Monday, September 18, 2006

«Ma siamo solo noi musulmani a insultare sempre la Croce»

di Marcello Foa (Il Giornale, 18/09/2006)

È una voce. Una sola, ma coraggiosa. Non risuona nelle moschee, ma si esprime sulle pagine on line di Elaph, uno dei giornali panarabi più letti su Internet. La redazione è a Londra, l’orientamento modernista e liberale. Basta un clic per accorgersene: sulla colonna di sinistra appaiono foto di giornaliste e cantanti arabe vestite e in pose inequivocabilmente occidentali. Ieri il direttore Othman Al-Omeir ha deciso di rompere il coro di critiche al papa - che in questi giorni ha unito moderati e fondamentalisti musulmani - pubblicando un commento in cui si ribalta la prospettiva.
«Sì il Papa avrà pure sbagliato, però ha presentato subito qualcosa di molto simile a delle scuse dicendo che le sue parole sono state fraintese - si legge nel testo, rilanciato in Italia dall’agenzia Apcom -. Ma quanti sono i nostri Muftì Ulema islamici che si sono espressi per spiegare che è contrario alla spirito dell’Islam offendere i cristiani ogni venerdì nei sermoni delle nostre moschee?», si chiede Hani al Nakshabandih, che giudica «strumentale» la protesta, perché «le parole di Benedetto XVI non possono in alcun modo minacciare l’Islam, né intaccare la figura del Profeta». Tanto più che la Santa Sede da tempo dimostra grande cautela e rispetto nel porsi verso le altre religioni. E Benedetto XVI non ha certo rinnegato la linea del dialogo.
Si può dire altrettanto dei religiosi musulmani? No, secondo l’editorialista di Elaph, che, con notevole audacia, elenca i torti «quotidiani» commessi dall’Islam, nei confronti delle altre religioni: «Noi commettiamo errori mille volte più del Papa - scrive - Nei sermoni del venerdì insultiamo cristiani ed ebrei, chiedendo a Dio di distruggerli». E ancora: «In ogni scuola, inculchiamo ai nostri alunni che i cristiani sono impuri ed andranno all’inferno. In ogni casa cresciamo i nostri figli insegnando che cristiani ed ebrei sono i nostri principali nemici e che dovremo ucciderli altrimenti loro ammazzeranno noi». «Ma i nostri Ulema tacciono, salvo poi scattare all’unisono quando il Pontefice parla della persona del Profeta». È un’ipocrisia, inaccettabile per Hani al Nakshabandih. «I dotti dell’Islam rispondono all’errore con un altro errore: offendere Maometto, non è più grave dell’insulto ai cristiani».
L’accusa è durissima e difficilmente passerà inosservata. Nell’impeto polemico, il giornalista lascia intendere che in tutte le moschee si propaghi l’odio. Non è così. Dimentica di ricordare che la diffusione del fondamentalismo islamico non preoccupa solo noi occidentali, ma anche, se non soprattutto, i Paesi arabi, che, per arginare il contagio, impongono controlli serrati nei luoghi di culto. L’Università del Cairo di Al Ahram, considerata il «Vaticano» dei sunniti, non è certo una congrega di estremisti. E i riti delle congregazioni Sufi sono un inno alla spiritualità, non certo al radicalismo. Nonostante tutto l’Islam continua ad avere più volti.
Ma l’editorialista di Elaph non sbaglia nel denunciarne l’aspetto più aberrante e retrogrado: quello del wahabismo ovvero una setta della penisola arabica fondata nel 1700 e che ha avuto a lungo un’influenza marginale, ma che grazie ai generosi finanziamenti degli sceicchi sauditi fa proseliti nel mondo.
Qualche mese fa la Freedom House, uno dei più prestigiosi istituti di ricerca americani, ha monitorato i sermoni dei clerici wahabiti sia in Arabia Saudita sia in Occidente. C’è da rabbrividire.
Altro che dialogo, altro che comprensione. Quegli imam diffondono un credo totalitario intriso di violenza, che trova eco persino in alcuni documenti ufficiali del governo di Riad. Si sostiene che è un obbligo religioso per ogni musulmano odiare cristiani ed ebrei e che non bisogna imitarli, né fraternizzare con loro né aiutarli in alcun modo.
Guai a salutarli per primi, guai a porgere gli auguri a Natale. La democrazia è anti-islamica e dunque va respinta. I «Fratelli» che si trovano nelle terre dei miscredenti devono comportarsi come se fossero in missione dietro le linee nemiche, acquisendo nuove conoscenze e fondi da usare per la Guerra Santa o facendo proselitismo. Qualunque altra ragione non è ammessa. E chi osa convertirsi sappia che verrà ucciso. Così si parla nelle moschee e nelle scuole coraniche wahabite. Il problema è innanzitutto lì.

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