Premesse
1. Che cos’è il cristianesimo? Questa è una domanda che, presto o tardi, con maggiore o minore consapevolezza, tutti finiscono col porsi. Il più delle volte, le risposte che si ascoltano cominciano con le parole: Secondo me.
“Secondo me” sono le parole giuste per cominciare a rispondere a chi ci chiede: Qual è la canzone più bella? Qual è la ricetta migliore per cucinare gli asparagi? Qual è la squadra di calcio più forte? Ma alla questione che cosa sia il cristianesimo cominciare a rispondere con queste parole è il segno certo che la risposta sarà sbagliata.
Una risposta “soggettiva” non conta niente e non serve a nessuno: bisogna arrivare a capire che cosa sia il cristianesimo in se stesso, come di fatto è, qual è la sua vera natura.
2. Per rispondere correttamente alla questione è necessario capire bene come il cristianesimo si è presentato al momento della sua origine, quando si è affacciato alla ribalta della storia. In altre parole: dobbiamo ricordare che cosa sono andati in giro a dire gli apostoli a tutti e in tutto il mondo, all’indomani dell’evento che si è realizzato nella Pasqua dell’anno 30. Essi hanno obbedito al preciso comando ricevuto da Gesù Risorto: «Andate ad annunciare a tutti una “bella notizia”» (Mc 16,15). “Bella e buona notizia” è l’esatta traduzione della parola greca “evangelo”.
Dare una notizia significa proclamare che è avvenuto un fatto. Qual è questo fatto? Gesù di Nazaret, un uomo morto dissanguato in croce, è ritornato alla vita e oggi è vivo, vivo per sempre in tutto il suo essere (corporeo e spirituale).
Egli ha dunque sconfitto la morte (che era la “signora”, implacabile dominatrice di tutti); perciò adesso il “Signore” è lui. Ed essendo il Signore di tutti può salvare e portare con lui nel Regno eterno tutti quelli che con la fede si aggrappano a lui. Questa è la “bella e buona notizia”; questo è il Vangelo; questa è la sostanza del cristianesimo.
3. Come si vede, gli apostoli non sono andati in giro a proporre una “religione nuova”: sono andati in giro a proporre un “avvenimento” rivoluzionario e unico. Ed è un avvenimento che si riassume e si identifica in una persona: la persona di Cristo. Il cristianesimo è dunque Cristo: «Gli annunciò Cristo», è detto di Filippo quando converte al cristianesimo l’etiope, ministro della regina Candace (At 8,35). In conclusione, il cristianesimo – e solo il cristianesimo tra le varie forme che rapportano l’uomo a Dio – primariamente e per sé non è una religione: è un fatto che si identifica con una persona: la persona di Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto, figlio di Maria e Unigenito del Padre, Redentore dell’intera famiglia umana, rinnovatore di tutto.
Gesù è il “contenuto” del cristianesimo
Il cristianesimo è un fenomeno singolare in tutta la storia religiosa dell’umanità; è un caso inedito nell’avvicendamento delle scuole di pensiero e nel susseguirsi delle dottrine. La singolarità è questa: Gesù di Nazaret non è solo il fondatore, il promotore, il teorico del cristianesimo: è anche il suo contenuto. Senza dubbio la Chiesa, già nell’epoca apostolica, possiede un suo patrimonio di princìpi, di convinzioni, di idee. Ma tale patrimonio non è percepito come adeguatamente distinto da colui che ha detto di sé: «Io solo la verità» (Gv 14,6); la frase che è tra le più stupefacenti e provocatorie che siano mai state proferite da labbra umane.
Senza dubbio la comunità dei credenti è animata dallo spirito di solidarietà e dall’amore verso i fratelli. Ma è motivata in questo dalla consapevolezza che il destinatario ultimo delle sue generose attenzioni è Cristo: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40). […]
La “pazzia” cristiana
Questa dedizione totalizzante nei confronti di un uomo sarebbe scandalosa e intollerabile (e particolarmente lo sarebbe stata per gente educata nel più rigoroso ebraismo monoteistico), se a quest’uomo non si dovessero riconoscere i segni inequivocabili della divinità.
La prima comunità – illuminata dall’effusione pentecostale – ha ripensato e accolto con docilità i molti «loghia» (i “detti”) di Gesù su questo argomento, e in special modo quelli conservati nella catechesi giovannea: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14,9). «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,11). «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30). E così ha potuto conoscere chi sia nella sua piena verità il suo Signore.
Chi non arriva ad accogliere questo segreto della personalità di Gesù non può che ritenere assurdo il fatto cristiano e del tutto irragionevole la nostra fede. Per usare una ruvida parola di Paolo: «Noi siamo pazzi a causa di Cristo» (1 Cor 4,10). Ed è ovvio: «l’uomo naturale (cioè lasciato alle sole sue forze conoscitive) non comprende le cose dello Spirito; esse sono follia per lui» (1 Cor 2,14).
A quanti invece condividono la prospettiva apostolica, Gesù s’impone come la chiave interpretativa dell’universo: sia della creazione sia del mondo increato. Come si esprime quasi ossessivamente Pascal: «Non soltanto non conosciamo Dio se non per mezzo di Cristo, ma non conosciamo nemmeno noi stessi se non per mezzo di Cristo. Non conosciamo la vita, non conosciamo la morte, se non per mezzo di Cristo. All’infuori di Cristo, noi non sappiamo né che cos’è la nostra vita né che cos’è la nostra morte né che cos’è Dio né che cosa siamo noi stessi» (Pensieri).
Un travisamento pericoloso
Il cristianesimo dunque è Cristo: accoglierlo nella sua realtà autentica e piena – una realtà che eccede ogni nostra misura e ogni naturale intelligibilità – significa anche raggiungere finalmente il «senso» sia della nostra esistenza sia della totalità delle cose. È un’adesione elementare e culturalmente sobria, proposta a tutti gli uomini, anche ai più semplici; ma al tempo stesso un’adesione ardua, esigente, continuamente insidiata.
Un’insidia particolarmente perniciosa, diffusa non poco nella cristianità dei nostri giorni, è quella di risolvere l’annuncio dell’evento pasquale e l’assenso integro e vitale al suo Protagonista in un’offerta di convinzioni, di impulsi generosi, di «valori». Ma la donazione del Figlio di Dio crocifisso e risorto non è «traducibile» in una serie, sia pure lodevole, di buoni propositi e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità dominante. I battezzati – onerati, proprio in virtù del loro battesimo, della fatica di dare consenso e testimonianza a colui che solo è il Signore (ed è entrato come unico Salvatore nella nostra storia) – sono tentati oggi più che mai di alleviare il loro gravoso impegno scambiandolo surrettiziamente con l’impegno meno gravoso (e «politicamente corretto») di propugnare i «valori», e quindi di propagandare la pace, la solidarietà, l’apertura verso tutti, il dialogo ad ogni costo, la difesa della natura, ecc.
Ovviamente non s’intende qui colpevolizzare o ritenere inutile la giusta attenzione ai «valori». Solidarietà, pace, natura, comprensione tra i popoli ecc. possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio iniziale e informale a Cristo e al suo mistero. E nel cristiano questi stessi «valori» possono offrire preziosi stimoli a una totale e appassionata resa del mondo interiore al Signore di tutto e al Salvatore di tutti.
Ma se il battezzato – per amore di attenzione e rispetto verso gli «altri», oltre che per sollecitudine di dialogo e di buon vicinato con tutti – quasi senza avvedersene stempera sostanzialmente il fatto salvifico e la realtà dell’unico Redentore nell’esaltazione di questi traguardi nobili ma secondari e nel ricercare il loro conseguimento, allora pone a repentaglio la sua connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, e consuma a poco a poco il peccato di apostasia.
L’ammonimento profetico di Solovev
Colui che è stato provvidenzialmente inviato a metterci in guardia da questo travisamento è stato il pensatore russo Vladimir S. Solovev. Egli nel suo ultimo scritto – a pochi mesi dalla sua morte, avvenuta nel luglio 1900 – ha tratteggiato così la figura dell’Anticristo (un personaggio emblematico, antitesi perfetta del Salvatore) che secondo lui comparirà sulla scena della vicenda umana alla fine del secolo XX.
L’Anticristo – come egli lo descrive – appartiene evidentemente alla schiera dei «sapienti» e degli «intelligenti». È, dice Solovev, un esperto biblista. Di più, è un asceta e un «convinto spiritualista», e dà «altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza». In particolare, è un illuminato e attivo pacifista. Noi oggi lo diremmo anche un ecologista e un ambientalista: «Pieno di compassione, non solo amico degli uomini ma anche amico degli animali». Soprattutto l’Anticristo si dimostra un eccellente ecumenista, capace di dialogare «con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza». Ha però un’invincibile antipatia nei confronti della persona di Cristo. È addirittura dominato da una morbosa insofferenza verso il fatto che Gesù sia risorto e sia oggi vivo, tanto che va istericamente ripetendo: «Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto! È marcito, è marcito nel sepolcro…». In sintesi potremmo dire: ciò che più specificamente connota la posizione dell’Anticristo è di aver sostituito all’identificazione del cristianesimo con la persona del Salvatore glorificato (che è prospettiva fondamentale e irrinunciabile fin dai tempi apostolici) l’identificazione del cristianesimo con quei «valori» che, pur se provengono da una matrice evangelica, sono però anche facilmente esitabili sui mercati mondani.
Un improrogabile esame di coscienza
Mette conto d’interrogarci se per caso qualcosa della «ideologia dell’Anticristo» non abbia cominciato a diffondersi anche tra noi. Essa è una totale distorsione della verità, ma può essere seducente. Se lasciamo prevalere la «ideologia dell’Anticristo», il dialogo con i “lontani” – non inciampando mai in un Maestro che pretende di essere unico, né in un uomo che è ritornato alla vita e continua a essere realmente e corporalmente vivo – si fa meno irto e più spedito; e la nostra possibilità di uscire dal nostro isolamento e di essere accolti negli ambienti culturalmente emergenti, nei circoli socialmente progrediti, nelle redazioni dei giornali e dei telegiornali, diventa facile e senza problemi. Ma Gesù ci ha dichiarato (ed è una delle sue frasi che tendiamo a dimenticare): «Io non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare…» (Mt 10, 34-35). E di lui è stato detto per divina ispirazione (ed è anche questa una frase biblica oggi un po’ censurata) che è «segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2, 34-35).
Conclusione
È necessario e urgente tornare alla piena e pungente consapevolezza della centralità di Cristo, se vogliamo serbare intatta ed efficace la nostra identità. Don Divo Barsotti ha una parola tremenda, di attualità incontestabile: «Oggi nelle comunità cristiane Gesù Cristo è una scusa per parlare d’altro». Non deve essere più così: Gesù Cristo nella sua piena verità – di Crocifisso Risorto, di Figlio consustanziale del Padre, di unico Signore dell’universo, della storia e dei cuori – deve ritornare al centro di ogni nostro primario interesse e di ogni esperienza ecclesiale, e deve essere altresì l’ispiratore determinante ed efficace di ogni nostro impegno culturale, solidaristico e sociale.
[Card. Giacomo Biffi, Il Timone, n. 87, Novembre 2009, pp. 48-49]
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