Saturday, April 18, 2009

Hai fede o credi?

In un racconto ebraico, uno chassid ascolta un teologo che parla degli attributi di Dio.
Alla fine della lezione, lo chassid dice al teologo: “Se Dio fosse come tu lo hai descritto, non ci crederei!”.
Un conto è credere, un altro avere fede, dice Abraham Joshua Heschel (*), filosofo ebreo, mistico e profeta dei nostri tempi. Credere significa credere in una dottrina che riassume in definizioni ciò che è illimitato; avere fede è l’intimità del rapporto con Dio, che non trova parole per essere espresso e comunicato. L’effetto del credere può essere morire per il proprio credo, ma anche uccidere chi si rifiuta di condividerlo. L’effetto della fede è una infinita tenerezza e compassione per tutte le creature nella coscienza che un’unica povertà, un unico dolore, un’unica nostalgia accomuna tutta l’umanità nel suo esilio su questa terra.
L’effetto del credere è essere gelosamente attaccato a una dottrina, è fare del dogma il proprio idolo; l’effetto della fede è tagliare i ponti con ogni idolo e attaccamento. Avere fede è essere come Abramo. Un midrash ebraico, cioè un racconto che va oltre il racconto della Bibbia immaginando i retroscena che la Bibbia non dice, racconta cos’è la fede di Abramo. Abramo nasce in un ambiente idolatra, in un Paese idolatra, da un padre accanito idolatra: prega davanti a idoli di pietra che lui stesso scolpisce. Ma l’intuizione che nasce nel cuore di Abramo è un’altra e la comunica così a suo padre Tare: “Padre, più dei tuoi dèi d’oro e d’argento, di legno e di pietra, va adorato il fuoco che è in grado di distruggerli. Ma nemmeno il fuoco io chiamo dio, perché è succube dell’acqua che lo estingue. Ma non chiamo dio nemmeno l’acqua, assorbita dalla terra. E nemmeno la terra chiamo dio, perché il sole la asciuga illuminando il mondo intero. Ma nemmeno il sole chiamo dio, perché le tenebre lo oscurano. E nemmeno la luna e le stelle, perché si spengono. Ascolta, padre mio, quello che ho da dirti: il Dio che ha creato ogni cosa è il vero Dio. Egli ha dipinto i cieli e dorato il sole, ha acceso la luna e le stelle, ha fatto emergere la terra dalle acque e ha messo al mondo anche te. Quanto a me, Egli ha fatto luce nel caos che annebbiava la mia mente”.
Dopodiché, Abramo se ne va: se fosse rimasto, l’ambiente e la famiglia l’avrebbero
rovinato, dice il midrash, e spento quella luce che mette ordine nel caos. La fede inizia con una partenza e prosegue con delle scelte opposte a qualunque idolatria. E non è vero che prima di partire bisogna risolvere i dubbi di fede: Abramo e tutti i profeti e i personaggi della Bibbia si sono trovati ad affrontare perplessità implacabili nel corso di tutta la loro esistenza. Nessuno ha certezze al cento per cento; ma chi come Abramo ha percepito una luce, proprio perché spesso si spegne e si ripiomba in un buio angoscioso, per rincorrerla è disposto a mettere tutto in gioco.
Eppure il dogma che sta alla base del credere è necessario, dice Heschel. Proprio perché la luce si spegne, proprio perché l’intuizione di fede si sottrae ad ogni formulazione ed espressione, il cercatore di Dio ha il problema di riuscire ad estendere la luce percepita ad ogni momento della vita. La dottrina e il dogma non sono altro che il tentativo di tradurre in concetti gli istanti di luce, di trovare parole compatibili con la realtà divina di cui egli ha fatto esperienza.
La fede senza il credo manca di sostegno; ma il credo senza la fede è come un corpo senza cuore. Perciò è dalla fede che bisogna cominciare.
È inutile, dice Heschel, insegnare ai giovani i valori morali: tra tutte le discipline, l’etica è la più insicura. I valori senza la fede sono come la storia del fabbro che impara tutte le tecniche del mestiere ma non sa come far scoccare la scintilla del fuoco.
Solo questo invece conta: far scoccare la scintilla. Conta stimolare il senso del mistero, che non è quello che ancora non si sa, ma quello che non sapremo mai. Conta stimolare lo stupore, la meraviglia, la gratitudine attraverso la contemplazione della bellezza della natura, la poesia, l’arte, la musica: la quale ha trasformato in un santo un peccatore come il re Davide.
Cosa sono per l’uomo i valori fini a se stessi lo dimostra, dice Heschel, il modo di
registrare gli eventi importanti della storia. Nessuno annota mai quelli veramente grandi. Sappiamo la data della battaglia di Jena, ma non conosciamo il giorno in cui un innamorato di Dio ha scritto: Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Che strano: eppure è una data assai più importante della battaglia di Jena.

(*) A. J. Heschel, Il canto della libertà. La vita interiore e la liberazione dell’uomo, Qiqajon 1996

[di Flaminia Morandi, su Nuovo Progetto, maggio 2007, edizione elettronica pubblicata da http://www.trappisti.org]

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