetta da leggi infami. In un caso e nell’altro, alla loro soppressione si giunge. Per il primo, però, doverosa indignazione. Per il secondo, invece, comprensione benevola e plauso.
Sì, cari amici, tale è la follia di un mondo che fa a meno di Dio. Perché una cosa ci pare chiara: senza la fede, l’uomo perde la ragione. Sprovvisto di ragione, smarrisce ciò che lo rende umano. E senza umanità, scade al livello delle bestie. Forse anche peggio: queste, prive di libertà, non hanno colpa dei loro “misfatti”: se un leone sbrana un bimbo, nessuno lo accuserà d’aver peccato e assassinato.
Con l’aborto volontario (e su Facebook) noi facciamo l’uno e l’altro.
Non si scappa: senza Dio, siamo peggio – talvolta – delle bestie.
Gianpaolo BARRA, Il Timone n. 91, marzo 2010
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