Thursday, February 16, 2006

La testimonianza di un pedofilo ci aiuta a capire

A dicembre pubblicai un post in cui scrivevo: «La medicina sostiene che abusa dei bambini colui che, a sua volta, è stato abusato. Se la catena non viene interrotta, l'abusato, agendo in automatico, commetterà abusi. Tutto ciò può realizzarsi soprattutto per chi è oggetto di ripetute violenze sessuali in età infantile».
Il Corriere della Sera online ha pubblicato questa testimonianza. Il grassetto è mio.
«Sono pedofilo: se esco ricomincio»
Parla il detenuto che chiede la castrazione chimica: è l'unico rimedio

DAL NOSTRO INVIATO
REGGIO EMILIA — Con gli stuzzicadenti costruisce velieri. Di sicuro, prima di uscire di qui, avrà una flotta tutta sua. Ma quindici anni di galera sono tanti, e allora Natale Terzo si è dato un obiettivo più ambizioso. Con gli stuzzicadenti riprodurrà la Torre di Pisa.

Natale Terzo ha sessant'anni ed è un pedofilo. La parola non lo sconvolge ed è lui stesso a usarla quando parla di sé. Né lo spaventa sentir parlare di «castrazione chimica», il trattamento farmacologico e psicoterapeutico che diversi Stati già da alcuni anni prevedono per i pedofili recidivi. Un trattamento volontario, non coatto. Come quello che Natale Terzo ha chiesto per sé e sul quale sta lavorando una commissione di esperti nominata dal governo. «Non mi interessa rinunciare al sesso, molto più importante è evitare di fare male ai bambini. Credo che questo valga non solo per me, ma per tutti i pedofili che, come me, sanno ciò che fanno, ma non riescono a farne a meno e quindi sono portati a rifarlo».

Natale Terzo è nato a Palermo e poi è emigrato con la famiglia a Reggio Emilia, dopo un'adolescenza trascorsa quasi tutta nella casa di rieducazione di San Cataldo, Caltanissetta, dove lo portavano ogni volta che scappava di casa perché il padre lo picchiava. Meglio: lo torturava. Lo metteva su una sedia, gli legava i polsi dietro la schiena e lo frustava.

«Usava i fili della luce, bagnati, per fare più male e lasciare i segni».
Natale è un detenuto modello. Non dà fastidio a nessuno, parla senza alzare mai la voce, piange quando va a trovarlo sua madre, «che ha ottant'anni ed è la sola persona che mi voglia bene nonostante tutto». È stato anche sposato, vent'anni fa. Ma Concetta, la madre di suo figlio, lasciò Natale dopo sette anni. Credeva, Concetta, che anche Natale fosse stato travolto dalla «crisi del settimo anno» e che avesse un'altra. «Invece non c'era nessun'altra donna. A me piacevano i ragazzini. Li trovavo molto più attraenti delle donne. Mia moglie non ci credeva. Ma nel '92, quando mi condannarono per aver abusato di un bambino di 11 anni, Concetta capì. E se ne andò con nostro figlio». Il ragazzo oggi ha vent'anni e Natale non lo vede da allora. «Non credo che mi cercherà mai. Ma se accadesse, gli racconterei la verità».

Ma quale «verità» può raccontare un mostro? Uno che ha abusato di venti bambini nel corso della sua vita? «Questa verità: io non sono un mostro, sono un malato. Ho agito sempre in base a un impulso più forte di me. Ma non cerco di giustificarmi. So che ho fatto del male e che qualche genitore se potesse mi ammazzerebbe. Lo capisco. Eppure so che se uscissi di galera la prima cosa che farei è mettermi di nuovo alla ricerca di ragazzini. Mai costringendoli con la forza però, questo non l'ho mai fatto».

Certo, l'uso della forza fisica non è indifferente, ma cambia poco, perché a un pedofilo, dice Natale, la forza serve fino a un certo punto, o non serve per nulla. Un bambino te lo porti dietro anche con le caramelle o suonando il piffero magico. Oppure regalandogli biglietti per la giostra, come Natale Terzo aveva fatto con il ragazzino di cui abusò nel 1971, quando aveva 26 anni. «Fu la mia prima volta, poi ho sempre avuto rapporti con le donne, mi sono sposato... Ma nel '92 ci sono ricascato e da allora non mi sono più fermato». Sa bene, Natale, che ogni sua parola sull'argomento rischia di essere strumentalizzata. Ma da quando Rita Rizzi e Alessandro Verona, la psicologa e l'avvocato che lo assistono, sono riusciti a ottenere la sua fiducia, Natale Terzo non ha più cercato rifugio nel silenzio e oggi dice che non vuol morire se prima non affronta questo problema che gli ha cambiato la vita. Un problema che in realtà è la sua storia inconfessabile.

Quella nota, di violentatore. Ma anche quella ignota, di violentato. «Tutto cominciò a Palermo, in una casa diroccata dietro la Cattedrale. Ciccio l'edicolante mi aveva regalato pochi spiccioli e io lo seguii. Abusò di me per più un'ora. Ho pianto, ho gridato, ma non c'era nessuno. Mi trovarono il mattino dopo. Mio padre mi picchiò, finii in un istituto». E non è stata quella l'unica casa di «rieducazione» per Natale. Fino a 18 anni, fu un continuo entrare e uscire da posti del genere, dove l'abuso sessuale era la regola, anche a Bologna e a Parma, in questo identiche a Caltanissetta.
Anche adesso che costruisce velieri con gli stuzzicadenti, Natale non smette di pensare ai ragazzini. E si ritrova pedofilo anche in sogno, sempre gli stessi sogni, che lo perseguitano riproponendogli il medesimo, terribile oggetto di desiderio. «Non posso continuare così. Se esiste la possibilità di intervenire, di fare una cura, perché chi mi condanna, e prima di tutti lo Stato, non fa qualcosa per me e per tutti quelli come me? Siamo tanti, purtroppo. E il carcere, per quelli come noi, serve ancora meno che per tutti gli altri. Non cerco la pietà di nessuno. Ma non sono un mostro. Sono un pedofilo».
Carlo Vulpio

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