Tuesday, August 18, 2009

Michael O'Brien torna in libreria con "L'isola del mondo"

Il nuovo romanzo di Michael D. O’Brien, autore del bestseller «Il Nemico», sulle sofferenze della Croazia, da Tito ai nostri giorni

Tre anni di ricerche. Un anno per scriverlo. C’è un lungo lavoro alle spalle de L’isola del mondo, il nuovo romanzo di Michael D. O’Brien, lo scrittore e pittore canadese autore dei bestseller Il Nemico e Il Libraio. Pubblicato in questi giorni dalla San Paolo, nella traduzione di Edoardo Rialti, L’isola del mondo (pp. 848, euro 26) racconta l’avventurosa vita del poeta croato Josip Lasta. Un viaggio fisico e spirituale, dal vecchio continente al nuovo mondo.
Dall’armonia del villaggio in cui Josip nasce nel 1933, educato alla fede cattolica da genitori esemplari, al caos della seconda guerra mondiale e dell’avvento al potere di Tito. Scampato per miracolo alla violenza delle bande partigiane, che in poche ore gli strappano tutto ciò che ha di più caro, Josip inizia un lungo pellegrinaggio che lo porterà oltreoceano, per poi tornare a casa e ritrovare quello che sembrava perduto. Fino a scoprire che, anche nel male più estremo, c’è sempre la possibilità di conservare il proprio volto.

Davanti a una tazza di caffè a¬mericano, l’autore stesso ci pre¬senta il suo romanzo.

Perché ha scelto di raccontare le sofferenze del popolo croato?
«Per la loro dimensione profetica. Questo popolo cattolico ha ricevuto attacchi in ogni epoca e ha dovuto difendere la sua identità. Riuscendo a preservare la propria fede anche nelle situazioni più ostili, come il regime comunista di Tito. In questo senso rappresenta la battaglia che riguarda ogni credente contro la forza dell’ideologia in tutti i tempi».

Ricostruire le vicende dell’ultimo secolo in questa regione non deve essere stato semplice…
«Da subito, mi sono scontrato con diverse memorie in lotta tra loro: la versione comunista, quella dei nazionalisti serbi, quella degli storici cattolici croati. È stato un lavoro minuzioso e corale: un grosso aiuto m’è venuto dalle testimonianze di sopravvissuti serbi e croati emigrati in Canada, che m’hanno confermato molti fatti negati dalla versione ufficiale. Anche perché, vista l’importanza strategica dei Balcani dal punto di vista politico, economico e religioso, è ancora in corso una guerra di propaganda. Dove, a farne le spese, è la dignità delle persone e il loro diritto di scopri¬re la verità».

Come può un popolo conservare la sua identità, contro tutte le forze che cercano di cancellarla?
«È la questione urgente che ho cercato di esplorare. Andando al cuore del romanzo, potremmo tradurla così: come può una persona restare tale, preservando la sua dignità, in circostanze radicalmente disumane? Credo che l’unico modo sia approfondire la propria identità spirituale in Cristo. È Lui a dirci chi siamo davvero e quanto valiamo, e solo la Chiesa può comunicarcelo. L’ideologia, al contrario, in nome dell’umanità distrugge il singolo».

Come ricorda Benedetto XVI nell’ultima enciclica: «L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano» …
«La creazione di una società giusta può solo venire dal rispetto per la dignità e il valore di ogni vita. Anche quando questa dignità è calpestata, l’uomo deve tenere davanti agli occhi la visione che siamo creati a immagine e somiglianza di Dio. È ciò che permette di restare uomini in qualunque situazione».

È quel che emerge nei capitoli ambientati a Goli Otok, l’ «Isola Calva» della Croazia trasformata da Tito in campo di concentramento.
«Il male e le ideologie feriscono l’umanità. Il cuore di ogni ideologia è sempre antropologico, contiene una concezione dell’uomo. L’ideologia materialistica, qualunque forma assuma, nega il significato intero della persona, riducendola al componente di un meccanismo. Pur non esistendo più i regimi del Novecento, quest’ideologia è ancora viva».

In che forma?
«Pensi al nostro Occidente materialista, dove s’introducono aborto e eutanasia con il pretesto di difendere la libertà dell’uomo. Ecco la frattura: si difende l’umanità, ma al tempo stesso si condanna una parte di essa ad una morte ingiusta. E lo si fa in nome dell’umanesimo. È un nuovo totalitarismo: molto soft, senza lager, ma estremamente potente. Davanti a tutto ciò noi cristiani non possiamo scendere a compromessi: siamo chiamati ad essere, come Gesù stesso, un segno di contraddizione. Un segno di verità e carità davanti al male. È l’unica via per resistere alle forze disumanizzanti dell’ordine mondiale».

Certe pagine del suo romanzo riecheggiano Solzenicyn, quando nel discorso ad Harvard nel 1978 metteva in guardia l’Occidente da un’ideologia ancor più subdola di quella al potere in Urss…
«Non è un caso. Solzenicyn attaccava la debolezza dell’Occidente davanti all’espansionismo sovietico. Ma la sua critica scendeva più in profondità: era rivolta contro la perdita di carattere morale dell’Occidente. Ecco il problema. Per questo, davanti alle sfide della nostra epoca, dobbiamo riscoprire le nostre radici. È una rivoluzione interiore, che coinvolge l’anima e il cuore di ciascuno. Dove l’arma che abbiamo, come per Josip, è una sola: il desiderio di conoscere il vero».

Fabrizio Rossi, su "Avvenire" del 22 luglio 2009

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