Il 1989 segnò il crollo dell’Est comunista. Venti anni dopo, il 2009, vedrà il crollo dell’Occidente? Nouriel Roubini parla della “più grande bolla finanziaria e creditizia della storia”. E afferma senza indugio: “Il sistema finanziario del mondo ricco si sta dirigendo verso un crollo”. Non è solo un disastro finanziario, perché il Mercato è stato la moderna religione dell’Occidente: è anche un fallimento ideologico e morale.
La tempesta è appena cominciata e non si sa quando e come ne usciremo. Personalmente consiglio di tener presenti due bussole per non smarrirvisi del tutto. Dirò dopo i loro nomi. Ma prima facciamo un passo indietro. Prima bisogna riconoscere l’enormità del fallimento dell’Occidente. Bisogna evitare di usare lo stesso paraocchi ideologico dei comunisti, che, incuranti delle smentite della storia, continuavano a professare il “dottrina marxista” come la scienza economica e sociale definitiva e infallibile. Certi liberisti puri e duri oggi sono egualmente dogmatici.
Il muro di Ostellino
Ieri, sul Corriere della sera, Piero Ostellino, commentando i recenti dati natalizi sul ribasso dei prezzi e il relativo aumento del potere d’acquisto delle famiglie, ne traeva questa singolare conclusione: “il mercato ha messo le cose a posto da solo. Non c’è stato bisogno dell’intervento della politica. Che avrebbe fatto danni. I prezzi sono scesi a causa della crisi economica”.
Non c’è stato bisogno dell’intervento della politica? Viene da chiedersi in che pianeta viva Ostellino. Forse non gli è giunta la notizia del più gigantesco intervento degli Stati nelle economie americane ed europee degli ultimi 50 anni, intervento che (solo) per ora che ha evitato la catastrofe finanziaria del mondo (facendoci trascorrere un Natale non tragico). Intervento tuttora in corso che molto altro dovrà fare.
Certo, bastava già tener presente la crisi del ’29 e quello che ne seguì per rendersi conto che lo Stato è un attore fondamentale dell’economia moderna. Forse la novità di oggi è che pure l’intervento pubblico potrebbe non bastare più. Il “rischio Argentina”, la bancarotta, è un fantasma che agita i sonni di tanti. In ogni caso per evitarlo o per limitare il disastro o per rinascere dalle macerie, bisogna disporre di un pensiero della crisi, capire l’errore e trovare una diversa strada.
I due avversari
Il crollo del comunismo del 1989 ebbe un’interpretazione ufficiale, tanto sbandierata quanto sbagliata. Fu il testo di Francis Fukuyama, “La fine della storia e l’ultimo uomo” (1992). Vi si proclamava l’Occidente democratico e capitalistico come universale approdo della storia del mondo. Il “trionfo dell’Occidente” che pretendeva di concludere idealmente la storia fu tradotto dagli Usa di Clinton con il “pensiero unico” del mercato e dell’uomo consumatore (il primato assoluto dell’economia ebbe la sua traduzione tecnocratica anche nell’Europa della moneta unica).
Al regno universale del mercato fu annessa anche la Cina (ufficialmente nel 1994 con l’ingresso nel WTO) e nacque quella che Giulio Tremonti ha chiamato la “Chimerica”, ovvero Cina più America. Con la new economy e con il sistema statunitense che continuava a indebitarsi per finanziare i consumi privati e la Cina che produceva per l’Occidente comprando il debito degli americani. Sono le premesse del collasso odierno.
Nel 2001 ci fu la prima smentita della storia: l’11 settembre, le “Torri gemelle”, così vicine a Wall Street. Cosa significava quel fatto lo aveva spiegato in anticipo Samuel Huntington nel suo “Lo scontro di civiltà” (1996). Huntington criticava il “nuovo ordine mondiale”, in polemica con Fukuyama, spiegando che non esiste solo il mercato e che la storia è fatta di diverse civiltà, culture, religioni e identità. Le quali non si fanno spazzar via dalla religione del produrre e consumare. Huntington ammonì che quella mercatista era una “illusione di armonia destinata ben presto a rivelarsi appunto tale”.
Infatti arrivò l’11 settembre 2001. Confermando l’analisi di Huntington che vedeva la cultura islamica fra le più refrattarie all’omologazione occidentale. Paradossalmente il testo di Huntington fu poi usato (suo malgrado) in chiave “neocon” come premessa ideologica del progetto di esportazione della democrazia, ovvero delle guerre di Bush. Che è stato un altro tentativo – fallito – di omologare il mondo al modello occidentale.
Finché è esplosa definitivamente la crisi del sistema americano. Ma perché siamo arrivati a questo? Dove abbiamo sbagliato? E’ inverosimile che ad accendere una luce siano coloro che hanno provocato la notte. Ma dov’è un intellettuale, un libro, un pensiero che può accendere una luce diversa nella notte?
Buttare Smith
Consiglio un profetico saggio di Joseph Ratzinger del 1985 che annunciava (con anni di anticipo) sia il crollo del comunismo che del capitalismo liberista. E li prevedeva provocati da uno stesso errore filosofico. Da una stessa ideologia. Il saggio sarà ripubblicato su “Communio” di gennaio 2009 e probabilmente rappresenta una premessa dell’annunciata enciclica a cui si dice abbia collaborato pure Giulio Tremonti (che ha citato questo testo di Ratzinger nella sua recente prolusione alla Cattolica di Milano). In sintesi Ratzinger punta il dito sull’idea “risalente a Adam Smith” che sta alla base del pensiero liberista e della rapacità e degli errori che hanno portato gli Usa al collasso. Per questa idea “il mercato è incompatibile con l’etica, giacché i componenti volontaristicamente ‘morali’ sono contrari alle regole del mercato e non farebbero altro che tagliar fuori dal mercato gli imprenditori ‘moraleggianti’. Per questo l’etica economica è stata considerata per molto tempo come un ‘ferro di legno’, perché nell’economia si deve guardare solo all’efficienza e non alla moralità. La logica interna del mercato ci dispenserebbe dalla necessità di dover fare affidamento sulla moralità più o meno grande del singolo soggetto economico, in quanto il corretto gioco delle regole del mercato garantirebbe al massimo il progresso e pure l’equità della distribuzione”. Sebbene si definisca “liberista”, obietta Ratzinger, questa filosofia, nella sua essenza, è “deterministica” perché presuppone che “il libero gioco delle forze di mercato spinga verso una sola direzione, cioè verso l’equilibrio fra offerta e domanda, verso l’efficienza economica e il progresso”, con lo “sconcertante presupposto” che “le leggi naturali del mercato sono essenzialmente buone e conducono necessariamente al bene, senza dipendere dalla moralità della singola persona”.
La realtà dice l’opposto e non solo con la crisi attuale, ma – già prima - con le grandi contraddizioni planetarie prodotte dall’economia capitalistica: la fame e la miseria di tre quarti dell’umanità, squilibri e tensioni sociali crescenti e gravissime devastazioni ambientali. Il marxismo, spiega Ratzinger, è un “determinismo” ancora più spinto, perciò più violento e fallimentare (“promette la totale liberazione come frutto di un determinismo”). Entrambi i casi si basano sull’utopia ideologica di un meccanismo così perfetto – come diceva Eliot – da rendere inutile all’uomo essere buono. Invece, spiega Peter Koslowski, “l’economia non è retta solo dalle leggi economiche, ma è guidata dagli uomini”.
L’eliminazione del “fattore uomo” nel marxismo è stata radicale. Nel liberismo più sfumata, ma simile e alla fine il profitto come regola a se stesso ha prodotto il disastro. Occorre qualcosa che stia sopra al profitto e sopra al meccanismo della produzione. Ma qua la crisi planetaria si intreccia con la scelta individuale, con ciò che rende personalmente “buono” l’essere umano. Quindi con Dio. Tremonti nel suo libro “La paura e la speranza” ha il merito di averlo intuito. E di aderire all’appello della Chiesa – davanti a questa grande crisi di civiltà - di un radicale ripensamento delle nostre scelte individuali e collettive, di un’autocritica e di una grande conversione.
Antonio Socci da “Libero”, 4 gennaio 2009
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1 comment:
Caro Etendard,
ho amato molto il Libraio. E' un libro un po' claustrofobico, molto diverso dal nemico, ma intenso.
Sono certo che lo apprezzerai
Un saluto
Andrea
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