Wednesday, July 01, 2009

Ideologia transgender? Roba da matti!

La rivista Il Timone presenta ogni mese un dossier tematico di approfondimento. Quello del numero di giugno è intitolato Né maschi né femmine. L’ideologia di genere. Degli articoli di cui è composto il dossier ho selezionato “Genere” o “sesso”?, di Roberto Beretta. Lo riporto di seguito precisando che ho modificato leggermente l’ordine dei paragrafi. In tal modo mi è sembrato di rendere ancora più immediata e istruttiva la trattazione dell’argomento.
(Dal numero di giugno si veda anche l’articolo sull’omosessualità indesiderata, a firma di Roberto Marchesini)

Essere come angeli, né maschi né femmine: un sogno paradisiaco oppure un incubo? Vediamo.
L’avvocato Mauro Ronco, 63 anni, presidente dell’Ordine degli avvocati di Torino e professore universitario di Diritto penale, nonché responsabile piemontese di Azione Cattolica, si è occupato di vari casi – oggi sempre più frequenti – in cui sono coinvolti aspetti giuridici e insieme morali: dal divorzio all’aborto, dal testamento biologico allo statuto dell’embrione.

Professore, come spiegherebbe agli ignari, e in parole molto povere, l’espressione “ideologia di genere” o più semplicemente gender, all’americana?
«L’ideologia di genere presenta molteplici aspetti. Sottolineerei anzitutto l’uso del termine “genere” al posto di “sesso”. Per la tradizione filosofica e linguistica che ha il suo referente nelle Scritture bibliche, la persona è “maschio” o “femmina”. La connotazione anatomica e biologica del sesso assegna a ciascuno una specifica identità, l’identità sessuale appunto. Per l’ideologia di genere, invece, la persona non è “maschio” o “femmina”, bensì è ciò che diventa secondo le multiformi scelte nel corso della vita. La persona assume così indifferentemente varie “identità di genere”, a seconda della sua libera scelta. In questo senso anche l’ideologia omosessuale viene superata. La persona non è mai definita sul piano sessuale, ma è in uno stato mutevole di “generi” che essa stessa si può dare. Nell’ideologia di genere affiora una specie di odio verso il sesso come connotazione biologica che prescinde dalla scelta personale, esso è visto come qualcosa che condiziona ingiustamente la libera esperienza di vita di ciascuno e quindi come un limite insopportabile alla libertà. Il secondo aspetto che occorre mettere in luce concerne la lotta contro ogni identità e contro ogni differenza: l’obiettivo è giungere ad un’assoluta indifferenziazione, in cui vengano aboliti nella persona umana i segni sessuali della creazione. L’ideologia di genere, in definitiva, ha come obiettivo il sovvertimento della realtà sessuale. Se nella Genesi è scritto: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò (Genesi 1,27); se Gesù riprende lo stesso tema, dicendo: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina?” (Matteo 19,4), l’ideologia di genere proclama che non vi è in natura né “maschio” né “femmina”, ma tanti generi quanti ciascuno si voglia liberamente dare».

Qualcuno sostiene che si tratta di un ulteriore passo della cosiddetta «rivoluzione sessuale»; in che senso?
«Credo di sì, ma in senso paradossale, perché in qualche modo costituisce la negazione stessa della rivoluzione sessuale come è stata concepita nel XX secolo. Infatti, l’ideologia di genere nega il sesso come identità della persona, cioè può anche rimanere, ma è meglio che venga eliminato anche fisicamente. Così l’organo sessuale maschile venga levato e l’uomo si trasformi, per quanto possibile, in una donna o – ancor meglio – in un essere asessuato. Vale pure il contrario, che la donna si trasformi in uomo. Meglio ancora, per l’ideologia di genere, se ciascuno riesce a portare in sé i segni della doppia sessualità, oppure di nessuna sessualità. Il sesso è concepito soltanto come strumento per provocare il piacere; è però eliminato del tutto non soltanto nel suo valore intrinsecamente procreativo, ma anche nel suo significato identitario».

Il femminismo sembrava spingere verso un’esaltazione esasperata della diversità sessuale; ora invece si ritrova ad essere additato come una delle radici da cui nasce l’omologazione dei sessi. Com’è stato possibile un tale paradosso?
«Vero. Si tratta di un paradosso. Se però si studia il significato del femminismo radicale, si comprende come l’evoluzione sia del tutto logica. Infatti, il femminismo radicale negava, sin dall’origine, la sessualità come intrinsecamente procreativa. Quindi, negava l’identità della donna come portatrice essenziale del valore della maternità. L’esasperazione femministica del sesso femminile era un modo per negare il significato profondo della femminilità. Il processo ha però un corso implacabile: se si nega il significato profondo, metafisico della femminilità, è inevitabile che si finisca per negare anche il segno biologico di essa».

Quali potrebbero essere, concretamente, le ricadute sociali di una affermazione dell’ideologia di genere? E una reazione ad essa non potrebbe rischiare invece di rituffarci in una cultura «patriarcale» o maschilista?
«Sì, è possibile che gruppi maschili, particolarmente sensibili alla profonda ingiustizia conseguente alla diffusione dell’ideologia di genere, si esprimano reattivamente nella vita sociale con gesti e atteggiamenti violenti come quelli degli ultras del tifo sportivo, per manifestare inconsciamente la propria identità maschile.
Ma non sarebbe il pericolo più grave. Le ricadute sociali di una vittoria dell’ideologia di genere sarebbero ben più devastanti. Oltre all’aggravamento della crisi demografica, si scatenerebbero squilibri psichici in larghe fasce della popolazione; molti, privati di chiara identificazione sessuale, potrebbero precipitare in forme di depressione assai preoccupanti».

Lei ha svolto un’audizione alla Commissione Giustizia della Camera sul tema del «genere». Come mai il Parlamento se ne occupa?
«La Commissione Giustizia della Camera ha in discussione, dal novembre scorso, alcune proposte di legge sulle discriminazioni o sull’istigazione a discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale o all’identità di genere. L’introduzione di questo nuovo reato ha trovato però una certa opposizione nella Commissione Giustizia, così la relatrice del progetto di legge Anna Paola Concia (Pd) ha modificato le originarie proposte, limitandosi a chiedere l’aggiunta all’articolo 61 del Codice Penale di un’aggravante per reati con “finalità di discriminazione per motivi inerenti all’orientamento sessuale o all’identità di genere”. D’altra parte, di fronte alle perplessità, i parlamentari hanno deciso di ascoltare le opinioni di due giuristi. Io sono stato ascoltato il 14 gennaio 2009».

E che cosa ha detto?
«Riassumo brevemente. Anzitutto ho messo in luce che l’introduzione di norme che sanzionino penalmente le discriminazioni sull’orientamento sessuale va contro il principio, condiviso da quasi tutti gli esperti, del “diritto penale minimo”. Un razionale uso delle pene implica che il legislatore si trattenga dal minacciarle quando non siano assolutamente indispensabili per la tutela di beni giuridici di importanza essenziale per la pacifica convivenza sociale. In secondo luogo, ho sottolineato che il concetto di discriminazione è di assai vasta latitudine, abbracciando qualsiasi comportamento che sfocia nel trattamento di una persona in modo meno favorevole di un altro in situazione analoga. In sostanza, si aprirebbe uno spazio enorme per interventi legali. Solo per fare un esempio: la madre che cerca di persuadere la figlia a non sposare una persona “bisessuale”, spiegandole i rischi che comporta per formare un nucleo familiare stabile, potrebbe essere responsabile del reato di istigazione alla discriminazione. Allo stesso modo il padre che rifiutasse di affittare al figlio un appartamento perché quest’ultimo ci vuole convivere con una persona dello stesso sesso».

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